La seconda guerra mondiale, seppur a caro prezzo, aveva dato un forte impulso alla medicina: penicillina, trasfusioni di sangue, vaccinazioni antitetaniche ed antimalariche, ed il metadone. Una volta cessato il conflitto, le ricerche biomediche continuano, anche quelle sugli antidolorifici.
Siamo nel 1947, nei laboratori della Hoffman-La-Roche: i due chimici Albert Ziering e John Lee sono al lavoro tra beute, cilindri e bilancini nel tentativo di produrre un analogo della morfina, altrettanto efficace nel sedare il dolore, ma non nel creare dipendenza.
Alla fine, dopo vari tentativi, ottengono una nuova molecola, il, 3-imethyl-4-phenyl-4-propionoxypiperidine (al volgo MPPP o Desmethylprodine).
L’entusiasmo dei nostri viene però presto smorzato: purtroppo il nuovo farmaco non è che una semplice variante della Mepiridina (commercialmente Demerol), e ne presenta sia la stessa efficacia che gli stessi effetti collaterali.
Dopo aver pubblicato i risultati su di una rivista specialistica, il progetto viene chiuso e dimenticato.
La calda estate di Barry Kidston
Passano gli anni, e le guerre continuano. Finisce il Vietnam: una delle guerre più dure per i soldati statunitensi, che vede una massiccia diffusione delle droghe per resistere al logoramento del fronte.
Dei reduci, il 15% circa è dipendente dall’eroina, e con il loro rientro questa prende prepotentemente piede per le strade.
Ma altri conflitti, in Turchia ed Afghanistan, riducono la disponibilità del papavero da oppio, spingendo lo sviluppo di analoghi sintetici per far fronte alla sua crescente domanda.
Ed è allora, nel Maryland del 1976, che un giovane ed intraprendente studente di chimica, al secolo Barry Kidston, decide di mettere a frutto i suoi studi cercando di dare al mercato quello che chiedeva, coprendosi però al contempo le terga: una droga per uso ricreazionale, ma legale.
Da diligente scienziato Barry comincia la sua ricerca in biblioteca, dove finisce con l’imbattersi nell’articolo di Ziering e Lee. E lì ha un’illuminazione.
L’MPPP è una molecola altra dal Demerol, di cui l’FDA non si è mai interessata: sintetizzarlo quindi gli potrebbe fornire un oppiaceo con gli effetti del primo (molto richiesto sulle strade), ma senza le sue restrizioni legali. Cosa può andare storto? È giovane, è un chimico, e la sorte sembra arridergli.
Barry allestisce quindi un piccolo laboratorio nello scantinato della casa dei genitori, e possiamo immaginarcelo lì, intento a sintetizzare con successo il suo MPPP e a sballarsi con i frutti suo duro lavoro mentre alla radio passano Led Zeppelin, Queen, ed Iron Maiden. Tutto procede per il meglio. Per alcuni mesi.
Ma un giorno, poco dopo aver iniziato un nuovo bench, Barry comincia sentirsi strano. I movimenti si fanno sempre più lenti e difficoltosi, sino a che non riesce più né a muoversi né a parlare: Barry è pietrificato.
Viene ricoverato, e siccome Asclepio non ritiene la punizione sufficiente alla sua ubris, gli viene diagnosticata una schizofrenia catatonica, ed è allora sottoposto ad un classica terapia elettroconvulsiva di routine. Per lunghi mesi.
Alla fine, però, la diagnosi viene corretta: morbo di Parkinson.
Sembra strano, in un soggetto così giovane, ma il trattamento con la L-Dopa, terapia in uso ancora ad oggi per questa patologia, ha effetto, ed il giovane è libero.
Barry può nuovamente parlare, e piangendo racconta tutto ai medici: subito una task force dell’ NIMH (National Institute of Mental Health, branca dell’NIH) piomba nel suo opificio e preleva campioni della sua ultima partita.
Le analisi rilevano che l’ MPPP non è puro, ma presenta di fatto anche rilevanti tracce di una sostanza simile, l’1-methyl-4-phenyl-1,2,3,6-tetrahydropyridine, o MPTP, un’impurità che si crea ad una temperatura superiore ai 30°C nel processo di sintesi. Facile in estate.
Il ragazzo ha osato troppo, e dovrà pagarne le conseguenze per il resto della sua vita. Cioè non per molto: depresso, nel giro di qualche mese Kidston muore d’overdose.
Il dottor Davis, che ha seguito questo strano paziente, ne esegue l’autopsia e rileva una perdita dei neuroni dopaminergici della Substantia Nigra, confermando la diagnosi di Parkinson.
Il caso viene riportato in un articolo, a firma dello stesso Davis, che infiamma le speranze dei ricercatori.
