Sull’isola c’era una guardia di nome Kostja Venikov, era giovane. Faceva la corte a una bella ragazza, anche lei deportata. La proteggeva. Un giorno, dovendosi allontanare, disse a un compagno. ‘Sorvegliala tu’, ma quello, con tutta quella gente intorno non riuscì a fare granché… qualcuno la prese e la legò a un pioppo: le tagliarono il petto, i muscoli, tutto quello che si poteva mangiare, tutto, tutto… avevano fame. Bisognava pur mangiare.
Russia, primi anni novanta. Con la dissoluzione dell’URSS e grazie alle prime trasparenze burocratiche introdotte dalla Perestrojka dai polverosi archivi della città di Tomsk riemerge una quantità incredibile di materiale sepolto, tra cui i fascicoli d’inchiesta di Vassilii Arsenievich Velichko, il responsabile di un giornale del partito, riguardo al cosiddetto “Affare Nazino”.
Velichko terrà un’inchiesta sulle strane mobilitazioni nel distretto regionale Novosibirsk del 1933, e spedirà il proprio rapporto ai superiori e a Stalin in persona.
Il rapporto parla di un coinvolgimento di 7000 persone deportate agli inizi di febbraio di quell’anno, e di 2000 persone superstiti il successivo 2 agosto. Una controinchiesta di ottobre ne ritroverà solo 200.
Il “Grandioso Progetto” e l’origine dei deportati
Il capo della Polizia Segreta Sovietica Genrich Grigor’evič Jagoda con il responsabile dei Gulag Matvei Berman presentano a Stalin una possibile soluzione al forte esodo dalle campagne alle città, collegato ad un ambizioso tentativo di colonizzazione forzata dell’entroterra selvaggio russo.
Il tutto nasce dall’emergenza sociale dei primi anni trenta a causa delle manovre economiche e del processo di modernizzazione, ovvero la conversione della ricchezza agricola esistente in quella industriale.
La collettivizzazione delle terre e l’esoso contributo da versare allo Stato rendeva le famiglie sempre più povere e affamate, e le conseguenti tessere di approvvigionamento non riuscirono ad arginare la spaventosa richiesta di cibo che proveniva ormai da ogni parte nel Paese.
L’ennesima risposta alla crisi sarà quella di distribuire un passaporto interno per i cittadini, allo scopo di allontanare i non residenti arrestandoli e deportandoli in Siberia o in Kazakistan; la pulizia delle città viene affidata ad una milizia che effettua una giustizia sommaria, racimolando in un mese 85.000 individui nella sola Mosca.
I criteri di arresto sono praticamente inesistenti, pare infatti che le milizie avessero una quota giornaliera di arresti da rispettare, una tabella di marcia per ripulire le città sovietiche e mostrare al mondo l’efficienza sovietica.
Il 1° maggio 1933 non è una giornata diversa per le nostre milizie che senza nessuna distinzione sociale o d’età, fanno incetta di irregolari o presunti tali, facendo partire quindi treni da Mosca e Leningrado verso Tomsk, con a bordo circa 25000 persone; arrivati al campo il 10 maggio, in un viaggio con soli 300g di pane al giorno a testa, molti rimarranno solo fino al 14 maggio, poichè il tetto massimo di capienza conta solo 15000 individui.
Viene allora stabilito che alcune migliaia di persone abbandoneranno il campo in direzione di quello di Alexandro Vakhovskaya, totalmente impreparato a ricevere nuovi soggetti.
L’isola di Nazino
Ed è solo il 18 maggio che inizia la nostra storia vera e propria, quando un gruppo di deportati e di criminali di circa 5000 persone viene spostato nuovamente, per l’incapacità del campo e per l’ordine superiore di trovare un area adatta agli elementi criminali del convoglio.
Disposti su barconi da carico per il legname risalendo il fiume Ob con razioni di 200 g di pane verranno scaricati finalmente sull’isola di fronte a Nazino, insieme a 20 tonnellate di farina, 50 improvvisate guardie armate e 27 cadaveri.
