The Bear è stata un’eccezione negli ultimi anni di serialità televisiva statunitense per tanti motivi: non ha mai cercato scorciatoie per arrivare a ciò che le interessa, ha riportato la cucina al centro del piccolo schermo, è riuscita a raccontare la città di Chicago, ha lanciato tanti attori e ha creato un suo linguaggio personale sin da subito. Anche se lo show Hulu ideato da Christopher Storer non è probabilmente la serie migliore in assoluto (bisognerebbe aprire una parentesi a parte a riguardo e in queste sede non è né opportuno né utile), ma è a pieno titolo una di quelle talmente chiare nella scrittura e nella messa in scena e talmente piene di voglia di mettersi in gioco da arrivare sempre all’eccellenza, anche quando non spingono al massimo sull’acceleratore.

Nella recensione della terza stagione di The Bear, in streaming dal 14 agosto 2024 su Disney+ completa delle 10 puntate fin dal momento del lancio, parliamo di una parte che normalmente sarebbe di transizione (pensate che la produzione è stata più o meno pensata per essere back to back con la quarta stagione), ma per il motivo suddetto diventa più corretto definire “di crescita”.  Crescita nel senso di riappropriazione di se stessi, di mettersi definitivamente in gioco e di smettere di pensare ai modelli da idolatrare o a fantasmi passati da fuggire, per cominciare a camminare da soli. Possibilmente cucinando anche bene.

The Bear e un passato con cui dover fare i conti

The Bear 3

Carmy e il suo sguardo comunicativo.

Carmy (Jeremy Allen White) guarda la cicatrice sulla propria mano all’inizio della terza stagione di The Bear, simbolo di un passato traumatico, fatto di sacrifici da sopportare a aspettative da soddisfare, che, dopo l’incidente occorso durante la cena d’inaugurazione del ristorante sorto sulle ceneri di The Beef, torna nella sua mente del giovane chef con ancora più violenza.

La storia riparte infatti quasi subito dopo il cliffhanger della stagione passata che ha visto Claire (Molly Gordon) udire lo sfogo del suo lui, intento a incolpare di tutti i suoi mali il suo troppo coinvolgimento in questioni extra rispetto alla sua vita in cucina. La ragazza si allontana e lo chef si (ri)mette all’opera, finalmente al comando della sua creatura e con in testa l’idea fissa di non farsi distrarre più fino a quando non conquisterà una stella. Immaginatevi la gioia dei suoi sodali nel vedere Carmy diventare un uomo bionico costantemente sull’orlo di una crisi di nervi.

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I due capoccia del The Bear.

La prima farci i conti è ovviamente Sydney (Ayo Debebiri), alla quale è stata offerta dalla famiglia Berzatto un’opportunità di partnership in modo da legarsi al ristorante con tutte le carte legali in regola. Non proprio uno scherzo insomma, dopo tutto siamo sicuri che anche voi ci pensereste su più di una volta se messi davanti alla prospettiva di entrare nell’orbita di una famiglia talentuosa, ma completamente disfunzionale. Come se la ragazza non avesse già le sue grane con il padre.

L’ombra del passato aleggia ancora intorno a loro. Alcuni non riesco a smettere di esserne schiavi, come Carmy, mentre altri stanno cercando di uscire, anche scalciando violentemente, come Richie (Ebon Moss-Bachrach) e Sugar (Abby Elliott), quest’ultima ancora più motivata dopo la gravidanza. Un bagaglio di dolore da mettere da parte per guardare finalmente avanti, costruendo la vita futura su delle fonti di luce che cominciano a intravedersi, qua e là. Anche se ogni tanto ancora flickerano.

The Bear 3, il cast in conferenza stampa: “affrontare il dolore è uno dei fili conduttori della serie” The Bear 3, il cast in conferenza stampa: “affrontare il dolore è uno dei fili conduttori della serie”

Un mondo per adulti

Tanto dal punto di vista formale quanto dal punto di vista narrativo, The Bear è sempre stata una visione incredibilmente appagante e questa terza stagione non fa assolutamente eccezione, anche se va incontro ad un deciso cambio di passo rispetto alla precedente. Come si è concluso un arco in cui la cucina era praticamente adoperata come metafora sportiva nella misura in cui intorno ad essa si era costruita una struttura in cui la prestazione era l’unica cosa che contava e il successo era la sola conclusione possibile, se ne è aperto un altro in cui si analizzano le conseguenze dell’entrata in circolo di questa visione del mondo.

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I due capoccia del The Bear che non si guardano in faccia.

Il raggiungimento del successo per cui i nostri protagonisti si sono così tanto impegnati era rappresentato dalla possibilità di aprire finalmente il locale, ora che ci sono riusciti hanno però il compito di prendersene cura e magari mantenerlo aperto cercando di migliorarlo in ogni modo possibile. Su questo si innesca un livello narrativo a carattere tentacolare perché, come al solito, avvolge tutte le storie dei singoli personaggi. Il senso della scrittura della serie è quello di descrivere la vita del ristorante per descrivere la vita di tutti i suoi inquilini: prima c’è stata l’ideazione, poi la nascita e ora, giustamente, la crescita.

Crescere significa fare i conti con il proprio dolore, superare paure legate a modelli di vita tossici, accettare le conseguenze delle proprie scelte e, cosa ancora più importante, rinunciare agli idoli, cercando di trovare il proprio posto in mondo magico, ma anche esigente. In questo senso la parola chiave che The Bear trova è “confronto”, “malleabilità”, “imperfezione”, anche se la stagione inizia con il termine “non negoziabile”. Se non è definibile come crescita questo passaggio allora diteci voi cosa può esserlo. Gli episodi sono costellati da dialoghi, scambi anche volutamente metanarrativi, possibilità di non sentirsi soli e di aprirsi all’altro, vedendo tutto questo come un atto di coraggio.

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Guarda, un cameo!

Non mancano i camei illustri (anzi, questa volta sono ancora più inseriti all’interno del tessuto narrativo) e neanche le puntate avulse dal flusso conseguenziale di eventi, per l’occasione tutte al femminile e riguardano un confronto tra due madri in due tempi diversi in un momento topico in cui le loro vite si possono toccare e la prova provata che i sogni possono essere, con il senno di poi, una condanna o una salvezza. La dualità descritta dalla terza stagione di The Bear è l’ultimo punto su cui è utile riflettere in attesa della prossima parte, dal momento che essa permette di godere il bene di un mondo in grado di arricchirsi e nutrirsi di cibo e persone, ma il cui ricatto è quello di essere sempre sul pezzo, dato che un treno può passare in ogni momento e lasciarselo scappare è questione di un attimo.

80
The Bear
Recensione di Jacopo Fioretti

Nella recensione della terza stagione di The Bear, la serie Hulu ideata da Christopher Storer, vi abbiamo parlato di un momento di crescita, in cui la serie raccoglie l'eredità dell'arco precedente e si concentra sulla descrizione di un mondo adulto, che può nutrire di persone e cibo, ma anche prosciugare da un momento all'altro. Un'altra grande prova di scrittura e messa in scena, pur in un contesto in cui si non si spinge sull'acceleratore come in precedenza, preparando con la solita grande cura e voglia di sperimentare il terreno verso la quarta parte.

ME GUSTA
  • La costruzione narrativa e la messa in scena sono eccellenti.
  • La regia di alcune puntate è eccezionale e premia una recitazione sempre eccelsa.
  • Il comparto musicale è, come sempre, un personaggio in più.
  • La formula, pur partendo dalla medesima base, non si ripete mai.
FAIL
  • Non si spinge sull'acceleratore come in precedenza.