Nell’industria cinematografica il fenomeno chiamato tie-in è sempre più forte: un tempo, però, era una declinazione inversa, che partiva dal grande schermo e finiva su PC e console, mentre adesso l’inversione è sotto gli occhi di tutti. Figlia anche del successo di alcune IP che hanno saputo dimostrare quanto le storie videoludiche possano essere coniugabili in diverse modalità, sia per lungometraggi, sia per serie televisive: basti pensare a The Last of Us e Fallout, ma anche quegli esperimenti che non hanno funzionato proprio bene, come Five Nights at Freddy’s o, se ce lo concedete, la serie di Halo, cancellata dopo la seconda stagione.
Alti e bassi, insomma, ma il novero sta continuando a rimpinguarsi, fino ad arrivare a Borderlands: forse non la serie videoludica che più ci aspettavamo di vedere riproposta a film o serie, ma con degli elementi narrativi che potevano ben proporsi per un film: il risultato non è stato soddisfacente, soprattutto perché la qualità dell’intreccio, la sceneggiatura, la scrittura è di livello molto basso, ma a lasciar desiderare è anche l’utilizzo che Eli Roth, regista e sceneggiatore, ha deciso di fare degli elementi del gioco.
Lilith le il suo gruppo
Partiamo dalla protagonista, Lilith, interpretata da Cate Blanchett. La ragazza fa parte delle Sirene, ma questo aspetto viene specificato solo nel videogioco: nel film viene detto in maniera molto fugace, anche abbastanza dozzinale, da parte di Tannis nelle fasi conclusive. Non vogliamo spoilerare nessun tipo di contenuto, quindi non andremo in maniera capillare ad analizzare la figura di Lilith, la cacciatrice di taglie che fa da connettore nel mondo di Borderlands al cinema, e ci limitiamo a dire che la ragazza subisce un totale stravolgimento della sua condizione, perdendo la propria appartenenza alle Sirene. Accanto a questo cambiamento, Eli Roth ha deciso di rivedere anche le condizioni per l’apertura del Vault: la cripta, nel film, ha bisogno non solo delle due mezze chiavi, ma anche di un sacrificio di una prescelta, aspetto che nella serie videoludica non era presente. Possiamo comprendere il perché di questo espediente, figlio dell’esigenza di inserire una meccanica narratologica del “prescelto”, ma che con il videogioco c’entra davvero ben poco.
Accanto a Lilith, Roth ha deciso di proporre un gruppo di avventurieri che realizzano una crasi tra i vari videogiochi della casa. Tiny Tina, la figlia di Atlas, arriva direttamente da Borderlands 2, andando a creare un forte legame con Brick, personaggio che dall’equazione del film è stato totalmente eliso, per essere sostituito da Krieg, che dentro di sé ha anche parte del personaggio di Mordecai, anch’egli assente dal gruppo di scalmanati. Indubbiamente gradevole la presenza di Tannis, personaggio che nei videogiochi non era giocabile, ma che offriva supporto costante con la propria presenza dalle retrovie. Il personaggio, interpretato da Jamie Lee Curtis, ha un rapporto ben diverso con Lilith rispetto al videogioco, quasi inesistente, ma soprattutto resta nelle retrovie in Borderlands 2 e Borderlands 3, in attesa che la cripta possa essere individuata in maniera autonoma.
A completare il gruppo c’è Claptrap, personaggio che non poteva non essere incluso in Borderlands: oltre a rispondere alle perfette esigenze del companion e della mascotte, così da avere una linea comica ben forte dalla loro parte, Claptrap nel film ha una parte molto più importante e significativa rispetto al videogioco: d’altronde nella serie distribuita da 2K, il robot non è altro che una guida nel mondo di Pandora, affidando delle missioni secondarie al giocatore, senza essere mai realmente coinvolto nell’azione, aspetto che invece gli riesce molto bene durante il film.
