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The Smoot-Hawley Tariff Act

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C’è stato un periodo turbolento nella storia dell’economia in cui ognuno si sentiva libero di dire la sua fesseria idea per uscire dalla crisi. Un periodo oscuro dove idee che sembravano buone sulla carta (principalmente per chi le faceva, gli altri restavano scettici) si rivelavano in verità delle grandi cabbagiate. Un’era dove in nome della protezione della propria economia si votarono leggi che ebbero effetti distruttivi.

Certo oggi i tempi sono diversi e queste cose non succedono più :troll: .
Oggi ridiamo crassi dell’ingenuità che ha spinto tante persone a credere a idee così strampalate :troll: .

Parleremo di crisi, dazi, idee balzane e teoria degli schiaffi.

Ma è giusto che certe storie siano ricordate quindi oggi, nella novella puntata di che mi frega di sta roba che tanto moriremo tutti poveri il quarto d’ora di economia di dubbia utilità parleremo di crisi, dazi, idee balzane e teoria degli schiaffi.

 

 

La Grande Crisi

Per inquadrare meglio la situazione dazi dobbiamo aver presente la situazione storica degli USA. Nel 1922 era passato il Fordney–McCumber Tariff che alzava le tariffe su beni importati nell’ambito dell’agricoltura e dell’industria, e già li c’erano state le proteste di svariati economisti. Ma nel 1922 l’economia spingeva e quindi l’effetto fu limitato.

 

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È il 1930, l’economia è in fase recessiva e gli Stati Uniti soffrono.

Ma adesso è il 1930, nelle sale da ballo impazza il lindy hop e il jazz è alla portata di tutti, purtroppo però l’economia è in fase recessiva (iniziata nel 1929) e gli Stati Uniti soffrono, come tutto il resto del mondo che conta.

Alla casa bianca c’è Hoover che ha fatto campagna elettorale promettendo di proteggere gli agricoltori americani a costo di alzare i dazi sulle importazioni di beni agricoli.
Benché la conferenza economica mondiale del 1927 aveva concluso con:

[…] the time has come to put an end to tariffs, and to move in the opposite direction.

Questo non sembra toccare le convinzioni dei repubblicani più di tanto.

Così a metà del 1929 due gagliardi repubblicani presentano una nuova idea di tariffe per salvaguardare l’economia americana.

I due sono persone semplici che vogliono solo aiutare i loro compatrioti, gente che crede di fare il bene del popolo ma che non ha la minima preparazione econo
mica (“onesti” direbbe qualcuno), dopotutto lo stesso act si presenta così:

An Act to provide revenue, to regulate commerce with foreign countries, to encourage the industries of the United States, to protect American labor, and for other purposes.

La classica strada per l’inferno lastricata di buone intenzioni.

 

 

L’Opposizione

Come sappiamo bene tutti l’economia è una dolce ragazza con le codine, è una ragazza intelligente, che sa qual è la cosa giusta… ma è molto timida così, quando i politicanti fanno la voce grossa, si spaventa e finisce che nessuno la ascolta.

Ci fu ovviamente un’opposizione allo Smoot-Hawley Tariff Act, nel maggio del 1930 oltre mille economisti tra cui gente del calibro di Irving Fisher firmarono una petizione chiedendo al presidente Hoover di vetare la legge, lo stesso fecero J. P. Morgan e Henry Ford.

Nemmeno il presidente Hoover era convinto, arrivando a definire la legge “vicious, extortionate, and obnoxious” salvo poi piegarsi alla volontà del suo partito e rendere effettiva la legge.

 

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La Legge e i Dazi

Cosa sono i dazi? Banalmente sono delle tassazioni sui beni in ingresso. I dazi di solito nascono con il nobile scopo di proteggere la propria economia o segmenti della propria economia. Il principio è il seguente:

Il dazio serve a rendere più competitivo il mio bene rispetto a quello del mio vicino attraverso la leva della tassazione.

Io produco il bene X al costo di 90 e lo vendo al prezzo di 100, il mio vicino produce il mio stesso bene al costo di 70, viene nel mio paese e lo vende ad 80.

Di conseguenza il mio bene è messo fuori mercato, la mia azienda chiude e tutti vissero felici e contenti. Il dazio serve a rendere più competitivo il mio bene rispetto a quello del mio vicino attraverso la leva della tassazione.

Lo Stato, vedendo che il mio bene costa troppo, decide di operare per alzare artificialmente il valore dei beni in ingresso così da rendere il mio competitivo, ad esempio dicendo “i beni che vengono da fuori saranno tassati di 30”.

A questo punto il mio bene torna competitivo non per le qualità del bene o del processo produttivo, quanto perché c’è una distorsione del mercato imposta attraverso la tassazione (a me costa sempre 90 produrlo, al mio vicino 70 ma poi per vederlo da me deve sborsare 30, quindi è come se gli costasse 100).