Questi mancano ancora di un valido modello animale della patologia, capace di riprodurne sia il pattern neurodegenerativo che il profillo temporale ed i sintomi.
Dalla fine degli anni ‘60 infatti il metodo più diffuso per lesionare i neuroni dopaminergici è l’impiego della neurotossina 6-OHDA, la cui eccessiva efficacia però, paradossalmente, permette solo lesioni localizzate e dallo sviluppo troppo rapido.
Si conducono alcuni test pilota sui ratti, ma con deludenti risultati: i roditori mostrano sì dei sintomi parkinsoniani, ma solo per alcune ore, e non in modo permanente come Barry.
Langston ed i frozen addicts
La ruota del tempo continua a girare, e così pure la buona musica e l’eroina. Nel caldo luglio del 1982, il 42enne George Carillo viene ricoverato al Santa Clara Valley Medical Center di San Jose, paralizzato in una posizione contorta, grottesca.
Il dottor J. William Langston, primario di neurologia della struttura, non un ha dubbi sulla diagnosi: Parkinson. I medici sono perplessi, data l’età del paziente, ma in alcuni rari casi è possibile. Il fatto poi che Carillo risponda alla L-Dopa fuga ogni dubbio.
Pochi giorni dopo, a Watsonville, un centro trenta miglia da San Jose, viene riportato il caso di due fratelli, tossicodipendenti, ricoverati con la stessa prognosi.
C’è qualcosa di strano, e Langston decide di indire una conferenza stampa, annunciando che per le strade si spaccia una droga molto pericolosa ed invitando alla cautela.
Ma per alcuni è troppo tardi: alla fine in pochi giorni nella California del nord vengono ricoverate sei persone, tutte dichiarate affette dal morbo di Parkinson.
I soggetti, emersa la loro comune storia di sostanze da abuso e l’incapacità a muoversi, vengono chiamati dai media “the frozen addicts”, i tossici congelati.
Le indagini rivelano che tutti avevano assunto dell’eroina sintetica venduta con il nome di “China White”, cucinata da alcuni spacciatori locali in un garage. Arresto, confisca ed analisi: MPPP ed MPTP.
La faccenda potrebbe finire lì, se non fosse che uno dei tossicologi coinvolti nell’ operazione si ricorda del caso Kidston e ne parla con il dottor Langston.
Questi allora, esaminando il report di Davis, scopre che il giovane chimico aveva preparato la sostanza seguendo l’ormai dimenticato protocollo di Ziering e Lee, e si reca alla biblioteca di Stanford per esaminare l’articolo originale.
Ma qualcuno è giunto prima di lui, ed ha strappato quelle pagine dalla rivista. Da qualche parte, un altro incauto studente di chimica sta sintetizzando e vendendo come eroina l’MPPP. Nel migliore dei casi.
Sarà la polizia ad occuparsene, ma Langston è un uomo di scienza, e come tale a lui interessa il potenziale dell’ MPTP nella sperimentazione biomedica.
È convinto che la neurotossina e la degenerazione dopaminergica debbano essere per forza legati, e nonostante i precedenti fallimenti con i roditori, decide di tentare la sorte e somministrare la neurotossina a scimmie scoiattolo, una varietà di scimmia comunemente usata nella ricerca.
Il modello MPTP-NHP
Nel 1984 Langston e colleghi pubblicano il primo modello animale di Parkinson su primate ottenuto mediante questa neurotossina (MPTP -Non Human Primate model), che permetterà negli anni successivi enormi passi avanti nella ricerca.
Grazie al suo impiego infatti viene gettata luce sui potenziali meccanismi neurodegenerativi della malattia, ma vengono compiuti anche importantissimi studi sulla circuiteria cerebrale coinvolta, permettendo lo sviluppo di nuove strategie chirurgiche e farmacologiche.
Ancora ad oggi questo modello rimane il migliore a disposizione per i ricercatori, ma solo per quelli adeguatamente formati: l’MPTP rimane una delle neurotossine più subdole che si conoscano, ed anche una breve esposizione causa severi danni neurologici. O la morte.
- Davis et al., 1979 Chronic Parkinsonism secondary to intravenous injection of meperidine analogues.
- Langston et al., 1983, Chronıc parkınsonısm ın humans due to a product of meperıdıne-analog synthesıs.
- Langston et al.,1984, Selective nigral toxicity after systemic administration of 1-methyl-4-phenyl-1,2,5,6-tetrahydropyrine (MPTP) in the squirrel monkey.
- The Case of the Frozen Addicts: How the Solution of a Medical Mystery revolutionized the Understanding of Parkinson’s Disease di J. William, Dr. Langston
- Porras et al., 2012, Modeling Parkinson’s Disease in Primates: The MPTP Model