Israele ha testato sulla propria pelle come somministrare un’unica dose del vaccino Pfizer garantisca risultati insufficienti.
Israele é uno dei Paesi che si sta impegnando maggiormente nella vaccinazione contro Covid-19, tuttavia il numero di nuovi infetti continua a essere estremamente alto. Una simile discrepanza é dovuta anche al fatto che molte delle persone che hanno ricevuto la prima iniezione del medicamento Pfizer/BioNTech hanno finito con l’ammalarsi.
Stando ai dati dell’azienda farmaceutica, la vaccinazione completa, ovvero quella effettuata attraverso una duplice iniezione, dovrebbe offrire una protezione quasi totale (il 95 per cento), tuttavia i dati sono decisamente più “deludenti” se si effettua una somministrazione parziale.
In quel caso, Pfizer garantisce una protezione del 52 per cento, un valore indubbiamente interessante, ma che é lungi dal poter risolvere la situazione, soprattutto in quelle comunità che iniziano a soffrire le quarantene. Nachman Ash del Dipartimento di Sanità israeliano ha tuttavia suggerito che, in quest’ottica, il vaccino risulti essere ancor meno efficace di quanto non si fosse pensato inizialmente.
L’opinione offerta dalla figura diplomatica potrebbe allo stesso tempo essere farsata da situazioni contestuali: i test di laboratorio non solo non tenevano da conto le varianti del virus attualmente in circolazione, ma la prima iniezione richiede tempi prolungati per l’attivazione degli anticorpi, lasciando pertanto ampio margine di vulnerabilità.
Israele é attualmente colpita da numerosi focolai della variante inglese del Coronavirus, una versione altamente infettiva che finisce in molti casi per battere in velocità gli effetti del medicamento Pfizer/BioNTech.
A complicare la situazione ci sono inoltre diverse violazioni del lockdown israeliano da parte delle comunità ultra-ortodosse, le quali non solo mantengono le scuole aperte, ma organizzano cerimonie con la partecipazione di centinaia di ospiti.
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