L’avevamo già adocchiata dietro le quinte nelle ultime stagioni di Servant, la prima – e finora unica, i primi due episodi di Wayward Pines non contano – serie tv di papà, M. Night Shyamalan: era inevitabilmente figlia di quel background ma aveva anche dimostrato un proprio sguardo sul mondo horror. Ora Ishana Night Shyamalan prova a camminare con le proprie gambe – anzi con la propria mano sulla macchina da presa – sul grande schermo, pur sempre prodotta dal padre, con The Watchers – Loro ti guardano, film basato sul romanzo di A.M. Shine al cinema dal 6 maggio distribuito da Warner Bros. Come sarà andata la sua prima volta in solitaria? Scopritelo nella nostra recensione: il mix messo sul piatto è indubbiamente affascinante ed interessante, ma ci sarà un twist?

C’era una volta una foresta incantata…

La trama di The Watchers inizia quasi in medias res e allo stesso tempo nel più classico dei modi, che rimandano a The Village, allo stesso Wayward Pines e anche a From sul fronte seriale: ci troviamo in una foresta misteriosa “lì a Ovest” in cui chiunque sia entrato, non ne è più uscito. Mina (Dakota Fanning), un’artista ventottenne, americana a Galway, in Irlanda, viene catapultata proprio tra quei sinistri alberi mentre stava effettuando la consegna di un parrocchetto del negozio di animali dove lavora, e trova riparo in un’abitazione. Peccato che scopra di essere finita in una prigione dato che con lei ci sono tre sconosciuti che le spiegano molto presto che ci sono delle regole per poter restare lì e sopravvivere. Di notte degli esseri misteriosi li spiano da fuori l’edificio, che in una parete ha uno specchio riflettente solo da un lato, facendoli sostanzialmente esibire per i loro Osservatori come fossero nella Casa del Grande Fratello. Mina però non ci sta e vuole trovare un modo per tornare a casa, fuori dalla foresta: ci riuscirà e soprattutto a quale prezzo?

Un horror figlio di altri

The Watchers – Loro ti guardano è un film estremamente derivativo. Questo non è necessariamente un male ma significa anche che, nel cercare una propria strada – senza davvero trovarla mai, almeno non in una misura che buchi davvero lo schermo – ne percorre una lastricata di impronte lasciate da altri. Troviamo infatti tra le ispirazioni Hitchcock e i suoi Uccelli e soprattutto il padre M. Night Shyamalan, che come sappiamo ha creato un vero e proprio sottogenere che porta il suo nome, compresi gli oramai celeberrimi Shyamalan Twist.

Purtroppo nel seguire così pedissequamente le orme del genitore l’emergente Ishana rischia di perdere se stessa, tra citazioni e omaggi più o meno voluti e consapevoli. Compreso il tanto agognato plot twist (un po’ troppo prevedibile, in effetti) che conduce ad un terzo atto che quasi cambia tono per spiegare tutto. Compresa l’atmosfera rarefatta e suggestiva tipica delle pellicole del padre attraverso l’uso della fotografia. Il punto di vista è però molto più femminile nella costruzione e caratterizzazione dei personaggi; non solo la respingente ed egoista Mina di Dakota Fanning, che vive di un trauma passato che non riesce a dimenticare nemmeno dopo 15 anni, ma anche la materna Madeline (Olwen Fouere) e la dolce Ciara (Georgina Campbell), che vengono affiancate dal taciturno Daniel (Oliver Finnegan).

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Dakota Fanning in The Watchers

Ci vedo doppio

Bisogna però dare atto a Ishana Night Shyamalan di aver portato nel suo mondo a metà strada tra l’horror e il fantasy due elementi che finora non ci sembra siano figurati in modo così preponderante nel cinema del padre. Da un lato le tradizioni e il folklore irlandese, tra miti e leggende, che colora e insaporisce la storia raccontata, mostrati però attraverso una regia altrettanto derivativa. Dall’altro una metafora della settima arte e del voyeurismo: il cinema – come uno spettacolo teatrale, e quello in cui “si esibiscono di notte” i personaggi sembra davvero un palcoscenico – altro non è che una recita fatta per un pubblico, affamato di novità e di intrattenimento. Gli spettatori in questo caso non sono solamente misteriosi, ma hanno ovviamente delle regole e sono anche parecchio esigenti, costringendo il “cast” ad adattarsi alle loro silenti richieste. Forse un modo per dirci che ognuno di noi, come la commedia dell’arte vuole, recita una parte nella propria vita indossando una maschera che rappresenta ciò che vorrebbe, o dovrebbe, essere. O ancora più spesso ciò che gli altri vorrebbero fosse. E che noi siamo ossessionati dal guardare e stare davanti ad uno schermo.

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Non manca nemmeno il tema del doppio, riflesso attraverso lo specchio che caratterizza uno dei lati dell’edificio in cui sono imprigionati i protagonisti, che strizza l’occhio anche all’horror di Jordan Peele e al suo Noi. Qui però non si tratta di questioni razziali anche se si parla comunque di un certo tipo di discriminazione disseminata nel corso dei secoli. Proprio come una figlia che guarda a ciò che le ha trasmesso il padre, Ishana prende il mondo delle favole e gli dà un’accezione horror: come se ciò che le leggeva il genitore da piccola sotto le coperte fosse diventato il mostro sotto al letto o nell’armadio.

Un piatto che va servito freddo

The Watchers è insomma una ricetta imperfetta ma non insapore: un compito svolto senza sbizzarrirsi in termini di creatività, piuttosto che una novità culinaria che voglia uscire dal proprio seminato, distruggere gli archetipi e i topoi narrativi precedenti. È cresciuta in quell’ambiente, lo ha interiorizzato negli anni e quindi mette in scena ciò che conosce. Avrebbe potuto osare di più, sfruttare maggiormente e in modo più accattivante la tematica del doppio e l’allegoria dell’audiovisivo come veicolo del messaggio di cui voleva farsi portatrice. Ci auguriamo questo possa essere comunque un trampolino di lancio per farci vedere qualcos’altro in futuro in cui possa maggiormente spiccare il volo e mostrarci più chiaramente la sua identità artistica. Glielo auguriamo. D’altronde i figli… so’ pezzi ‘e core.

60
The Watchers - Loro ti guardano
Recensione di Federico Vascotto

Come abbiamo spiegato nella nostra recensione di The Watchers – Loro ti guardano, si tratta di un film “figlio di papà” davanti e dietro la macchina da presa: non in senso pretenzioso ma fisiologico e filologico. Non poteva che essere così con un padre del genere, ma allo stesso data la “preview” dietro la macchina da presa avuta in Servant ci aspettavamo qualcosa di più disruptive da Ishana Night Shyamalan, nonostante la sua regia sia piuttosto dolce. A buon rendere, la aspettiamo al varco al suo prossimo lavoro.

ME GUSTA
  • Dakota Fanning e il resto del cast sono un anomalo ma interessante ensemble.
  • L’allegoria della settima arte e dello spettacolo teatrale.
  • Indagare il folklore irlandese.
FAIL
  • È un film estremamente derivativo, sia a livello di regia che di ispirazioni, citazioni e omaggi.
  • Una poetica troppo legata a quella del padre, discostandosene poco.
  • Un plot twist un po’ troppo prevedibile e che porta ad un terzo atto esplicativo.