Il fermento che ha scatenato l’annuncio della prima storia di Paperon de’ Paperoni scritta e pubblicata in casa Marvel è stato altissimo. Jason Aaron, sceneggiatore la cui qualità non è mai stata messa in discussione, si è destreggiato alla scrittura di una storia originale che spingesse fuori dai canoni Disney il più grande avventuriero della storia dei fumetti: quel Paperone che nei suoi anni di vita ha saputo declinarsi in tantissimi media e in altrettante accezioni, dalle serie televisive fino alle testate stand alone. Nessuno meglio di lui poteva inaugurare questo nuovo filone – speriamo florido – di personaggi Disney coniugati con quelli che sono gli stilemi Marvel. In attesa che il volume possa arrivare stampato anche in Italia e in italiano, la storia è stata proposta nell’ultimo numero di Topolino, con l’aggiunta di un paio di pagine di interviste a Jason Aaron, così da permettere anche al nostro pubblico di godere di questa storia. Di seguito le nostre considerazioni su quanto ci siamo ritrovati a leggere.

Il what if del multiverso

Nel 1948 Carl Barks scrisse Il Natale di Paperino sul Monte Orso, la storia che permise a Paperone di esordire nell’universo Disney, presentandosi con tutte le proprie brutture. L’arrivo di Paperino e dei suoi nipoti presso la dimora dello zione, permette a quest’ultimo di riconoscere l’importanza della famiglia, quanto avere degli affetti intorno a sé possa essere utile tanto quanto avere quella ricchezza materiale che lo aveva sempre contraddistinto come l’uomo più avaro di sempre. L’avarizia, nel tempo, per Paperone è mutata, diventando ricchezza, bramosia, ma anche desiderio morboso di avventure, perché quella di Scrooge è una storia fatta di esperienze e di cacce al tesoro, non di accumulo nevrotico di denaro. Aaron, nella sua Infinity Dime, crea uno dei più classici what if, domandandosi cosa sarebbe accaduto se Paperino quel giorno non fosse riuscito a raggiungere Paperone. Tutta l’accidia e la crudeltà del papero più ricco del mondo va a declinarsi nel desiderio di diventare il papero più ricco di tutti i mondi, non solo del proprio, così da attraversare le linee temporali e sfruttando il multiverso – concetto caro a Marvel oramai da decenni – andare a impossessarsi delle ricchezze di tutti gli altri Paperoni che conosciamo, compreso il nostro.

La storia dinanzi alla quale ci troviamo è un interessante what is sulla possibilità di andare a conoscere e scoprire numerose altre versioni del medesimo personaggio, tutti in chiave americana, tendente, quindi, a una narrazione diversa da quella a cui siamo abituati noi. Allo stesso modo, è utile fare una riflessione a tutto tondo sul lavoro svolto da Jason Aaron, la cui storia a tratti può sembrare approssimativa. In Europa siamo ampiamente abituati, grazie alla vasta e florida produzione italiana per il Topolino libretto, a sviscerare quelle che sono le caratterizzazioni dei vari personaggi disneyani, a partire da Paperone: ogni settimana abbiamo modo di scoprire nuove particolarità del loro carattere, scovarne delle sottigliezze, leggere dei rapporti interpersonali e anche un po’ di background narrativo, fino addirittura a delle origin story di quelli che sono gli antagonisti di alcuni di essi. Per noi è scontato sapere che Scrooge avrà sempre nella sua famiglia una fortissima ancora di salvezza, un appiglio pronto a palesarsi in qualsivoglia esigenza. In America la produzione non è altrettanto foriera, anzi a parte DuckTales dal punto di vista editoriale non c’è una produzione tanto vasta da concedere a Paperone di esprimersi nel migliore dei modi. Questa storia nasce più per quel tipo di pubblico, non per il nostro, che, sì, sarebbe autorizzato a rimanere deluso da questa lettura.

