Breve excursus sul brand di Tron. Ancora presto per definirlo una trilogia prima ancora che una saga: composto ad oggi di sole tre produzioni, nonostante i suoi ben 34 anni di età, questo titolo ha contato in particolar modo su due fattori: grafica strabiliante e sonoro potente.
Il primo Tron (1982, Steven Lisberger) ci aveva fatto sognare. Era un titolo di successo divenuto poi un vero cult che contribuì notevolmente all’espansione dell’immaginario relativo al grande sogno “informatico”, elaborando una interpretazione autentica del tema della “realtà virtuale”, socialmente avvertito in quegli anni, ed infatti diffuso in molte pellicole dell’epoca.
In particolare presentò al pubblico degli effetti speciali che non si erano mai visti sino a quel momento, una “computer grafica” del tutto rivoluzionaria, per la quale stranamente non ottenne una candidatura agli Oscar del 1983, candidandosi invece per il design dei costumi.
In ogni caso tutto l’aspetto visivo di Tron era innovativo, un minuzioso lavoro di design che enfatizzava gli ambienti, i personaggi e gli oggetti della realtà virtuale (caratterizzati da luminosità artificiali nei costumi futuristici e nelle scie di luce, come nelle celebri scene di gara con le lightCycle) in un parallelismo sempre vivo con il mondo dell’eletTRONica e qualche strizzatina d’occhio per gli amanti dei videogames (il noto videogioco per cabinati, che riscontrò un notevole successo, realizzato successivamente all’uscita del film e sulla scia del successo che ne scaturì, presentava vari stage basati sulle scene della pellicola come la corse o il lancio del disco).
Tron ricevette una candidatura all’oscar anche per il miglior montaggio sonoro, era il primo film della Disney ad essere realizzato con suono registrato esclusivamente in Dolby Stereo.
Per la colonna sonora la Disney chiese la collaborazione di Wendy Carlos (compositrice anche del noto film di Kubrick: Shining) artista pioniere dell’elettronica, nonché, quando era uomo, uno dei primi ad aver usato il sintetizzatore Moog.
Il brano “Only solutions”, secondo pezzo nei titoli di coda, che si sente anche quando Lora e Alan entrano nella sala giochi di Flynn, è del gruppo rock Journey, autori anche del pezzo “1990’s Theme” che si ascolta in sottofondo nella scena in cui nella sala alcuni clienti giocano al cabinato delle LightCycle.
Flynn (Jeff Bridges), geniale programmatore informatico e proprietario di una sala giochi, sotto pressione dei rivali imprenditori, finiva per una serie di vicende, nel mondo distopico e totalitario del computer, dove tutti i programmi obbedivano agli ordini del capo Master Control Program. Una via di salvezza per uscire da quella realtà, era solo un file ribelle: Tron (Bruce Boxleitner)
Non ci furono seguiti, fino a Tron Legacy (2010, Joseph Kosinski) di cui se ne sono dette ormai di cotte e di crude, ma molte più di crude, perché dopo quasi 30 anni ed un hype così alimentato, da un sequel di un film tanto innovativo, ci si aspettava – forse – qualcosa di altrettanto epico, mentre quello che si registrò fu invece un effetto boomerang.
Invero, anche ad una semplice analisi, c’è sicuramente da riconoscere che ancora una volta è stato compiuto un lavoro artistico impressionante visto come gli occhi vengono comunque, costantemente stimolati e stuzzicati dalle forme sinuose delle tute futuristiche e degli oggetti come i dischi, le strade sulle quali avvengono le bellissime corse con le rimodernizzate lightCycle (rese un elemento ancora più presente).
Particolari i colori e le luci, che sono l’esatta trasposizione dell’universo del primo film, ma riadattato con i requisiti tecnici ben più elastici e permissivi dell’era moderna (o meglio, del 2010, ma giuro che a vederlo oggi, è ancora visivamente spettacolare).
Pur nei fedelissimi rimandi al primo capitolo (la sala giochi di Kevin Flynn praticamente identica, la porta gigante della Encom) sono state introdotte molte notevoli invenzioni ma senza sostituirle ai capisaldi concettuali, come le corse in moto, i lanci del disco, i mezzi di trasporto “militari” dell’armata del tiranno, tutto è impeccabilmente curato nell’estetica e soprattutto nelle atmosfere, gonfiate dalla accurata colonna sonora, che non poteva che essere di genere elettronica e ad opera dei Daft Punk (compaiono pure in un simpatico cammeo, nei panni dei dj di un locale nel mondo virtuale) insieme ad una orchestra di ben cento elementi.
