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Ed eccoci di nuovo con [del]meglio leggere sta roba che lavorare[/del] l’articolo di economia di [del]dubbio[/del] interesse.
Oggi tratterò un tema spinoso, ossia perché certi settori dell’economia sono pubblici?
È logico che sia così?
Mi accorgo che il tema potrebbe rapidamente degenerare in politica, e vorrei evitarlo, a tal fine invece che tenermi per me le mie convinzioni le metterò sotto spoiler in maniera tale da mantenere l’articolo descrittivo e neutrale (se non le scrivessi da nessuna parte potrebbero intrufolarsi nel testo)
Sarà un post di chiacchiere e pochi numeri.
Ci faremo accompagnare nel nostro viaggio da John [rude carpentiere scozzese venuto a Londra in cerca di lavoro] e Mary (una dolce ragazza del Sussex anche lei a Londra) per esemplificare meglio i concetti.
[title]Un po’ di definizioni…[/title]
Ci sono settori dell’economia che, pur rispondendo alle classiche leggi di domanda e dell’offerta, hanno una serie di caratteristiche legate alla loro stessa natura, che fa si che non godano dei vantaggi del progressivo affermarsi delle economie di scala.
Con [b]economia di scala[/b] qui inteso (giusto per evitare altri flame) come la possibilità per poche persone di produrre il necessario a soddisfare la domanda di molti e avvantaggiandosi, in questo processo, di una riduzione dei costi di produzione dato appunto dall’aumentare dell’output (in altre parole il costo di produzione per unità di bene scende progressivamente e sensibilmente con l’aumento di beni prodotti nell’unità di tempo.
Costruire un solo Airbus 380 one shot ha un costo unitario incomparabilmente superiore alla linea che ne produce 100: esempio di costi d’avvio sono le macchine, il personale, l’addestramento eccetera.
Questi sono solitamente settori di alta specializzazione, in cui è impossibile gestire la produzione in maniera industriale.
Alcuni esempi possono essere i tagliatori di diamanti, gli avvocati, gli architetti, i professori universitari, i progettisti di componentistica avanzata, i medici etc.
In generale qualunque settore dove il singolo avoca a se gran parte del processo produttivo (od operativo), e tale processo non può essere suddiviso tra più persone (di solito il processo è anche molto complesso ma non è un tratto strettamente necessario).
Vediamo ora un’altra definizione, ossia la produzione stockless.
[b]Stockless[/b] significa semplicemente ”senza stock” (you don’t say?) ossia senza l’accumulo dei beni prodotti.
Ora, tutti sappiamo benissimo che gli industriali ci fanno una capa tanta blaterando di Just in Time, Lean Production, Flusso Teso e bla bla bla fondamentalmente per dire ”il magazzino costa e non lo voglio”.
Ottimo, però esistono settori in cui questo non è una scelta, ossia non si può tenere un magazzino delle cose prodotte.
Questo ha un duplice effetto: se stiamo parlando di beni fisici nel caso li producessimo e non riuscissimo a venderli andrebbero sprecati, se stiamo parlando di beni non fisici (quindi servizi) se non vi è necessità di usarli non vengono nemmeno prodotti (pur necessitando che i costi di produzione siano pagati, in pratica vengono sprecati ma, essendo spesso legati al mero lavoro delle persone, non sono nemmeno prodotti).
Facciamo qualche esempio per chiarire.
[u]Beni fisici[/u]: qui la casistica è ridotta, di solito si tratta di produzione di beni unici (se io costruisco un elicottero d’oro a forma di Bill Gates e poi lui non me lo compra difficilmente lo farà qualcun altro), di beni enormi (ad esempio piattaforme petrolifere, dighe eccetera) o di beni che per loro natura non si possono accumulare (ad esempio la produzione di energia elettrica).
Ora i primi due casi capirete da voi che mi tutelo facendomi pagare man mano che lo costruisco, nell’ultimo caso invece si attuano di solito sistemi di produzione flessibile (nel caso specifico l’energia elettrica è prodotta di base dalle centrali termiche alle quali si agganciano quelle idroelettriche a inseguire la domanda, in ogni caso di notte si spreca tantissima produzione semplicemente perché nessuno la usa ma non si può fermare una centrale. Ergo, usate la lavatrice di notte).
Per i [u]servizi[/u] invece è una cosa che capita di continuo, qui gli esempi si sprecano, ad esempio non posso accumulare ore di viaggi in ambulanza, se nessuno sta male l’ambulanza sta ferma, stesso discorso per i soldati, per i tecnici che riparano attrezzature, per i sistemisti di rete, ossia per tutti quei lavori dove è richiesta una risposta rapida su eventi che possono non accadere.
