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Dopo diversi giorni di assenza, per mancanza di tempo (e di voglia :D) rieccoci a [url=https://leganerd.com/tag/colorama/]Colorama[/url]!
Per chi non avesse ancora seguito le puntate precedenti, eccole qua: [url=https://leganerd.com/2011/05/21/colorama-01-le-prime-teorie-scientifiche/]un[/url], [url=https://leganerd.com/2011/05/23/colorama-02-newton-vs-goethe/]dos[/url], [url=https://leganerd.com/2011/05/25/colorama-03-la-teoria-percettiva-di-young%E2%80%93helmholtz/]tres[/url] y [url=https://leganerd.com/2011/05/31/colorama-04-i-retinex/]cuatro[/url].
In questa puntata concluderemo (finalmente) la parte “storica” diciamo, della teoria dei colori, per riagganciarci al presente, e per poi (forse) passare nelle prossime puntate a cose un po’ più concrete, probabilmente già note a chi tra voi si occupi di grafica o fotografia, come i modelli cromatici e gli spazi di colore.
Eravamo rimasti alla [url=https://leganerd.com/2011/05/31/colorama-04-i-retinex/]teoria dei Retinex[/url] di Land, che descriveva il colore come un artificio generato dalla mente, in funzione non solo della lunghezza d’onda della luce che colpiva l’occhio, ma anche della luminosità.
Mancava però ancora un riscontro fisiologico di questa teoria, non si sapeva ancora abbastanza del funzionamento del cervello per poterla confermare o confutare.
[title]Gli esperimenti di Zeki[/title]
Negli anni Sessanta, alcuni esperimenti effettuati inserendo microelettrodi nella corteccia visiva primaria di scimmie anestetizzate, dimostrarono l’esistenza di aree del cervello (chiamate [b]V1[/b]) le cui cellule rispondevano specificatamente alla lunghezza d’onda della luce che colpiva i coni retinici, ma non al colore.
Nel 1973, [url=https://secure.wikimedia.org/wikipedia/it/wiki/Semir_Zeki]Semir Zeki[/url], a Londra, ampliando il campo degli esperimenti, riuscì ad individuare una piccola area in ogni emisfero cerebrale, che sembrava specializzata nella risposta al colore.
Queste cellule della cosiddetta [b]area V4[/b], che egli definiva “[i]centri di codifica del colore[/i]”, rispondevano al colore ma non alla lunghezza d’onda, e ricevevano impulsi dalle cellule dell’area V1, tramite una struttura intermedia chiamata V2.
Ogni cellula della V4, quindi, sembrava ricevere informazioni su una porzione del campo visivo, pre-elaborate dalla V1.
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[i]Sopra: struttura della corteccia visiva.
Nell’immagine di testa: scansione [url=https://secure.wikimedia.org/wikipedia/it/wiki/Imaging_a_risonanza_magnetica]MRI[/url] che evidenzia le aree V1 (in rosa) e V4 (in blu) in funzione.[/i]
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Era il riscontro pratico tanto [url=https://leganerd.com/2011/05/31/colorama-04-i-retinex/]atteso da Land[/url]: le registrazioni della luminosità relative ad ogni banda di lunghezze d’onda venivano estratte dalle cellule dell’area V1, sensibili alle lunghezze d’onda, e venivano in seguito confrontate e messe in correlazione tra loro nell’area V4, dalle cellule codificatrici del colore, che davano luogo alla percezione cromatica.
Negli anni successivi, altri studi del settore (condotti da Walter Bishop, lol :D) dimostrarono perfino la possibilità di generare sperimentalmente il colore mediante una stimolazione magnetica dell’area V4, provocando la visione di anelli e aloni colorati. Una specie di trip da LSD, ma mantenendo intatta la coscienza di se.
Oggi le nuove tecnologie di analisi non invasiva (TAC, risonanza magnetica, [url=https://secure.wikimedia.org/wikipedia/it/wiki/Tomografia_ad_emissione_di_positroni]PET[/url], ecc..) hanno reso possibile il rilevamento diretto di tali aree del cervello in tempo reale, durante il loro stesso funzionamento.
[title]I casi di acromatopsia[/title]
Nel 1995, nel suo saggio “[i]Un antropologo su Marte[/i]”, il neurologo statunitense [url=https://secure.wikimedia.org/wikipedia/en/wiki/Oliver_Sacks]Oliver Sacks[/url] illustrò anche il caso clinico di un paziente affetto da [b]acromatopsia cerebrale[/b] (incapacità di distinguere i colori) causata da una lesione delle aree V4.
Il paziente, raccontava, descriveva gli oggetti come se “[i]fluttuassero[/i]”, esposti a luci diverse.
Egli vedeva un mondo in toni di grigio, ma essi cambiavano in modo radicale nelle diverse condizioni di illuminazione.
Gli oggetti rossi, ad esempio, che a lui sembravano neri, diventavano più chiari quando colpiti dal sole del tardo pomeriggio.
La lesione del paziente infatti, non riguardava l’area V1, ma era ristretta alla zona della codifica del colore, l’area V4: egli vedeva la realtà in funzione delle diverse lunghezze d’onda della luce, ma non riusciva a correlare successivamente queste informazioni in modo da generare la sensazione di colore.
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[i]Esempio di lesione di area V1 della corteccia visiva (la zona in scuro, nella TAC), causa di acromatopsia.[/i]
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[b]Fonti:[/b]
“[i]Il colore dei colori[/i]”, Pietro Simondo, 1990
“[i]Un antropologo su Marte[/i]”, Oliver Sacks, 1995
[url=http://www.benbest.com/science/anatmind/anatmd5.html]Cerebral cortex functions[/url], Ben Best
[url=http://www.nitens.org/tesi2000/]Mappe della mente[/url], Dario Taraborelli
[url=http://www.dls.ym.edu.tw/neuroscience/eyecol.html]Color vision[/url], Marjorie A. Murray
[rubrica][url=https://leganerd.com/tag/colorama/][Colorama][/url] e’ una rubrica a cura di @gigiopix sui colori e sulla percezione visiva.[/rubrica]