Alorica, azienda leader nel settore del customer service, ha lanciato un nuovo strumento di traduzione basato sull’intelligenza artificiale che consente ai suoi rappresentanti di comunicare con i clienti in oltre 200 lingue. Nonostante l’introduzione di questa tecnologia avanzata, l’azienda ha dichiarato di non voler ridurre il personale, ma anzi di continuare ad assumere.

Ma è solo la punta dell’iceberg. Anche Ikea ha seguito un percorso simile: l’introduzione di un chatbot nel 2021 non ha portato a licenziamenti di massa. L’azienda ha infatti riqualificato 8.500 lavoratori del servizio clienti, affidando loro compiti più complessi come consulenze sul design d’interni.

Questa scelta contraddice la convinzione diffusa secondo cui l’AI ridurrà drasticamente i posti di lavoro, specialmente in settori come il customer service.  Secondo gli economisti, l’intelligenza artificiale potrebbe replicare l’effetto di innovazioni storiche come l’elettricità e l’internet, creando nuovi posti di lavoro e rendendo i lavoratori più produttivi.

Non mancano tuttavia esempi contrari. Suumit Shah, imprenditore indiano, ha ridotto il suo staff di supporto clienti del 90% grazie a un chatbot, migliorando drasticamente l’efficienza operativa e riducendo i costi dell’85%. Inoltre, studi recenti hanno evidenziato una riduzione nelle offerte di lavoro per ruoli creativi, come scrittori e programmatori, a seguito dell’introduzione di modelli AI come ChatGPT.

Nonostante le preoccupazioni, rapporti recenti, inclusi quelli del White House Council of Economic Advisers, affermano che non vi sono ancora prove concrete di un impatto negativo dell’AI sull’occupazione complessiva. Insomma, dopotutto, forse non saranno le IA a rubarti il lavoro.