Io ho comunque necessità di coprire la domanda appena arriva (un tizio sta male) e quindi pago per tenere attivo il servizio anche quando non è richiesto ma, contemporaneamente, non posso accumulare il servizio (se oggi nessuno sta male e domani stanno male in 2 io sempre 1 ne raccatto con l’ambulanza).
Quando queste 2 aree si sovrappongono (produzione stockless e assenza di economia di scala) ci troviamo di fronte a settori estremamente svantaggiosi per chi offre il suo lavoro.
Se io fossi un venditore di ”ore in ambulanza” sarebbe difficile venire incontro alle esigenze del mercato, possono passare interi giorni senza che io guadagni nulla e poi un giorno di pienone e io guadagno comunque una frazione della reale domanda.
Bene se fin qui è chiaro aggiungiamo ancora una nozione, [b]elasticità della domanda[/b].
Con elasticità intendiamo la variazione % di domanda al variare % prezzo.
Ci sono settori dove non importa quanto costi il bene prodotto, la domanda continuerà a rimanere alta (sono di solito settori vitali: acqua, cibo, medicinali e cure mediche eccetera).
Ottimo, frulliamo tutto quanto assieme e spostiamoci nella Londra di fine ’700 a trovare John e Mary…
[title] Il primo impiego di John e Mary[/title]
John ha trovato lavoro: produce chiodi per un fabbro locale, la paga non è altissima (diciamo 10 pence) ma dopotutto nemmeno lui riesce a produrre così tanto (diciamo 100 chiodi al giorno), vive in una stamberga, lavora 12 ore al giorno e raramente riesce a farsi una pinta con gli amici.
Anche Mary ha trovato lavoro, è stata assunta come infermiera presso una locale clinica (privata), il lavoro è duro e lei riesce a prendersi cura di sole poche persone al giorno (diciamo 4), viene pagata molto poco (diciamo 10 pence), come le sue colleghe, abita in una piccola camera in affitto e si può concedere ben pochi lussi.
I loro due lavori, benché molto diversi, si assomigliano moltissimo: scarso output, completo assorbimento della produzione, paga bassa.
A sera entrambe guardano fuori dalle loro scalcagnate finestre, verso l’orizzonte.
Ancora non lo sanno ma di lì a poco la rivoluzione industriale farà la sua comparsa…
[title]Evoluzione del lavoro di John e Mary[/title]
Dieci anni dopo la rivoluzione industriale ha investito Londra.
Le macchine a vapore e le nuove concezioni di produzione in serie hanno incrementato in maniera spettacolare la produzione, ora John produce 10.000 chiodi al giorno!
Ci sono giorni in cui non tutti vengono venduti, ma non importa, il padrone li mette in magazzino così se ci saranno grandi fiere o se si costruiranno nuovi edifici ne avrà sempre da parte per venderli (affrontare il picco di domanda), potrebbe addirittura imbarcarli e spedirli all’estero!
Il padrone sta diventando molto ricco e John e i suoi compagni iniziano a rivendicare parte di questa ricchezza, chiedono salari più alti, ora producono molto di più, se prima un chiodo costava 0.1 (10 monete a John per 100 chiodi) ora costano 0.0001 (ne produce 10.000) anche se venisse pagato il doppio o il triplo i guadagni per il padrone sarebbero comunque altissimi e quindi gli stipendi iniziano a salire.
E Mary?
Beh Mary non se la passa così bene, anche con le nuove tecniche lei può curare al massimo 4 persone al giorno, è un lavoro a contatto con le persone, il tempo per ”produrre una persona curata” non è cambiato.
Ci sono giorni in cui è piena di lavoro e altri in cui nessuno si presenta e quindi non viene pagata.
Il suo stipendio resta 10.
Ma intorno a lei i salari crescono, il costo della vita cresce, Mary è sempre più povera fino al giorno in cui si licenzia e va a lavorare in fabbrica.
”E amme checcazzo me ne frega amme” dice il medico della clinica, ”ne trovo a diecine come te! Venite via un pound la dozzina!”, ma in realtà non è più così, e nessuno vuole più fare un lavoro sottopagato.
Panico!
Tutti hanno bisogno di cure e allora per recuperare Mary il medico le alza lo stipendio.
Mary è contenta ma il medico un po’ meno, il suo output non è cresciuto, sta solo pagando di più per una cosa che prima pagava di meno, è in perdita.
Ovviamente così non va, scarichiamo il costo sui pazienti pensa, ed ecco che le spese mediche salgono.
La domanda non decresce perché è anelastica, la gente tira la cinghia e va a farsi curare comunque.
