Di quando sono uscito con una gran figa, e relative considerazioni

Passai a prendere questo mio amico, Giulio si chiamava, intorno alle sette. Uno squillo e in un minuto era già nel cortile, lo attraversò ed entrò bestemmiando in macchina.
Dimmi tutto – gli dissi – spiegami come cazzo hai fatto a combinare questa roba.
– Allora, questa mattina vado a scuola no? Vado a vedere l’esame della Claudia
– Bella figura scommetto.

Lo interruppi. Non che Claudia non mi stesse simpatica, che con quel faccino d’angelo le si perdonava tutto, però non era proprio brillante ecco. Comunque gran figa, neanche troppo formosa, di quelle slanciate, esili, lunghi capelli neri e occhi verdi come i prati della Scozia. Ci sono stato una volta in Scozia, da piccolo, e mi ricordo solo grandi castelli e questi splendenti, immensi e sconfinati prati verdi; tanto grigio nelle città, pecore, tante tantissime pecore che passeggiavano pigramente in mezzo alla strada, come se io che ero lì in vacanza avessi anche tempo da aspettare i loro comodi (essere una pecora però non doveva avere molti svantaggi, voglio dire, stai lì tutto il giorno a brucare, non hai problemi di stipendio, affitto, soldi, macchina, benzina, vestiti, casa, cellulare, gente e ogni tanto qualche inglese grasso e barbuto ti agguanta, ti lega e ti tosa. Magari alle pecore piace essere tosate, roba che le manda fuori di testa, capite cosa intendo).

Ci immettemmo in una via più trafficata.

– Oi insomma non è andata malissimo dai, le han chiesto robette facili, si è incasinata in fisica e in geologia però – continuò lui, gesticolando.

Vidi il semaforo verde in fondo, davanti a me una DACIA SANDERO color verde pallido: brutta, bruttissima, guidata da un vecchio. Mi incollai al suo posteriore e feci i fari, svariate volte.

– Eh vabbè, già ce l’ha d’oro non è che può averle tutte, adesso – ribattei.

25 fottuti chilometri all’ora. Imprecai. Giulio rise.

Semaforo giallo. Rosso.

Bestemmiai, lasciando cadere le mani dal volante e misi in folle. Giulio continuava a ridere, passandosi la mano sulla faccia e sollevando gli occhiali dalla montatura spessa.

– Dai, va’ avanti – lo incitai, tamburellando con le mani sul cruscotto.

– Vabbè insomma usciamo fuori che fumiamo, ci sono anche i suoi amici, suo moroso, simpatico comunque eh sembra un testa di cazzo però non è così male, e le quattro fighe là delle sue amiche… –

Snocciolai i nomi a memoria, le loro facce mi apparirono nella mente per qualche istante: sia benedetto Mark Zuckerberg.

Giulio riprese a parlare – Esatto, e a un certo punto tutti vanno via, rimaniamo io, la Claudia e la Rita. La Claudia mi fa tipo “Stasera vieni fuori a bere qualcosa? Senti qualcuno, Fede, chi vuoi”.

Quel semaforo del cazzo era ancora rosso, nel frattempo.

– Però oi guarda che la Rita ha il moroso, anche la Claudia, quindi non farti idee che poi tanto non succede. – aggiunse subito dopo.

Qua l’unica è munirsi di un binocolo grande così – gli feci eco – e forse allora c’è qualche speranza per quelli come me e te. Che infatti non mi fa poi così tanta voglia uscirci sai, cioè son proprio altri livelli, che cazzo ci andiamo a fare.

Sei gay, ecco, così è – mi disse.

Intanto il semaforo era diventato verde. Superai istantaneamente la DACIA SANDERO.

Ripresi il discorso – Comunque non sto dicendo che non mi piaccia l’idea di uscire con loro, è che non so neanche come comportarmi, cioè non fan proprio per me queste cose. Di che cazzo parliamo? Cosa posso dire? Non avremo nulla, NULLA in comune con loro due. Che poi non posso neanche bere – conclusi.

