È un successo che parte da lontano quello di Giacomo Bevilacqua. Parte da una passione, quella che lo ha portato sin da subito al liceo artistico e poi alla Scuola Internazionale di Comics, per poi arrivare al Premio Attilio Micheluzzi nel 2011, proprio per A panda piace. A nemmeno 30 anni era chiaro che in quella che è diventata poi la sua opera di maggior successo c’era qualcosa di particolare da dire. Edizioni BD nel 2009 e nel 2010 decise di crederci forte, con due volumi cartacei, ma il Panda non si è mai fermato: da La7 a Wired ha continuato a mostrarsi in vignette e strenne natalizie, fino ai gadget che vennero realizzati da Toncadò nel 2011 e alla versione francese del 2013, Panda Aime, pubblicata da Edition Delcourt anche in Svizzera, Belgio e Canada.

Insomma, quel Panda piace. Bevilacqua da lì è stato inarrestabile e mentre portava avanti la propria carriera di attore teatrale ha trovato sfogo anche in numerose altre storie e graphic novel, con BAO Publishing che nel 2016 gli pubblica Il suono del mondo a memoria. Tra Bonelli e Feltrinelli Comics, di recente nei lavori di Giacomo si è inserita anche Gigaciao, la nuova casa editrice fondata insieme a Sio, Dado e Fraffrog, per trovare un’indipendenza nel fumetto che serviva. Adesso, però, era il momento di far tornare Panda, per raccontare qualcosa di intimo, con A Panda piace… capirsi.

LegaNerd: C’è un ritorno di “A Panda piace…” che nel 2018 aveva celebrato i dieci anni con un volume speciale. È un ritorno a una sfera personale, a un racconto che senti tuo. Da dove parte questa esigenza?

Giacomo Bevilacqua: Questo e “Sono una testa di Panda” (Bao Publishing, 2023) sono i miei due libri più autobiografici in assoluto, nati entrambi con l’idea di mettere un punto nella mia vita, un segnalibro. Da quando sono ragazzino mi sono portato dietro tanto, dai vizi, ad altro. Ho iniziato a scardinare queste cose, avviando un percorso da cui è nato innanzitutto “Sono una testa di Panda”, ma forse era un’idea un po’ confusionaria e non sapevo dove dovessi andare e cosa dovessi fare.

A un certo punto l’ho scoperto, grazie all’intervento di Alberto Madrigal (fumettista anche lui pubblicato da BAO, ndr) che mi ha indirizzato verso il mondo della neuroplasticità: mi ha aiutato a togliere molti dolori, sono sincero. Sono una persona scettica e nel momento in cui ho scoperto l’argomento e ho sentito le prime testimonianze, ho iniziato a leggere 50 libri di tutti i principali neuroscienziati del mondo, per capire se davvero vi fosse un fondamento. Ho iniziato ad applicare alcuni di questi esercizi che trovavo nei libri e che ho raccontato nel mio libro. Dopo un po’ mi sono reso conto che tanta di quella roba che avevo iniziava a svanire.

Per me l’ultima spiaggia era diventata l’antidepressivo: mio zio, che è il medico di famiglia che mi ha in cura, diceva che era l’unica strada rimasta per combattere. Però io ero convinto ci potesse essere un’altra strada, un modo per far sì che i percorsi neurali, il dialogo tra il cervello e il corpo, potessero essere cambiati. Si è trattata di un’opera di convincimento, che mi sono fatto da solo. Poi, però, ho pensato: il mio lavoro è creare degli oggetti che occupano uno spazio e che prima non esistevano, quindi sono libri che il mio cervello mi fa creare, magnifiche avventure. È plausibile, allo stesso modo, che mi faccia creare questi dolori e quindi dev’essere in qualche modo scardinato. Le persone devono sapere tutto questo e diventarne consapevoli!

LN: E quindi come nasce l’idea di “A Panda piace… capirsi”?

GB: Ero a una fiera e in fila c’era un fan che aspettava una dedica: mi si presenta dicendo di essere un neuroscienziato e poi mi conferma che tutte quelle idee che avevo sulla condizione del cervello erano vere. Gli ho parlato dell’idea che avevo per raccontare il tutto in un modo migliore e ha deciso di darmi una mano a mettere ordine tra le idee. Si tratta di Stefano Lasaponara (Dottore di Ricerca in Neuroscienze Cognitive alla Sapienza di Roma, ndr) e ha collaborato a far sì che questo libro potesse dire cose giuste. L’ho scritto di getto, poi, in 3 mesi: lui lo ha sistemato e corretto tutta la parte scientifica.

Nel resto del mondo stanno prendendo piede sempre di più questioni riguardanti la neuroplasticità e argomentazioni del genere, ma in Italia siamo fermi a un livello accademico, d’altronde siamo un popolo scettico. Inoltre, se vai da un medico è molto più facile che ti venga prescritta una pillola, piuttosto che fare determinati esercizi per un ano intero. Il discorso è che se le persone sapessero che mettendosi di buona lena sarebbero in grado di sbrogliare tanto del proprio cervello, le medicine forse le butterebbero.

LN: Chiaramente occupandoti tu di fumetti adesso mi dirai che la mia domanda è retorica, ma quand’è che hai capito che il fumetto poteva essere il medium migliore per raccontare la neuroplasticità?

