Sulla scia degli horror claustrofobici e dalla struttura chiusa con cast al femminile arriva al cinema 47 Metri di Johannes Roberts con protagoniste Mandy Moore e Claire Holt.
Quanti di voi hanno paura degli squali? Sicuramente il caro zio Steven (Spielberg, ovviamente) ha contribuito non poco a questa fobia, eppure c’è chi addirittura, temerario e un po’ sciocco, sfida il brivido e sprofonda nelle acque dell’oceano infestate da queste creature temibili.
Questo è esattamente il caso di 47 Metri, horror ambientato quasi interamente all’interno dei fondali marini messicani infestati dagli squali.
La vicenda ruota attorno a due sorelle che, in bilico tra l’adrenalina da vacanza e il far colpo sulle nuove conquiste, decidono di immergersi nel mare messicano all’interno di una gabbia che, teoricamente, dovrebbe difenderle dalla temibile minaccia.
Il survival movie al femminile è una moda che, negli ultimi anni, ha preso piede nel cinema. Lo avevamo già visto qualche anno fa, proprio a tematica squali, con Blake Lively in Paradise Beach – Dentro L’incubo, e che in 47 Metri tende a perfezionarsi aggiungendo ben due protagoniste. Pellicola che, ovviamente, vuole giocare moltissimo con la carica emotiva dei suoi personaggi, sfruttando al massimo il legame delle due giovani.
L’idea di fondo è proprio quella di chiudere lo spettatore, assieme alle protagoniste, all’interno di questa gabbia e godersi il panorama, mentre squali affamati e impazienti scrutano la struttura in metallo.
Sebbene la più grande Lisa (Mandy Moore), sulle prime sia scettica, alla fine si lascia convincere dalla più giovane e intraprendente Kate (Claire Holt), tuffandosi in questa “piccola” follia.
In fondo, in una gabbia di metallo di un peschereccio abusivo, immersi in acqua e con una riserva d’aria di circa sessanta minuti, cosa potrà mai andare storto?
Per esempio, che la gabbia possa sganciarsi, incastrando le protagoniste a 47 Metri dalla superficie, con i minuti contati, un branco di squali affamati e indispettiti, e l’unica salvezza uscire dalla gabbia e riuscire a comunicare con la superficie.
Cosa spinga davvero l’essere umano a sfidare così tanto il destino resta un mistero, ma il vero mistero è come si faccia a sbagliare in pieno una pellicola del genere che, con le sole premesse, sarebbe potuta essere un horror/thriller discreto.
Il problema principale di questo film non è esclusivamente la sua storia che, in fondo, resta un incipit sempre verde e interessante. Pur non basandosi su una storia originale, pellicole che giocano con le paure dello spettatore, le trappole mortali e le “time bomb da disinnescare” prima che sia troppo tardi, sono sempre uno stimolo molto piacevole per lo spettatore. Una sorta di guilty pleasure che, di tanto in tanto, è anche giusto andare a vedere.
Il vero problema del film, che raggiunge i suoi picchi unicamente per quei due minuti – su quasi 90 di film – di squali, è la totale mancanza di una vera e propria sceneggiatura. Il voler apportare, non tanto un minimo di originalità, quanto della vera passione. Costruire un vero meccanismo di tensione che possa portare lo spettatore a provare il vero terrore, pur non avendo una storia davvero solida e forte.
Pur volendo sorvolare sull’ingenuità delle due protagoniste che, pur constatando quanto sia vecchia la gabbia (se non cadi nell’oceano il rischio di tetano è assicurato), decidono di tentare l’immersione restando, inevitabilmente, bloccate sul fondo marino a 47 Metri dalla superficie, tutto il resto è un continuo no sense costellato da dialoghi didascalici e insopportabili.
Ogni minima azione presente all’interno del film viene ripetuta dai dialoghi – e spesso anche monologhi – delle due protagoniste.
Più che a un thriller ad alta tensione, sembra quasi di assistere a una proiezione di un trip dopo un’eccessiva assunzione di allucinogeni.
Una pièce grottesca dove la tensione e l’ansia, quella poca che si era riusciti a costruire all’intero della pellicola, viene totalmente resa vana a causa di una sceneggiatura elementare, colma di incongruenze. Lì dove si tenta una semina interessante, di dettagli utili per la conclusione, sul finale si rimane inevitabilmente delusi per la banalità di una chiusura fin troppo immaginata.
In pellicole del genere non si ha neanche più paura dello squalo, ma tutto ciò che spinge ad andare avanti con la visione è vedere fin dove i protagonisti sono in grado di spingersi, sperando, nel proprio profondo, che passino a miglior vita nel minor tempo possibile.
Una sorta di horror che, alla fine, diventa una commedia, portando lo spettatore a ironizzare sulla scherma e partecipare alla proiezione unicamente per scorgere ogni piccolo paradosso all’interno di essa.
Le stesse attrici, le quali ovviamente sono anche costrette dai dialoghi poveri, inutilmente enfatici, didascalici e insopportabili, risultano immediatamente poco credibili. La partecipazione dello spettatore è del tutto assente, inesistente.
L’unica tensione che si può provare viene dettata un po’ dalle musiche, dal contesto in generale e dall’incredulità di quanto si possa essere folli nel voler tentare una simile “avventura”.
Probabilmente, un’idea del genere, considerando le nuove tecnologie, sarebbe più efficace se lo spettatore fosse munito di VR, puntando unicamente sulla spettacolarizzazione della scena e non sulla narrazione.
Ma un qualcosa del genere, possiamo davvero definirlo cinema? Dobbiamo davvero accontentarci di così poco quando, un lavoro più certosino sul copione, magari semplificando ancora di più il racconto, riducendo ai minimi termini i dialoghi e usando unicamente l’essenziale.
Del resto: less is more.
Il vero pregio di 47 Metri è quello di riuscire a divertire lo spettatore e fargli passare un’ora e mezzo che, nonostante gli evidenti difetti, riesce a scorrere.
https://www.youtube.com/watch?v=Eik2MlPxjv8
47 Metri è al cinema dal 25 Maggio.