Dopo le operazioni di sbarco, inizia la prima rissa per la distribuzione della farina, sedata dalle guardie ma ricreatasi immediatamente la mattina successiva. Sull’isola manca qualsiasi tipo di attrezzatura, ed i prigionieri sono obbligati a mangiarla mista all’acqua del fiume, provocando subito epidemie di dissenteria.
Chi tentava di fuggire veniva ucciso dalle guardie, che spesso abusavano del loro potere, maltrattando i prigionieri e giocando con le loro vite, come chi li utilizzava come cani da riporto per le oche fucilate sopra alle gelide acque del fiume, tra l’ilarità generale.
La situazione degenera ancora, quando il 27 maggio arrivano nuovi 1500 deportati: è il panico, è un orrore, è una follia. La prigionia, le fredde acque dell’Ob, poi la malattia, la fame.
E i primi casi di cannibalismo, per la disperata lotta alla vita, gli attacchi verso i più deboli, tutto sotto gli occhi delle guardie, incapaci e divertite allo stesso tempo.
Il 29 maggio ci sarà il primo caso documentato di cannibalismo, e le voci di un’isola di cannibali inizieranno a circolare a Nazino, dove dei rapporti documentano un numero di cadaveri sempre crescente e un’inefficace gestione del campo improvvisato.
I tentativi di fuga continuano, ma nessuno riesce a fuggire alle gelide acque del fiume o alle guardie, e i morti continuano a salire, i casi accertati di cannibalismo salgono a una dozzina, ma si ritiene che quelle persone fossero già abituate a mangiare carne umana, facendo così salire drasticamente il numero dei casi.
Praticamente un inferno, sopraggiunge anche il tifo, i cannibali sono 50 ora, le pile di cadaveri vengono tenute sotto controllo, fino a quando verrà organizzata nuovamente una deportazione per siti più adatti verso giugno, e durante la risalita dell’Ob altre centinaia di persone morirono. Smistati in nuovi campi, solo 200 persone sopravvissero.
Considerazioni
Il piano Jagoda-Berman fu un fallimento totale. L’incredibile approssimazione del progetto, la mancanza di attrezzature e una burocrazia lentissima furono l’immediata condanna per migliaia di persone. Il caso dell’ Isola dei Cannibali è rimasto sconosciuto ai più per quasi sessantanni, e non ce ne sarebbe quasi rimasta traccia se non fosse stato per Velichko e il suo rapporto, ma è rimasto vivo nella memoria di quelle persone che sono sopravvissute fino ad oggi, e raccontano la tragedia di chi è resistito a qualcosa di veramente orribile ed irripetibile.
L’eliminazione sistematica di oppositori o di semplici masse di persone non gradite non vennero alla luce per parecchio, e nella maggior parte dei casi, questi fallimenti non costarono nulla alle classi dirigenti, se non qualche rimprovero di come purtroppo il progetto fosse fallito per la negligenza e l’impreparazione di questi.
Questi casi di cannibalismo sono tristemente noti, e denotano le già scarse condizioni di questi campi di concentramento che spingono l’uomo a compiere azioni incredibili per la propria sopravvivenza: pare che nelle evasioni dai Gulag, fosse quasi comune che due prigionieri coinvolgessero un terzo detenuto per portarselo appresso come riserva di cibo ambulante.
Ricordate quando in “Storia di Arthur Gordon Pym”
[spoiler]I sopravvissuti alla tempesta sono senza viveri e devono decidere chi tra loro tre debba sacrificarsi per la sopravvivenza degli altri due? E mentre mangiano le sua carne, sono già consci che uno dei due dovrà essere il prossimo?[/spoiler]
La situazione è terribile, l’uomo è una bestia ormai; Le stesse guardie dell’isola di Nazino richiamate per aver sparato a dei prigionieri, dichiareranno semplicemente che le stavano allontanando dal loro pasto, uno dei tanti cadaveri.
Fonti:
[url=http://it.wikipedia.org/wiki/Affare_Nazino]Wiki [/url]
[url=http://altrenotizie.org/esteri/4211-ricordando-nazino.html]Altrenotizie[/url]