– Vabbè, ti prendi una coca
– Una cochina?
– BELLA FRESCA – mi rispose lui ridendo.

Nel frattempo eravamo arrivati accanto al locale dell’appuntamento (che era tra tipo mezz’ora), ma l’avevamo anche già superato in cerca di un fottuto parcheggio.

Guarda là! – fece Giulio – ah no, è a esse, non sai farli te. – Bestemmie come se piovesse.

Alla fine giriamo in tondo due volte e troviamo un buco in una via sperduta. Cinque minuti a piedi.

Imprecai a voce alta.

Arrivammo al pub, strapieno di persone che mi stavano sul cazzo così, a pelle, accalcate fuori a bere. A ogni modo, ci appoggiammo a un muro poco distante, abbastanza per tenere sotto controllo la strada e la porta d’ingresso.

Con tutta la calma del mondo, mi girai una sigaretta e l’accesi. Giulio intanto aveva trovato un suo compagno di squadra e aveva attaccato bottone con questo tizio, alto, quasi pelato, un tribale sulla spalla che sporgeva dalla Ralph Lauren col colletto alzato.

Che cazzo ci faccio qua. Inspirai una lunga boccata, espirai dalle narici.

Una macchina stava svoltando in una via laterale, ma riuscivo comunque a vederla: si accostò alla fermata del tram, che era atteso da alcune donne con i tacchi a spillo: una di loro si avvicinò al finestrino.

Tirando un’altra boccata di fumo, e lasciai quell’anima infelice per dirigere il mio sguardo verso due familiari figure femminili che mi stanno venendo incontro.

Notevole presenza, non c’è che dire. La Rita (che poi, si chiamava Margherita) indossava un paio di jeans neri attillati e una maglia bianca abbastanza ampia, che lasciava intravedere un corpo sinuoso, dalla carnagione molto chiara. Aveva due occhi blu ghiaccio, intensissimi, che in un primo momento riuscii a guardare solo di sfuggita.

Io e Giulio le salutammo ed entrammo assieme nel locale, verso un tavolino abbastanza appartato.

Cominciammo a parlare del più e del meno, io molto più interessato alla Rita che alle favole di Giulio, finché i nostri occhi si incontrarono per un secondo.

Fu come se tutto fosse scomparso avvolto dall’oscurità, e c’eravamo solo io e lei e questo suo sguardo glaciale e prepotente di superiorità e di sprezzante arroganza, enigmatico ma nello stesso tempo così celestiale, in una perfetta terrificante e sublime commistione tra inferno e paradiso; il dolore, il dolore e la piacevole ricompensa che celava. Fu come guardare il Sole, così volsi lo sguardo altrove e rimasi in silenzio.

Dopo circa un’ora ci salutammo, le nostre serate avrebbero preso direzioni diverse, ed era giusto così.

Non ero tipo da baci e abbracci quindi mi limitai ad un asettico “ciao”; il mio sguardo era sempre fisso al suolo e solo mentre Rita saliva in macchina osai sollevarlo a sbirciare, per un fugace istante, la fierezza tempestosa di quegli occhi.

Accompagnai Giulio in centro, rispondendo a monosillabi ai suoi discorsi.

Tornai a casa: i miei erano ancora al lavoro. Accesi lo stereo, Radiohead.

Here I’m allowed
Everything all of the time

Mi spogliai, e mangiai una pizza guardando una stupida commedia, di quelle che trasmettono il sabato sera.

Ice age coming
Let me hear both sides
Let me hear both
Ice age coming
Ice age coming
Throw it in the fire
Throw it in the

Fumai una sigaretta, mi feci una sega e andai a dormire. Quella notte, sognai sconfinate distese di freddo ghiaccio.

Ice age coming
Throw it in the fire

[CoolStoryBro] è la rubrica di Lega Nerd dedicata alla letteratura amatoriale

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