[title]Tempi Moderni[/title]
Sono passati secoli (ben due), i figli e le figlie dei figli e delle figlie di John ora producono milioni di chiodi, i figli e le figlie dei figli e delle figlie di Mary producono sempre gli stessi 4 pazienti curati.
I salari sono cresciuti ma mentre per i John sono ammortizzati dall’aumento produttivo ([b]economie di scala[/b]) quelli di Mary no, per quanto le tecniche migliorino non può fisicamente prendersi cura di più di 4 – 5 pazienti al giorno, i maggiori costi del suo stipendio sono scaricati sui pazienti che comunque non possono rinunciare alle cure.
La situazione diventa rapidamente insostenibile, la tecnologia avanza abbattendo ulteriormente il prezzo di produzione dei chiodi ma, al contrario, aumentando il prezzo delle cure mediche (nuove terapie, nuovi macchinari che non aumentano la produzione ma la qualità della stessa), è chiaro che la gente inizia a spendere quasi tutto in medicine.
E qui che i sistemi moderni hanno iniziato a porsi la domanda se fosse giusto così.
[title]I Settori Pubblici dell’Economia[/title]
L’esempio è chiaramente molto romanzato e nessun John e nessuna Mary sono state maltrattate nel processo, ma ci sono settori che, se lasciati a loro stessi, costringerebbero le persone a investire altissima parte dei loro guadagni per soddisfare la loro domanda, una domanda non volontaria e altamente anelastica.
Fin dal passato gli uomini creavano autonomamente sistemi di mutuo soccorso (le gilde medievali ad esempio o i sindacati in epoche più recenti) in maniera tale da ovviare tali problemi.
Il concetto è semplice, ognuno paga un pochetto sia che abbia bisogno del servizio sia che non ne abbia bisogno e il totale è usato nel momento in cui uno deve affrontare realmente la spesa (ad esempio medico, avvocato, guardia eccetera).
Oggi le spese mediche sono uno di quei settori che, senza assicurazioni sanitarie o senza intervento statale, sarebbero abbordabili solo dai più ricchi.
Però tutti stiamo male, sia i ricchi che i poveri, di conseguenza le varie economie hanno sviluppato negli anni diversi sistemi per coprire queste esigenze, con alterne fortune.
Le motivazioni sono in prima battuta etiche (e quindi non le discuto), ma sono anche economiche.
Se io sono costretto a pagare moltissimo per delle cure mediche, mi rimane molto poco per acquistare altri beni, con una conseguente contrazione della domanda.
Questo oltre ad agire fisicamente, agisce anche come deterrente alla spesa, se io so che da vecchio avrò bisogno di cure costose inizio a non spendere da giovane per potermele poi permettere.
Se poi l’evento non avviene io comunque non ho speso quei soldi e non ho prodotto domanda.
Inoltre una popolazione malata perché non può permettersi cure mediche produce di meno, quindi guadagna e spende di meno.
D’altro canto una gestione di una maggior massa di denaro dedicata a questo scopo, permette in parte di aumentare l’efficienza della spesa e quindi, in ultima analisi, di far pagare meno il singolo.
Tutti gli stati avanzati hanno sistemi di mutuo soccorso simili, siano essi privati (come le assicurazioni negli USA) che pubblici (Europa), tale decisione è condizionata semplicemente da come funziona l’economia.
C’è poco da fare, o si ha un sistema di qualche genere o praticamente nessuno potrebbe permettersi determinate spese.
La scelta può essere piuttosto tra quale sistema è meglio.
[title]Conclusioni[/title]
Spero di aver chiarito quali sono le condizioni per cui un settore abbia le caratteristiche per poter essere gestito solamente attraverso una tassazione di tanti.
Tale tassazione può essere obbligatoria (come è in Europa) o volontaria (USA), ma ci deve essere.
Privatizzare o rendere pubblici determinati settori significa solamente passare da una tassazione a un altra.
È meglio, è peggio?
Questa è una domanda spinosa, su cui ognuno di noi può avere il suo parere.
Il mio obiettivo era spiegare perché una tassazione sia, in ogni caso, necessaria.
Le mie considerazioni nello specifico sono sotto spoiler a chi interessassero
[spoiler]Io per inclinazione sono keynesiano in queste cose e vedo maggiori vantaggi in una gestione pubblica di molti di questi settori.
A mio avviso i seguenti settori dovrebbero essere totalmente pubblici e gratuiti anche a costo di un accresciuta tassazione:
Sanità, istruzione (primaria e secondaria, fortemente agevolata quella universitaria), difesa e ordine pubblico (per ovvi motivi ), ricerca di base, grandi opere (sia architettoniche che grandi progetti di altro genere), gestione delle abitazioni (sono sostenitore degli alloggi popolari), accesso alla cultura (biblioteche, musei etc.) alternative all’auto nello spostamento urbano.