Il sound anche stavolta è potentissimo, amalgamato perfettamente alle scene d’azione ed alle inquadrature dell’universo inquietante del computer. Il brano probabilmente più empatico risulta Derezzed che è anche l’unico singolo estratto di cui è stato realizzato un videoclip omaggiante della pellicola. Ancora si possono ascoltare i Journey, con il brano Separate Ways (Worlds Apart).
C’è peraltro ancora K. Flynn (sempre il buon Jeff Bridges) anche se il protagonista è ora il figlio, Sam (Garrett Hedlund), anche lui pronto ad immergersi nell’altra realtà , per fare la conoscenza, non solo del ribelle buono Tron (che è ancora il bravo Bruce Boxleitner) ma anche di alcune sconcertanti verità in merito a suo padre.
Purtroppo non ottiene una resa brillante nella fruibilità complessiva della narrazione, per via di una sceneggiatura discontinua, a tratti dispersiva e altre volte caotica.
Lo sforzo estetico non è supportato da quello narrativo, il cui sviluppo si arroventa spesso su se stesso, non risultando piacevolmente lineare. I personaggi inoltre, non hanno il dovuto spessore, persino Tron e Flynn, naturalmente invecchiati, sembrano ben lontani dai personaggi del primo titolo, a conti fatti di tutto quanto, finisci per ricordarti solo che c’erano dei belli effetti speciali e delle belle musiche.
Ci sono alcune gustosissime trovate, come l’accesso da parte di Sam nel mondo informatico, tramite un “coin” da inserire nel cabinato, ereditato dal padre (una scena che sembra voler deliziare i retrogamer tutelando anche questo sfocato aspetto sotteso all’universo concettuale di Tron giunto al secondo film) o l’idea stessa dei file “iso”, una civiltà vivente creata da il vecchio Flynn ed in grado a loro volta di generare nuova vita.
Ciò nonostante le belle idee vengono sovvertite dalla troppa carne al fuoco, che non trovando una pianificazione ordinata crolla in conseguenza sul ritmo della narrazione, discontinuo e lento. Insomma, non fu un memorabile successo, motivo per cui in molti hanno pensato che non si sarebbe più sentito parlare di Tron.
Fino al 2012 almeno, anno in cui uscì la serie animata, trasmessa sul canale televisivo Disney XD. In Italia, il doppiaggio interessò solo una manciata di episodi trasmessi sull’equivalente palinsesto, che sotto il titolo di “Tron: la serie” nonostante le buone premesse fu interrotta e rimossa brevemente dalle programmazioni.
Di cosa si trattava in realtà? Reperire e vedere tutti gli episodi in lingua originale, è stata per me una piacevole e sorprendente esperienza, ma a conti fatti, risulta chiaro il motivo per cui si è optato per la rimozione, non è la classica serie che ci si aspetta di trovare nella programmazione dei bambini, presentando contorni tutt’altro che edulcorati ma all’opposto proprio cupi, atmosfere opprimenti, ambientazioni alienanti (non è una esagerazione, ogni scena ambientata nella discoteca di Argon imprime un senso di oppressione incredibile, nonostante quello è unico dei pochi “luoghi” di svago della civiltà posta sotto al dominio della tirannia). Insomma, è chiaro che Tron: Uprising è molto di più di un cartone animato.
Alcuni mattacchioni giù alla Disney, tra i quali Steven Lisberger (il regista del primo film) insieme ad altri collaboratori come gli autori di Lost Adam Horowitz ed Edward Kitsi, hanno ben ponderato di recuperare le riuscitissime atmosfere partorite con Tron Legacy per ambientare una nuova storia che ne precedesse i fatti, ovvero, collocata tra il primo ed il secondo capitolo cinematografico.
Ciò avrebbe potuto recuperare le sorti della saga, con una narrazione composta da sceneggiature più curate (su una serie animata di 18 episodi da 20. min l’uno, è stato di fatti possibile) ed ancora una volta, la inconfondibile cura per l’estetica, che in chiave di animazione prima ancora che CGI, avrebbe permesso maggiore estrosità creativa.
