Molti videogiochi hanno rischiato di non essere commercializzati nel nostro paese a causa dei soliti “benpensanti”. In questo approfondimento proviamo ad analizzare la spinosa questione dei videogiochi adatti a un pubblico più maturo.
Da tempo i videogiochi non sono più un fenomeno di nicchia in Italia. Lo scorso anno, secondo il resoconto di AESVI (l’associazione di categoria che rappresenta l’industria dei videogiochi nel nostro Paese), il giro d’affari dei videogiochi in Italia è stato di oltre un miliardo di euro, con una crescita dell’8,2% rispetto all’anno precedente.
Questi numeri confermano, se mai ce ne fosse bisogno, che il videogioco ha definitivamente perso lo status di hobby per pochi, per diventare un passatempo ampiamente diffuso, praticato non solo da bambini e adolescenti ma soprattutto da adulti (la fascia d’età predominante è quella fra i 35 e 44 anni, sempre secondo il report AESVI). Una vittoria nel nostro Paese che potremmo definire “culturale”, anche se spesso il fenomeno videoludico è stato osteggiato da diversi giornalisti, opinionisti e politici (i cosiddetti “benpensanti”) che più di una volta si sono scagliati contro alcuni videogiochi dal contenuto controverso, fino a metterne in pericolo la commercializzazione o chiedendone il ritiro dal mercato.
Vediamo quali sono stati i casi di questo tipo più eclatanti in Italia.
Il primo caso celebre di videogioco controverso è stato Carmageddon. Il racing game di Interplay, che all’epoca fece scalpore per la possibilità di investire liberamente i pedoni, venne addirittura esaminato dal Parlamento, che dapprima impose il ritiro di tutte le copie presenti sul mercato, poi ne permise la commercializzazione in una versione censurata con zombie al posto dei pedoni e liquido verde al posto del sangue.
Tale censura venne però successivamente aggirata sulla versione PC del gioco mediante una patch che ripristinava le features originali del controverso Carmageddon.
Andò molto peggio a Resident Evil 2: il survival horror di Capcom, dove non mancano mai spargimenti di sangue e violenza, nel 1999 venne ritirato dal mercato con un maxisequestro di tutte le copie ancora presenti nei negozi (venne addirittura vietato lo Spot TV diretto da George Romero), per poi essere regolarmente rimesso in vendita mesi dopo, senza alcuna censura o taglio di sorta dal gioco originale.
Si è invece chiusa con un semplice rinvio della data d’uscita la vicenda legata a Mafia: The City of Lost Heaven. Finito nel mirino di diversi esponenti politici e associazioni antimafia, la distribuzione del titolo dell’allora Illusion Softworks (ora 2K Czech) che vedeva come protagonista Thomas Angelo alle prese con la propria scalata ai vertici della criminalità organizzata nella New York degli anni ’30, è stata bloccata per diversi mesi, fino a quando non è stata rilasciati ufficialmente nel lontano agosto del 2002.
Talvolta, paradossalmente, una pubblicità negativa può portare alla ribalta titoli a cui in pochi avrebbero prestato attenzione. È questo il caso di Rule of Rose, un modesto survival horror per PlayStation 2 accolto tiepidamente da pubblico e critica specializzata, che ha tuttavia goduto di un’improvvisa celebrità da noi dopo gli articoli di testate quali Panorama e Quotidiano Nazionale, che hanno attaccato il titolo a casa di dei presunti contenuti brutali e sadici al suo interno. In particolare è stata presa di mira la scena iniziale del gioco dove la protagonista, Jennifer, verrebbe sepolta viva.
Scena che ha ispirato il titolo dell’articolo“Vince chi seppellisce viva la bambina”. I produttori e i distributori del gioco hanno abilmente replicato sostenendo che si trattasse soltanto di un filmato introduttivo del gioco, dove la protagonista (non una bambina ma una ragazza di 19 anni) si lascia cadere in un baule che viene chiuso e trasportato in un dirigibile (e quindi non viene seppellita, come dal titolo accusatorio dell’articolo). Era una semplice sequenza onirica dove il giocatore non ha, tra l’altro, nessuna possibilità di interazione. Alla fine tutto si è risolto in una grossa bolla di sapone, e il gioco è regolarmente giunto sugli scaffali.
Se c’è una software house specializzata in videogiochi controversi, questa è senz’altro Rockstar Games, i cui titoli sono stati presi di mira ben più di una volta. Nel 2006 usciva Bully che vede come protagonista il giovane e irrequieto Jimmy Hopkins, finito nella scuola privata Bullworth Academy dopo l’ennesimo matrimonio della madre, dove dovrà lottare con diverse bande di bulli e non, per il controllo della stessa.
Anche in questo caso la politica italiana non ha perso occasione per attaccare tale gioco, accusandolo, neanche a dirlo, di incentivare il bullismo nelle scuole. Se in altri paesi, come l’Australia e la Cina, il titolo veniva bandito, in Europa venne ribattezzato Canis Canem Edit (locuzione latina che significa cane mangia cane) prima di essere commercializzato.
Altro titolo made in Rockstar a finire nell’occhio del ciclone fu Manhunt 2. Sebbene il primo Manhunt sia stato commercializzato senza problemi, la pubblicazione del sequel venne bloccata in diversi paesi, fra cui non poteva ovviamente mancare l’Italia, sempre a causa della violenza esplicita presente nel gioco, dove il giocatore doveva guidare il protagonista, Daniel Lamb, nella sua fuga da un ospedale psichiatrico.
Viste le difficoltà di pubblicazione in diversi paesi fra cui Stati Uniti, Gran Bretagna e Irlanda, il titolo è stato pesantemente censurato (soprattutto nelle fasi d’esecuzione dei nemici), per poi essere commercializzato con più di un anno di ritardo rispetto alla data d’uscita prevista originariamente. Una versione integrale dell’originale Manhunt 2 è stata poi resa disponibile illegalmente in rete grazie ad un ex-dipendente Sony.
E per chiudere in bellezza non possiamo non parlare del videogioco controverso per antonomasia, vale a dire la serie Grand Theft Auto. Per quanto riguarda il quarto capitolo di GTA, il Codacons chiese, nel 2008, il ritiro del titolo dal mercato, adducendo motivazioni come l’istigazione a delinquere e altri fatti assolutamente non veritieri come la presenza di scene di violenza sessuale all’interno del gioco. Il titolo è stato comunque regolarmente distribuito senza ulteriori problemi.
Come abbiamo visto, nonostante la caccia alle streghe intentata da esponenti politici e associazioni varie, il videogioco ha sempre vinto la propria battaglia, ottenendo, magari in ritardo, la tanto agognata commercializzazione, quasi sempre nella forma concettuale originaria (ad eccezione del povero sopracitato Manhunt 2).