Di sicuro ce ne sono altri ma per ora mi vengono questi.
Mi piacerebbe però sentire i vostri e eventualmente la motivazione.[/spoiler]
E qui invece il pensiero di Brad
[spoiler]Ho studiato all’università americana di economia e finanza a Montecarlo, e ora come libero professionista macroanalista economico i miei amici sono banche svizzere e fondi d’investimento. Passo parecchi mesi l’anno in Asia, soprattutto Hong Kong e Singapore, per capire e studiare i mercati che non sono emergenti ma sono emersi e dominanti. E per dirla con il Doc Manhattan scalciano cooli e tirano giù nomi.
Scrivo questo per far capire che il mio approccio all’economia tira verso il liberismo.
I privati sono bravissimi a fare soldi.
E la competizione spietata e l’odore di sangue nell’industria come in borsa sono inebrianti.
Proprio perché so benissimo com’è fatto l’homo economicus ritengo che in determinati campi (un elenco non esaustivo comprende: difesa, salute, istruzione, trasporti e quindi rete stradale, autrostradale e ferroviaria, servizi essenziali quali acqua e energia e telecomunicazioni, gestione dei rifiuti, servizi postali, ed altri ancora) il controllo debba essere esclusivamente pubblico. Neanche quelle porcherie di gestione mista pubblica e privata o quelle pagliacciate della golden share servono a qualcosa, anzi.
Servono solo a collettivizzare le perdite e privatizzare gli utili.
In tutti questi campi le attività svolte non sono né possono essere volte al profitto.
Il lavoro delle ferrovie è permettere ai cittadini di muoversi per il territorio nazionale. Il lavoro delle poste è permettere ai cittadini di spedire beni in giro per il paese. Il lavoro dell’Enel è fornire energia ai cittadini. Il lavoro del Servizio Sanitario Nazionale è riparare i cittadini rotti.
Entità come l’IRI erano strumenti potentissimi per la loro capacità di regolare il mercato del lavoro e di determinati beni e per questo sono stati combattuti dai privati fino a svuotarli e depotenziarli (la famosa lotta al panettone di Stato).
Oggi si ragiona solo in termini di risparmio e non si vuol sentire parlare di tasse.
Ed è un male.
Le tasse non sono una spesa inutile, sono il contributo (proporzionale al reddito – al reddito, non al patrimonio, è una distinzione importante) che i cittadini danno per avere accesso a tutti i servizi pubblici.
Che poi in Italia la situazione sia quella che sia e ci siano servitori infedeli dello Stato che meriterebbero pene à la Singapore (curiosamente quando si parla di pene corporali per i politici nessuno si scandalizza, anzi) è un altro discorso.
Non entro merito del discorso politico, è irrilevante.
Esistono galantuomini che sarebbero ottimi amministratori in ogni schieramento, il problema è che i grassatori e i disonesti prevalgono nell’ecosistema della Cosa Pubblica.
Eppure come insegnano Levitt e Dubner in Freakonomics, gli umani rispondono benissimo agli incentivi. Positivi.
E negativi.
Soprattutto negativi.
Semplicemente non c’è (ancora?) una volontà nella classe dirigente di eliminare il disonesto. Ma è un discorso ozioso.
In sintesi l’imprenditoria privata mira al profitto, ed il profitto è incompatibile col servizio pubblico.
Poi è ben vero che la Pubblica Amministrazione ha il dovere di amministrare al meglio le risorse.
I fruitori dovranno pagare certamente per i servizi di cui godono, ma non in un’ottica di profitto per il gestore, piuttosto come contributo al mantenimento del servizio.
Altrimenti le Ferrovie eliminerebbero tutti i treni non redditizi, e tra Roma e Milano lascerebbero solo i treni più cari cancellando i convogli negli orari meno frequentati per avere pochi treni, pieni come uova e cari come il sangue.
E noi non riusciamo ad immaginare uno scenario del genere, vero?
Un ultimo appunto: non è certo per bontà d’animo e amore per l’umanità tutta che scrivo queste righe.
Chi mi conosce sa bene quanto io disprezzi la razza umana.
Però questo modello, che chiameremo per semplicità e con mille distinguo Keynesiano, è un modello sostenibile nel tempo.
Altri modelli volti al profitto inevitabilmente consumano la società di riferimento fino a farla implodere, perché poi ricominci un nuovo ciclo.
Sulla scuola di Chicago e Milton e l’economia dello Shock parleremo un’altra volta.
Che vi piaccia o meno.
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