I dazi hanno vari effetti, spesso poco gradevoli, uno tra tutti è abbattere (in parte) la concorrenza e rendere quindi inutile un processo migliorativo del mio bene o del mio sistema produttivo: non sarò interessato a fare le cose meglio o a prezzo minore fintanto che le mie merci saranno tutelate attraverso la tassazione.

A nessuno piace pagare il prezzo del tuo benessere.

Ma il side effect più pernicioso è che quando si mette un dazio spesso non si considera una cosa tanto semplice quanto pericolosa: a nessuno piace pagare il prezzo del tuo benessere.

Ogni volta che una nazione cerca di farsi bella ai danni delle altre le altre non stanno (quasi) mai a guardare, di conseguenza, storicamente, ogni volta che una nazione ha imposto dei dazi sulle importazioni le altre hanno fatto la stessa cosa verso di lei.

Si chiama legge degli schiaffi: se tu dai uno schiaffo a me io ne do uno a te e si finisce per prendersi a manate.

Lo Smoot-Hawley Tariff Act imponeva una marea di dazi su una vagonata di beni, talmente tanti che ancora oggi gli economisti si arrovellano su quanto fosse effettivamente la tassazione. Il presidente Hoover pensava che la legge, per quanto stupida, avrebbe avuto effetti limitati.

Sulla carta la tassazione sarebbe cresciuta circa di appena un 8% in media e si sarebbe tradotta in circa un 6% in più sul costo dei beni, le importazioni, dicevano, sarebbero scese di un 4-6% al massimo.

 

 

 

Le Conseguenze

Purtroppo per Hoover l’economia è una scienza complessa dove bisogna tenere conto di molte variabili prima di prendere una decisione e, all’epoca, altre grandi forze erano all’opera.

Da un lato la crisi degli anni precedenti aveva portato a un crollo dell’economia americana che si era tradotta in una forte deflazione, dall’altro le tariffe erano calcolate “a quantità” più che “a valore” (ossia era tassato un tot per ogni tot di roba venduta non per ogni tot di valore di roba venduta).

La deflazione era frutto di un calo generale dei prezzi dei beni, il che rendeva già scarsamente vantaggioso vendere negli USA e il sistema di tassazione colpì in maniera indiscriminata i beni al di là del loro effettivo valore di vendita.

Il valore delle tariffe sui beni esplose raggiungendo il 59.1% del valore dei beni, il punto più alto mai raggiunto dal 1830, e colpendo oltre 3200 prodotti di importazione.

Da quel punto in poi le cose collassarono.

I primi a reagire furono i canadesi che risposero incrementando i loro dazi alle merci in ingresso dagli Stati Uniti.

Quindi fu la volta delle nazioni europee, le importazioni dal vecchio continente crollarono dai 1.334 milioni di dollari del 1929 ai 390 milioni di dollari del 1932, gli europei non si tirarono indietro, maestri dello schiaffo alzarono dazi doganali al punto che le esportazioni USA verso l’Europa collassarono da 2.341 milioni di dollari del 1929 ai 784 milioni del 1932.

A catena gli altri stati alzarono barriere doganali, tra il 1929 e il 1932 il commercio mondiale crollò del 66%.

Tra il 1929 e il 1932 il commercio mondiale crollò del 66%

Ovviamente il commercio non crollò solo a causa delle tariffe ma anche per una serie di altri fattori (crollo della produzione, deflazione), è difficile fare stime precise su quanto ogni fattore influenzò il tracollo, ma la somma di una situazione delicata e pessime scelte economiche porto alla distruzione degli scambi.

 

 

 

Conclusioni

Come spesso accade, dopo che nessuno aveva ascoltato l’economia arrivò la sua amica, la realtà, e fu molto meno gentile.

Dopo che nessuno aveva ascoltato l’economia arrivò la sua amica, la realtà, e fu molto meno gentile.

Ci si potrebbe chiedere se le scelte politiche ebbero per lo meno un ritorno sociale, la risposta è no. La disoccupazione, che era al 7.8% quando lo Smoot Hawley Tariff Act entrò in vigore, raggiunse il 16.3% un anno dopo, toccò il 24.9% nel 1932 per poi assestarsi su un confortevole 25.1% nel 1933.

Di nuovo, la colpa non è imputabile alle tariffe (o lo è in parte), ma di sicuro l’imposizione di dazi non migliorò la situazione nemmeno nei campi in cui si proponeva di avere un effetto sociale benefico.

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Ma quindi c’è un lieto fine a questa storia?

Bhe si, sia Smooth che Hawley non furono più rieletti, nel 1934 Roosevelt vinse le elezioni e mise fine alle sistema di dazi negoziando una serie di accordi di commercio bilaterali con i vari stati.

E gli economisti poterono dire al mondo “te l’avevo detto” per un buon decennio. Ma soprattutto il mondo imparò qualcosa su come funzionano i dazi. Cosa che alcuni oggi sembrano essersi dimenticati.

Certo una domanda rimane: come sarà andata a finire la lotta delle donne contro la gang delle lavanderie? Davanti a certi interrogativi nemmeno l’economia ha risposte.

 

 

 

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