GB: Il fumetto ha un linguaggio estremamente forte, tra i più forti che abbiamo, nonché l’unico che è passivo e attivo allo stesso tempo. Nei fumetti c’è qualcosa che nelle altre parti non c’è. La neuroplasticità è intrinseca, perché il cervello fa uno sforzo da una vignetta all’altra, da una pagina all’altra: lo sforzo che il cervello fa per colmare il vuoto narrativo tra una vignetta e l’altra già attiva dei percorsi neuronali che altri media non fanno. Questo lo rende il medium perfetto per questo tipo di cose, soprattutto perché è un libro adatto ai più piccoli. Racconto che il primo attacco d’ansia l’ho avuto a 11 anni, ed è vero: se avessi letto a 11 anni questo libro avrei detto “va be’” e fatto spallucce, però i giovani di oggi sono diversi. Ho molti nipoti, due figli, e mi rendo conto che effettivamente c’è un’intelligenza diversa, un approccio diverso alle cose, c’è un bisogno intrinseco di scardinare e di sapere, di capire le problematiche che ci sono state tramandate, che ci hanno reso vittime.

LN: In alcuni casi hai provato a rendere interattiva la lettura, non solo dando degli esercizi da fare, ma anche degli spazi all’interno dei quali scrivere o disegnare.

GB: Per come sta andando sempre di più questa società, ci sono persone che hanno il mio stesso carattere, e che quindi tendono a tendere l’elastico fino a poco prima che si spezzi e in alcuni casi a me è anche successo. Per me questa era l’ultima spiaggia, spero che questo libro parli a più persone possibili e spero che raggiunga quelle persone che non hanno una direzione, non sanno dove andare e dove guardare. Può essere un primo passo, non sostituisce un percorso terapeutico, ma se ti trovi in un momento della vita in cui lo stress e l’ansia la fanno da padrona, quello che ho scritto nel mio libro ti può aiutare a uscire da questo stadio, al 100%. Poi il motivo per cui sei lì te lo devi cercare, devi fare terapia e tutto il resto, però nel momento in cui stai cercando una strada per uscire da questo solco del cervello, che hai creato, io ti aiuto a risalire.

LN: Degli esercizi che spieghi nel libro ce n’è uno in particolare che ti riesce meglio e che ti ha aiutato più degli altri?

GB: Panda fa sempre cose che non sono pubblicizzate, ma cose che ho provato. Gli esercizi che ho raccontato e spiegato nel libro li ho fatti tutti e li faccio tuttora, o almeno la maggior parte di essi. Quello della respirazione diaframmatica, ad esempio, poi ne metto diversi subito dopo. Ce n’è un altro che è la macchina del tempo, che faccio abitualmente con i miei figli. A uno di loro ho insegnato l’esercizio de le tre cose: lui ha 4 anni e dopo esser tornato a casa dall’asilo, mi dice tre cose belle che lo hanno fatto stare bene durante il giorno. All’inizio era uno sforzo mnemonico, oppure arrivava il classico rifiuto, adesso invece lo fa con regolarità, riuscendo a notare le cose belle e che gli piacciono. Diventa un modo per evitare che chi ha un carattere come il mio finisca per sotterrare e nascondere le cose positive, puntando a un baratro.

LN: Il fumetto in Italia non se la passa bene e continuare a dirlo non aiuta nessuno, ma bisogna trovare una soluzione. Con Gigaciao state provando a trovarla?

GB: I risultati sono pubblici: abbiamo fatto un milione di fatturato in sei mesi, abbiamo iniziato a pubblicare a giugno del 2023 e dopo sei mesi abbiamo fatto la prima riunione di bilancio e abbiamo visto questo risultato. Il media per evasione per eccellenza è ancora il fumetto, soprattutto per il nostro target, che è quello dei giovani. Sono i principali lettori. C’è ancora gente che è affamata di fumetti. Dal mio punto di vista ho uno zoccolo duro di lettori che è molto nutrito, molto ampio, quindi posso dirti che la crisi non la sento. È pur vero che abbiamo toccato un momento particolare: c’è stato il boom del fumetto e quindi questa cosa doveva succedere. È una condizione fisiologica, però io dico che i lettori e le lettrici non sono stupidi e quando si ritrovano dinanzi a qualcosa di qualità, che può avere senso, per cui percepiscono la partecipazione dell’autore o dell’autrice capiscono di poterne volere di più e ne vogliono di più.

LN: Cosa dobbiamo fare per evitare che i giovani talenti crescano con la convinzione che devono pubblicare in Francia per mantenersi, lasciando l’Italia?

GB: Quando ho iniziato io, quando ho fatto la scuola di fumetto, nel 2003 circa, mi dicevano la stessa cosa, che con questo stile non avrei pubblicato mai in Italia, non avrei mai fatto niente, forse che avrei avuto possibilità in Francia. Eppure qualcosina l’ho fatta: qualche pubblicazione in America, ma anche con Bonelli una serie di 750 pagine, con lo stesso stile che volevo io, scritto come volevo io. È un meccanismo psicologico molto particolare: molte persone fanno capo alle proprie esperienze e parlano all’universale basandosi su quelle. Va scardinato come concetto. Le esperienze si fanno individualmente, non vanno rese universale.

LN: Cosa ci riserva il futuro?

GB: Un nuovo libro per Salani, in uscita a settembre, pensato per il back to school; delle storie per bambini scritte per i miei figli e che ho deciso di illustrare. Sarà il mio primo libro di narrativa. Per tutto il resto… no comment.