Entrambi gli obiettivi sono stati pienamente realizzati. la serie, nei suoi 19 episodi propone una versione dell’universo Tron, fondendo alcuni punti salienti dello stile super-eroistico alla fantascienza pura che inquadra la distopia della scienza e della tecnica .
In primo luogo colpisce proprio per l’animazione molto curata nei combattimenti coinvolgenti, nelle armature, armi, i mezzi di trasporto, ancora le LightCycle elemento imprescindibile di ogni produzione Troniana.
Le gare in moto sono una componente centrale che incalza il coinvolgimento rendendo lo stile ancora più frizzante, lo stesso si può dire dei vari scontri nella griglia con il lancio dei dischi di memoria: la pena di morte prevista dall’imperatore di turno.
Alcune sequenze ricordano Matrix verso cui in molti spunti è ovviamente ispirato, ed hanno dei tagli del tutto cinematografici, soprattutto si godono costantemente le varie inquadrature delle ambientazioni: le città informatica di Argon nel quale è prevalentemente ambientata la storia, brilla di colori neon-blu ma è propensa a dipingersi di arancione e rosso con il sopraggiungere delle guardie e dei cattivi; nei suoi spazi angusti e chiusi, nonostante teoricamente illimitati, ricorda Blade Runner.
Il protagonista è il programma Beck, riparatore di Lightcycle ed altri veicoli (i files meccanici ed operai in genere sono illuminati di verde) che per vendicare la tirannia dello spietato generale Tesler e del sovrano CLU, dopo che il suo amico Bodhi viene dissolto in pixel dalle guardie del tiranno, viene allenato dal leggendario e “scomparso” Tron per diventare il temuto “Ribelle“.
Una trama, che se non fosse per il logo di “Disney XD” la cui grafica animata sovrasta sovente le scene durante la proiezione televisiva, è contraddistinta dai contorni nemmeno troppo Disneyani, visto il grande tema della rivoluzione. Ok che Star wars anticipava il tutto già da tempo (e sotto alcuni aspetti, peraltro, vi sono alcune similitudini con la serie di The Clone Wars ) ma più in generale vi sono scontri spesso duri, con sacrifici annessi, ed una certa spietatezza di fondo, che condisce tutto il “mondo artificiale” di una climax ansioso.
Un aspetto particolare di questa “nuova versione” è che per la prima volta non c’è un protagonista, subentrato dalla realtà materiale in quella virtuale. Ma la storia nasce e finisce direttamente nella realtà virtuale, presentandoci gli abitanti di Argon (i files) totalmente consapevoli del loro mondo in cui sono nati e cresciuti.
Ciò contribuisce a rafforzare la sospensione della credibilità del mondo immaginario, reso ancora più legittimato ad apparire illogico ed opposto a quello vero, e in cui i files, non si dimostrano meravigliati affatto delle loro condizioni esistenziali.
Sottovalutato da noi eppure, se da un lato dispiace che la poca notorietà non lo abbia fatto assurgere al giustiziere per rimediare alle lacune di Tron Legacy (nemmeno in Usa, la serie infatti è ferma alla prima stagione, nonostante il finale dell’ultimo episodio, si dimostri chiaramente disponibilissimo a continuare a raccontare cose) a conti fatti, se pur non la finiranno mai di doppiare, è meglio così: i personaggi si esprimono con le voci azzeccatissime di Elijah Wood (il protagonista Beck), Fred Tatasciore (Kevin Flynn e Clu) Lance Henriksen (Il Generale Clu), Bruce Boxleitner a doppiare il personaggio da lui già interpretato due volte (Tron) ed altre celebrità, le cui voci difficilmente possono essere adattate mantenendone alterata la qualità nella commistione.
Queste di cui abbiamo parlato sono le tre produzioni ufficiali che compongono il brand di Tron, un personaggio iconografico nella cultura Geek, che ha saputo proporre un tipo di intrattenimento fantascientifico e di alto livello sia estetico che concettuale.
Dunque si spera che pure a rilento, i prossimi eventuali titoli continueranno in questo modo, a preservare il buon nome del nostro mitico ribelle informatico.