Atlas e i Crimson Lance
Viaggiando nella direzione opposta, ossia dal lato dell’antagonista, arriviamo a parlare di Atlas. Interpretato da Edgar Ramirez, Deukalian potrebbe essere identificato quasi come personaggio originale del film: l’Atlas del videogioco, infatti, è un’azienda che produce armi e scudi, oltre a controllare, come anche nella trasposizione cinematografica, i Crimson Lance. Nella serie di Gearbox non viene mai nominato alcun tipo di personaggio che possa assurgere al ruolo di CEO, che possa quindi identificarsi con quello che è il nome stesso dell’azienda. Il personaggio che potrebbe aver ispirato Deukalian, quindi, potrebbe essere l’Handsome Jack del secondo capitolo, diventando il villain di maggior rilievo dell’intera saga e ancora oggi riconosciuto, forse, come unico vero antagonista dell’intera serie. Anche in questo caso possiamo giustificare la scelta di Roth di andare a creare una figura tanto vanagloriosa da decidere di dare il suo stesso nome all’azienda che lo rappresenta, salvo poi un finale – come potete immaginare – non tanto glorioso.
L’obiettivo di Atlas e della missione tutta è raggiungere la cripta. Nel film ce n’è una sola e rappresenta il vero obiettivo dell’avventura, ma in realtà nel videogioco l’importanza del Vault non è così alta. Oltre a essercene tanti, tra l’altro distribuiti in diversi pianeti e non solo su Pandora, anche su quest’ultima è possibile rintracciarne più di una. La chiave di lettura di questa scelta può essere quella più semplice, ossia che Borderlands sia stato scritto – come accade per la maggior parte dei contenuti audiovisivi – con la possibilità di ricevere un sequel, quindi l’esistenza di altre cripte sarebbe stato affidato alla rivelazione dei prossimi film; visti, però, allo stato attuale i risultati non solo del botteghino, ma della critica in generale, dubitiamo che Eli Roth possa avere l’occasione di accontentare questa sua visione di sceneggiatura. Rimarremo, così, ancorati a questa modifica che per esigenze di trama ci ha portato ad avere una sola cripta, fondamentale per lo scopo del film stesso. Tra l’altro, nelle cripte è nascosta quella che è la lore di Borderlands e, sempre limitandoci negli spoiler, ci possiamo ritenere un po’ delusi da come sia stata resa quella nel film.
Knoxx e il legame con Roland
Altri due aspetti su cui ci piacerebbe soffermarci rappresentano degli spoiler sul film, quindi rimarremo anche in questo caso molto sulla superficie della questione. Tina e Knoxx, il comandante dei Crimson Lance, vengono entrambi riscritti per le esigenze narrative del film, ma per il secondo siamo dinanzi a uno dei più banali e flebili cliché tipici dei film d’avventura: non era necessario, né dovuto da parte di Roth mostrarci quanto si possa banalizzare a livello introspettivo uno sgerro dell’antagonista, ma sappiate che nel videogioco il personaggio di Knoxx compare soltanto in un DLC, tra l’altro con le sembianze di un uomo anziano, con nessun tipo di connessione con Roland. La Knoxx che ci viene proposta nel film potrebbe essere più collegabile a Steele, personaggio che appare nel primo capitolo di Borderlands sempre come membro dei Crimson Lance. Su Tina, invece, ci limitiamo a dire che nel videogioco non ha alcun tipo di connessione con il destino dell’universo, né con la missione di Lilith, né con Atlas stesso.
È chiaro che ci siamo soffermati su quelli che sono elementi che sono tutti giustificabili nel momento in cui si passa da un prodotto videoludico, col quale possiamo vestire i panni di un’interazione attiva, a uno cinematografico, che per svariate ragioni fa della nostra partecipazione passiva una delle basi fondanti: il cinematic universe di Borderlands è diverso da quello videoludico per motivi prevedibili, ma pur salvando quella che è l’atmosfera generale della serie 2K, non è stato in grado di fornirci un prodotto degno di questo nome. Avrebbe potuto chiamarsi in un qualsiasi altro modo e la sostanza non sarebbe cambiata: Pandora non è tridimensionale, non ha vita sua, così come gli archi dei personaggi sono scontati, banali e approssimativi, lasciandoci un’avventura di un’ora e mezza che forse non ci lascerà granché per il futuro. Forse solo la voglia di recuperare Borderlands, ma il videogioco.