Indovina indovinello: qual è stato il film americano che ha incassato di più nell’anno orribilis 2020? Tic tac tic tac, non cercate su Google, suvvia, ve lo diciamo noi: Bad Boys for Life. A quanto ammonta il risultato al box office dite? Più di 400 milioni di dollari, neanche troppo lontano dalle due pellicole asiatiche sui primi posti del podio, Demon Slayer – The Movie: Il treno Mugen e The Eight Hundred. Il perché di questo risultato non è da ricercare nella qualità del film (che ha comunque un suo perché), ma soprattutto nel fatto che riuscì ad uscire nelle sale prima della loro chiusura forzata. Ad HollywooD, è fatto noto, la qualità interessa solo relativamente.
Nella recensione di Bad Boys: Ride or Die, nei cinema italiani dal 13 giugno 2024 con Eagle Pictures, vi parliamo dunque di un sequel, possiamo presumere, voluto dagli studios quando hanno visti i numeri del terzo capitolo delle scorribande dei due leggendari poliziotti interpretati ancora una volta da Will Smith e Martin Lawrence. Non poteva essere altrimenti, se ci pensate, visto che uno dei protagonisti è stato sottoposto al solito calvario mediatico dopo lo schiaffo alla cerimonia più importante del mondo del cinema. Se bisognava riproporre Smith allora servivano garanzie.
Questo nuovo atto nasce dalla volontà di correggere il tiro sul personaggio dell’attore premio Oscar, rispettare il senso della saga e cavalcare la buona onda del titolo precedente. Dietro alla camera, infatti, troviamo di nuovo il duo composto da Adil El Arbi e Bilall Fallah, che si confermano essere due nerd della saga, mentre davanti riprendono i loro ruoli Joe Pantoliano, Vanessa Hudgens, Alexander Ludwig, Jacob Scipio, Paola Núñez e Theresa Randle. I nuovi volti sono quelli di Eric Dane, Ioan Gruffudd e Rhea Seehorn.
La struttura è simile a quella di tutti gli altri Bad Boys, l’innesco è opposto e uguale a quello del quarto film e l’idea è quella di ripercorrere formule, trovate e citazioni rimanendo in una comfort zone sulla quale si può costruire qualcosa per la continuity (come dicono quelli bravi). Il tutto senza perdere l’effetto da film da vedersi una sera con gli amici per trovare riparo, tra battute, pallottole, coccodrilli, esplosioni, droni e riprese in POV, dal cattivissimo mondo di fuori.
Don’t touch my captain
“Mike” Lowrey (Smith) ha messo la testa a posto e ha deciso di sposarsi con Christine (Melanie Liburd) la sorellastra (half-sister) del suo partner, Marcus Burnett (Lawrence). Durante il matrimonio però quest’ultimo ha un attacco cardiaco dopo il quale vive una vera e propria esperienza di pre-morte con tanto di allucinazioni e la solita visione con immagini random dall’origine dell’universo al giorno d’oggi. “Non è però ancora il tuo momento” gli dice l’invece (lui sì) defunto capitano Conrad Howard (Pantoliano) e infatti il nostro si risveglia, più vivo ed entusiasta che mai.
Quella che sembra essere una seconda vita lieta per entrambi viene però rovinata quando proprio il buon nome del loro vecchio capitano viene infangato dall’accusa di essere stato coinvolto in loschi giri che lo avrebbero portato a fare affari con un pericolosissimo cartello della droga. Cartello pericolosissimo con un a capo un uomo pericolosissimo che risponde al nome di James McGrath (Dane), ovvero null’altro che il solito cattivone stile Bad Boys, stavolta con il volto dell’ex dottore di Grey’s Anatomy.
La nostra coppia ovviamente non crede neanche per un secondo che il loro amico e collaboratore più fidato possa aver sporcato la sua rettitudine con dei bifolchi simili e dunque si mettono all’opera per trovare la verità. Indagine che però li porterà a svelare un grande piano di corruzione che coinvolge i pezzi grossi (almeno uno) di quelli che dovrebbero essere i buoni e, come da tradizione, si troveranno a dover procedere al di fuori della legge.
