Ci sono serie che non finiscono, fanno giri immensi e poi ritornano. Citiamo Venditti per parlare di True Detective, che nell’anno del decimo anniversario della prima strabiliante stagione che ha fatto la storia della tv è tornata con un quarto ciclo episodi sotto forma di reboot, sottotitolato Night Country, tanto davanti quanto dietro le quinte, pur omaggiando la prima stagione, come spiegato nella nostra recensione.
Dopo due stagioni altalenanti (la seconda e la terza) questa quarta ha calamitato nuovamente l’attenzione su di sé pur mettendo insieme un diverso team produttivo e artistico. Issa López al posto di Nic Pizzolatto, Jodie Foster e Kali Reis al posto di Matthew McConaughey e Woody Harrelson. Il creatore, dopo essersi espresso nelle scorse settimane contro la qualità di questo ciclo di episodi, definendolo “robaccia noiosa” e allontanandosene creativamente – è rimasto solo come produttore esecutivo essendo lo showrunner originario – è tornato sulla questione, evidentemente non contento.
Ha creato appositamente un post sul proprio profilo Instagram dove raccogliere tutte le critiche (anche pesanti) dei fan e degli spettatori, ironizzando sul fatto che oggi non si possa parlare male di un prodotto senza essere additati come “hitleriani nazisti”. La co-protagonista Kali Reis ci ha tenuto a far sapere a Nic Pizzolatto, sempre attraverso i propri canali social, che il suo gesto risultava davvero ridicolo, oltre che sintomo di una persona che evidentemente non sapeva come impiegare al meglio il proprio tempo e come ravvivare la propria giornata. Ma è davvero così tremenda questa stagione e soprattutto il suo finale? Vediamolo nella nostra spiegazione.
Il finale dei record
Partiamo dalla prima domanda: no, True Detective: Night Country non è assolutamente una stagione tremenda, tanto più perché prova a rimescolare le carte in tavola e creare allo stesso tempo qualcosa di nuovo che non tradisca la tradizione e l’esordio fulmineo dello show, ma andando ovviamente in un’altra direzione che poi è la visione creativa della nuova showrunner. Una boccata d’aria fresca dopo le problematiche annate precedenti. Che è riuscita tra l’altro ad ottenere risultati che non si vedevano dalla prima stagione, anzi addirittura a superarla: sono stati ben 12.7 milioni di spettatori a seguire il quarto ciclo attraverso tutte le piattaforme (la prima aveva avuto una media di 11.9 milioni), che a sua volta aveva battuto l’esordio di Six Feet Under.
Il finale è stato più visto della premiere, 5 milioni contro 2. Tanto che con grande celerità rispetto ai precedenti cicli – lo provano i quattro anni trascorsi tra le ultime due annate – è stata già rinnovata per una quinta stagione, confermando Issa López alla guida e quasi sicuramente nuovi interpreti, proprio nell’ottica antologica che ha da sempre caratterizzato lo show. Chissà cosa avrà da dire ora Pizzolatto. Le critiche che si leggono sui social da parte degli utenti sembrano confermare un certo trend, acuito da Barbie e Povere Creature!, del risveglio di una certa mascolinità tossica evidentemente impaurita da un racconto con un punto di vista prettamente femminile. Altrimenti non sappiamo davvero spiegarci queste coincidenze che, come Lost ci insegna, in fondo non esistono.
La spiegazione del finale: chi è il colpevole?
L’aspetto più interessante (e fastidioso) della spiegazione del finale di True Detective 4 è che è tutto tranne che soprannaturale. Dopo che per cinque episodi ci era stato fatto credere che la soluzione poteva trovarsi più al di là che al di qua del confine tra la vita e la morte, tra questo mondo e quell’altro, tra l’Alaska e il Night Country, rivelatosi appunto il purgatorio per l’oltretomba, in realtà ad uccidere il gruppo di scienziati ritrovati nudi e assiderati nel ghiaccio sono state le donne inuit, che si erano stancate di essere trattate come carne da macello insieme alle proprie famiglie a causa dell’inquinamento causato dalla Tuttle per migliorare le condizioni di scoperta scientifica della stazione Tsalal, e volevano vendicare la morte di Annie K.
Quest’ultima infatti, avendo una relazione con uno di loro, Raymond Clark, aveva scoperto ciò che stavano facendo e voleva denunciarli, ma è stata fermata prima di poterlo fare. La soluzione – con un percorso similare a quello di Assassinio a Venezia, in cui le convinzioni di Poirot vengono duramente messe alla prova ma infine è tutto sempre tangibile e provabile – è quindi (almeno in parte) legata alla realtà. Questo perché le donne hanno “semplicemente” abbandonato il gruppo nella neve, ma poi non si sa chi (o cosa) effettivamente li abbia uccisi… dalla paura. Anche se il referto dell’autopsia parla di una valanga e a questa versione decidono di attenersi le due True Detective dopo aver ascoltato la doppia confessione, tanto delle donne inuit quanto di Raymond Clark. Video-confessione, quest’ultima, che invece “misteriosamente” arriva alla stampa portando alla chiusura della miniera e a vari guai legali per la Tuttle.
Cosa è successo anni prima?
Scopriamo il caso che aveva unito – e poi diviso – le due poliziotte. Un uomo macchiatosi di crimini contro le donne che la stessa Navarro aveva fatto fuori, coperta dalla collega. Liz Danvers (una grande Jodie Foster in odore di Clarice Starling) deve infine accettare che non è tutto è spiegabile e che ciò è morto non resta sempre tale, come Holden, il figlio che ha perso anni prima in un tragico incidente stradale. Adottando la figlia dell’uomo rimasto ucciso durante il vecchio caso, probabilmente a sua insaputa. Ora che anche Evangeline Navarro (Reis) che è sempre stata più incline a credere a qualcosa al di là, forse per il proprio DNA nativo americano, ora raggiunge la sorella e si fa guidare dai ghiacci.
Nella scena finale vediamo Danvers seduta davanti alla casa al lago, dove ha trovato il cellulare di Navarro e il peluche di Holden, e qualcuno in piedi dietro di lei, in realtà una presenza. Che sia proprio Navarro? Ai posteri l’ardua sentenza, o meglio agli spettatori, proprio come l’intero dubbio instillato nel pubblico durante questi sei episodi: in fondo, se ci pensiamo un attimo, proprio quel true del titolo indica casi il più veritieri e meno soprannaturali possibili, quindi effettivamente non sono stati tradite le origini di Pizzolatto, o almeno non del tutto. Intanto gioiamo per True Detective che proprio come i personaggi di Night Country, è tornata dal regno dei morti per restare, almeno per il momento, in quello dei vivi.