Alzheimer, una terapia sperimentale mostra risultati ‘rivoluzionari’ nei topi
Nuova terapia ripara la barriera emato-encefalica nei topi: dopo 3 iniezioni si riducono le placche di Alzheimer e migliora la memoria.

Un gruppo internazionale di ricercatori ha ottenuto risultati sorprendenti nei topi affetti da un modello genetico di Alzheimer: mediante tre singole iniezioni, hanno rigenerato e ripristinato la funzione della barriera emato-encefalica (BBB), favorendo la rimozione delle placche amiloidi e il recupero cognitivo.
Le cellule cerebrali, già danneggiate e soggette a declino mentale, hanno ridotto in poche ore gran parte dei depositi patologici e dopo settimane hanno mostrato prestazioni pari a topi sani nei test di memoria spaziale. Sebbene le prove siano ancora precliniche, gli autori considerano il risultato l’apertura di una nuova fase nella ricerca sulle terapie per l’Alzheimer.
Riparare la barriera
Tradizionalmente, le strategie farmacologiche contro l’Alzheimer hanno cercato di “forzare” il passaggio di farmaci nella mente, mediante nanoparticelle vettore o tecniche come ultrasuoni per aprire temporaneamente la barriera. In questo studio, invece, la barriera è concepita non come un ostacolo da superare, ma come un’infrastruttura guasta da restaurare.
I ricercatori hanno impiegato nanoparticelle progettate come farmaci supramolecolari, in grado di modulare il trasporto molecolare attraverso la barriera. Il bersaglio chiave è LRP1, un recettore che aiuta a “trasportare fuori” l’amiloide-β dal cervello verso il flusso ematico. In condizioni di Alzheimer, la funzione di LRP1 è compromessa: le cellule endoteliali lo degradano invece di usarlo per il transito. Le nanoparticelle agiscono stimolando il percorso di transcito (transcytosis), rimettendo in moto il passaggio di Aβ (turn0search1) e ripristinando la capacità di eliminazione. In poche ore dalla prima dose, la concentrazione cerebrale di Aβ è scesa di quasi il 45%, e i livelli ematici di Aβ sono aumentati di 8 volte, indicando che la proteina è stata effettivamente trasferita nel sangue.
Inoltre, non solo il fronte del trasporto è recuperato: mediante feedback molecolari, la vascolatura cerebrale stessa viene rigenerata, favorendo un effetto continuo nel tempo. Questo meccanismo ha fatto sì che i topi trattati mantenessero i benefici per almeno sei mesi, con memoria e apprendimento comparabili a quelli dei soggetti sani (turn0search1).
Ma per una cura ci vorrà ancora tempo

La diffusione delle placche amiloidi prima e dopo la terapia
Nonostante la portata promettente dei dati, gli scienziati sottolineano che i risultati nei modelli murini non sono garanzia di efficacia umana. La struttura e la composizione della barriera emato-encefalica umana differiscono da quelle dei roditori, e molte terapie efficaci nei topi hanno fallito in fase clinica.
Alcuni esperti citati evidenziano che il numero di animali usati è limitato e che i modelli genetici impiegati non riproducono tutte le forme della malattia Alzheimer nei pazienti. Prima che una terapia simile possa essere valutata nell’uomo, occorrerà testare in modelli più grandi (i primati, ad esempio), accertare la tossicità a lungo termine e superare le sfide regolatorie.