Un modello americano non per tutti

Al di là di quella che è la durata, che è negli standard dei volumi americani, tra le 20 e le 30 tavole, la storia si sviluppa in maniera sbrigativa, prevedibile, con una serie di espedienti che non ci permettono nemmeno di apprezzare i personaggi chiamati in causa. Non c’è approfondimento sulle vicende narrate e soprattutto sembra mancare un atto intermedio che faccia capire in che modo Paperone decida di muovere battaglia al Paperone Supremo, quello nato dal what if di Aaron. Lo stesso Paperino viene mal sfruttato, gestito a mo’ di macchietta fumettistica, svilito in quella che è la sua forte caratterizzazione, ben nota anche al pubblico americano e non soltanto a noi: nel periodo in cui celebriamo i suoi 90 anni avrebbe meritato ben altra potenza narrativa, a esaltare quelle che sono le sfaccettature e le variopinte accezioni del nipote – diciamolo – preferito di Paperone. Gli stessi Qui, Quo e Qua sono figli di una lettura molto anacronistica, legata a quella tradizione dei corti che li vedeva completarsi le frasi tra di loro e rimanere ancorati alle nozioni del Manuale: situazioni superate ampiamente anche grazie al reboot di DuckTales.

Il formato libretto, è certo, non rende giustizia ai disegni, già di per sé bellissimi, ma che sicuramente nel formato degli spillati americani avrà modo di esaltarsi ancora di più. Così come i colori, che sono in grado di creare un vero e proprio spaccato narrativo tra quella che è la condizione del Paperone Supremo e quelli che sono invece i Paperone dal lato della giustizia: la stessa capacità di caratterizzare i diversi personaggi provenienti dai diversi universi è figlia di una grande meticolosità e arte affidata agli illustratori italiani, da Paolo Mottura a Francesco D’Ippolito fino a Lorenzo Pastrovicchio, autore di una delle due cover regular – che ha poi subito numerose altre variant. Se da un lato i disegni mantengono un livello in grado di permetterci di ricordare anche alcuni modelli della tradizione di Don Rosa e di Carl Barks, dall’altro lato la sceneggiatura sembra doverci condurre sulla strada del giustificare Aaron come se fosse un esordiente: c’è tanto citazionismo nella sua creazione, c’è un’indecisione di fondo nella gestione dei personaggi e nelle loro versioni superate.

Che cosa possiamo imparare?

Le riflessioni fatte fino a questo punto ci portano a una conclusione: non è mai facile approcciare un mondo variegato e stratificato come quello Disney. I personaggi, nel tempo, hanno assunto una tale complessità e noi italiani come scuola abbiamo imparato a raggiungere vette di esigenze talmente alte da poter rimanere delusi da un lavoro firmato Jason Aaron. Si potrebbe provare a giustificare, ancora una volta, dicendo che si tratta di un esordio o che in America non ci sia una così grande diffusione di fumetti Disney da poter comprendere quali sono le sfaccettature di alcuni personaggi, ma siamo sicuri che dinanzi a un incarico così importante chiunque avrebbe studiato ininterrottamente per mesi, se non di più. Forse l’Italia non è un mercato di cui tener conto, perché Infinity Dime venderà negli Stati Uniti e acocontenterà quel tipo di pubblico (anzi, spoiler, le recensioni americane sono già tutte esaltanti).

Infinity Dime forse, alla fine, non è un prodotto pensato per noi: lo abbiamo inseguito e lo abbiamo preteso perché affascinati da questo grande connubio tra Disney e Marvel, finiti in un vortice di desiderio collezionistico e materiale dell’avere tutte le variant che sono state realizzate, senza nemmeno poter attendere l’arrivo dello spillato in italiano. La collaborazione continuerà, perché presto toccherà a Paperino indossare i panni di un what if che lo condurrà a vestire i panni di Wolverine e di Thor, quindi anche lì avremo modo di valutare la bontà del prodotto e capire fino a che punto gli autori americani avranno capito come gestire e affrontare i personaggi Disney.