Tra il 2014 e il 2018, l’Università della Georgia ha fatto l’autopsia a 133 aquile statunitensi, scoprendo che l’80 per cento di loro aveva in corpo una qualche traccia di anticoagulante, un veleno tipicamente adoperato per sterminare i topi. I risultati dell’indagine, pubblicati di recente su Science, dimostrano come si adoperino ancora con troppa leggerezza prodotti nocivi, i quali finiscono irrimediabilmente con il danneggiare intere catene alimentari.
Negli anni Sessanta gli animali simbolo degli Stati Uniti hanno rischiato la pellaccia a causa, tra le altre, dei costanti avvellenamenti da pesticidi, ora la situazione è decisamente meno pressante, tuttavia una parte molto rilevante della loro popolazione è in qualche modo intossicato dai veleni assunti attraverso la caccia alle loro prede favorite, i topi.
Il ratticida riscontrato negli animali non è sempre sufficiente a giustificarne la morte, tuttavia l’anticoagulante ingerito per vie traverse può comunque causare loro notevoli fastidi e intaccarne non poco la salute.
Il veleno, infatti, interferisce con l’attivazione della vitamina K e le aquile che lo ingeriscono finiscono con il subire sanguinamenti spontanei, interni o esterni, che possono andare dalla presenza di sangue nelle urine allo shock cardiovascolare.
Gli umani devono capire che quando questi composti finiscono nell’ambiente, finiscono con il causare danni orribili a molte specie, incluso il nostro simbolo nazionale, l’aquila calva,
ha sottolineato Scott Edwards, professore di zoologia presso la Harvard University.
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