Ci sarà anche il tempo per incrociare nuovamente la strada con il figlio di Mike, il simpatico Armando (Scipio) conosciuto nel capitolo precedente quando era un sicario della sua altrettanto simpatica madre omicida messicana. Riuscirà questo sgangherato, improbabile, ma letale trio a sventare la nuova minaccia del cartello, riabilitare il ricordo del capitano, mettere in galera i cattivi corrotti e riportare il sorriso sui volti di grandi e piccini? Ci riusciranno?
Fiducia ad interim
Il cambio di marcia in Bad Boys: Ride or Die del personaggio di Will Smith, che per la prima volta è fragile, ha gli attacchi di panico, vuole fare il padre ed è sposato, prevede un rifocalizzarsi sul partner con il volto di Martin Lawrence, l’elemento “puro” della coppia e dunque quello su cui puntare mentre l’altro si riabilita. Purtroppo però lui è sempre stato la spalla e tutta la sua credibilità e il suo peso sono sempre stati costruiti in funzione di questo, motivo per cui il nuovo ruolo non gli va propriamente a genio.
Lo spostamento di questo equilibrio porta il fattore della scrittura e, in special modo quello comedy, troppo al centro del corpus filmico, che invece dovrebbe essere completamente supportato dalla costruzione della parte action, che era la specialità, non a caso, del sior Michael Bay (qui presente in un cameo). La qualità di questa componente è ciò che ha fatto le fortune del franchise e, per quanto la nuova giovane coppia di registi sia preparata, volenterosa e pronta, non riesce neanche lontanamente a raggiungere il livello del cineasta. La loro è proprio un’impostazione diversa, che guarda soprattutto al videogioco, ma pecca nell’integrazione con il medium cinematografico, in special modo per la parte legata alla coreografia delle scene.
Il problema del film è proprio questo cambiamento di asset, che ovviamente ha delle conseguenze su di un equilibrio rodato da anni. Per quanto ci siano i siparietti, la solita musichetta (in versione reggae stavolta), il finale con il climax con lo scontro col cattivo, le lenti mezze distorte, la regia aereodinamica, gli zoom e il montaggio veloce, il quarto capitolo non la sostanza delle altre pellicole della saga.
Bad Boys: Ride or Die è un film con un buon cuore, ma, in fin dei conti, interlocutorio per tutti i motivi che abbiamo elencato fino a questo momento. Capitolo che non ha neanche il coraggio di annunciare un reale passaggio di testimone (dopo tutto i nostri sono ancora troppo in forma), ma decide solo di lavorare sul tema della famiglia quel tanto che basta per andare avanti un paio d’ore e strappare un sorriso. Non un film per saltare dalla poltroncina o dal divano, ma per cercare una strada verso un ipotetico quinto atto.
Nella recensione di Bad Boys: Ride or Die vi abbiamo parlato del quarto capitolo della saga del franchise con protagonisti Will Smith e Martin Lawrence. Una pellicola nata tra il successo della precedente e la necessità di rilavorare il ruolo dell'attore premio Oscar dopo il famoso schiaffo. I registi Adil El Arbi e Bilall Fallah sono chiamati a gestire dunque una pellicola che deve dare continuità, ma anche ricalibrare il tiro e questo porta il titolo ad essere poco più che un film interlocutorio. Troppo comedy, troppo poco action e troppo peso sul personaggio di Marcus senza il coraggio di dare una scossa o anche solo un annuncio convinto di un qualcosa di nuovo. Bad Boys in comfort zone, con un gran cuore, ma un po' moscio, dopo tutto.
- Il rispetto del passato e l'impegno dei registi in questo senso.
- Smith e Lawrence sono ancora in forma.
- Cambiamenti difficili nell'equilibrio della saga.
- La parte action, per quanto curata, non splende come dovrebbe.
- Il peso è troppo sul personaggio di Marcus Burnett.
- La volontà di non rischiare porta il capitolo ad essere un po' moscio.