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Dopamina e Parkinson: lo studio che ribalta un’idea radicata da decenni

Dopamina e Parkinson: lo studio che ribalta un’idea radicata da decenni

Uno studio della McGill University dà una nuova interpretazione sul ruolo della dopamina nel morbo di Parkinson, una malattia sofferta da 10 milioni di persone nel mondo. Il numero salirà a 25 milioni entro il 2050, mentre in Italia ci sono più di 250.000 malati (dati di Fresco Parkinson Institute).

La dopamina è un neurotrasmettitore importante sul controllo motorio, l’attenzione, la motivazione, l’apprendimento e l’umore. Invece, il Parkinson è una malattia neurodegenerativa che fa perdere progressivamente le cellule cerebrali che producono la dopamina. Uno dei primi segnali della malattia è la facilità nel perdere l’equilibrio, problemi di movimento e coordinazione.

Il principale trattamento clinico del Parkinson si chiama levodopa, migliora la capacità di muoversi dei pazienti perché consente al cervello di compensare la carenza del trasmettitore causata dalla malattia. Lo studio della McGill University ha indagato il successo di questa cura, ecco le conclusioni dei ricercatori canadesi.

Parkinson

La dopamina nel Parkinson non agisce come acceleratore di movimento, una scoperta neurochimica apre la strada a farmaci più sicuri e promettenti

La dopamina non agisce né come regolatore istante per istante, né produce reazioni veloci o di forza che spingono il corpo a muoversi. Gli scienziati hanno monitorato in tempo reale la chimica cerebrale. La levodopa agisce stimolando brevi aumenti o riduzioni di dopamina durante l’azione. Nei topi si è mostrato che attivando e disattivando le cellule dopaminergiche quando stimolate dal movimento non si producono cambiamenti significativi.

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Si è notato un miglioramento significativo ripristinando i livelli base di dopamina nei topi malati. Il neurotrasmettitore, in sostanza, non comanda il movimento ma ne rende possibile l’esecuzione. Questa è la nuova interpretazione clinica sul farmaco che aprirà a nuove strade terapeutiche per il Parkinson. Se finora la medicina si è concentrata sulla produzione di picchi rapidi di dopamina, adesso dovrà lavorare piùsul mantenimento dei livelli stabili e adeguati. Seguendo questo nuovo percorso si ridurranno anche gli effetti collaterali, soprattutto sulla popolazione anziana che ne soffre di più.

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