I tre moschettieri – Milady, la recensione: il volto “mostruoso” della Francia

Eva Green

Uno dei punti di forza de I tre moschettieri, il celeberrimo romanzo di Alexandre Dumas, è stata la sua capacità di creare dei personaggi indimenticabili. Figure carismatiche, complesse e funzionali all’idea metaforica di un racconto che non doveva solamente racchiudere al suo interno l’immaginario legato agli intrighi di corte e alla morale cavalleresca tradizionale, ma anche rappresentare una Francia dalle mille anime da superare per creare un nuovo Paese, più unito e solido. Il regista Martin Bourboulon e i suoi due sceneggiatori, i “commediografi” Matthieu DelaporteAlexandre de La Patellière, hanno progettato di far leva su questa caratteristica precisa del libro, focalizzandosi prima di tutto sulle potenzialità delle figure chiave della storia, un po’ come testimoniano anche i titoli dei due film che compongono il dittico ad alto budget ispirato al romanzo, I tre moschettieri – D’Artagnan (qui la nostra recensione) e quello di cui vi stiamo per parlare.

Nella recensione de I tre moschettieri – Milady, nelle nostre sale dal 14 febbraio 2024 con Notorious Pictures, ci troviamo di fronte al secondo atto di un’operazione da colossal europeo con un budget totale complessivo di oltre 70 milioni di euro. Una cosa vista veramente di rado nel circuito cinematografico del Vecchio Continente e che testimonia quanto il movimento transalpino abbia puntato su questa produzione da tutti i punti di vista, investendo gli autori di un ruolo e una credibilità veramente pesanti da sostenere.

Uno dei punti di forza de I tre moschettieri, il celeberrimo romanzo di Alexandre Dumas, è stata la sua capacità di creare dei personaggi indimenticabili.

La prima parte ci parlava di un adattamento in cerca di un proprio equilibrio tra la fedeltà alla carta stampata e una contemporaneità che passava proprio dalla rielaborazione dei personaggi, oltre che dalla messa in scena, sia in termini di regia che di costumi, scenografia e trucco. L’idea apparsa è quella di cercare un mix di commedia e azione (senza perdere la parte politica legata agli intrighi), sporcando parallelamente un’immagine di solito molto pulita quando si tratta di film del genere e tentare così un approccio più internazionale e vendibile, meno legato ad una produzione con dei confini.

Una decisione più che comprensibile legata a filo doppio a quella di un cast bilanciato tra nomi ormai stranoti e altri più vicini alla Francia. Probabilmente in questo film ancor più del precedente, visto che il volto in copertina è quello della meravigliosa Eva Green,  alla guida di un ensemble composto più che altro da uomini, François Civil, Romain Duris, Pio Marmaï, Vincent Cassel, Eric Ruf, Louis Garrel e stavolta con Vicky Krieps e Lyna Khoudri fanalini di coda. Più uomini, più azione, più libertà, più contemporaneo, ma con una donna a far girare il tutto.

Una donna per tutte le stagioni

D’Artagnan (Civil) ha realizzato ormai il suo sogno di diventare moschettiere, essendosi distinto per abilità, coraggio e fedeltà alla corona, dato che insieme ai suoi sodali Athos (Cassel), Porthos (Marmaï) e Aramis (Duris), è riuscito a sventare l’attentato ai danni di Luigi XIII (Garrel). Un evento che ha rinforzato la posizione dei nostri protagonisti, ma ha rivelato l’esistenza di un complotto per distruggere la corona, che invece ora risulta in bilico, motivo per cui è chiamata ad una pronta risposta. Una situazione voluta fortemente da chi vuole la guerra civile in Francia, divisa tra gli ugonotti alleati agli inglesi e i cattolici vicini al re.

Come se non bastasse un conflitto alle porte che coinvolgerà gioco forza anche i moschettieri, prime lame della corona, Costance (Khoudri), la guardarobiera della regina Anna D’Austria (Krieps) e oggetto d’amore di D’Artagnan, viene rapita perché testimone inconsapevole di un colloquio segreto. Il ragazzo, neanche a dirlo, si mette subito sulle sue tracce, desideroso di trarla in salvo anche a costo della sua stessa vita.

I tre moschettieri - Milady

Una situazione voluta fortemente da chi vuole la guerra civile in Francia, divisa tra gli ugonotti alleati agli inglesi e i cattolici invece vicini al re.

Sulla sua strada trova però un’altra donna, la misteriosa Milady de Winter (Green), già incontrata in passato dal moschettiere, sempre uscito sconfitto dal confronto con una figura che sembra quasi magica data la sua incredibile capacità di materializzarsi in ogni veste, momento e luogo, cambiando spesso anche aspetto e atteggiamento.

L’enigma rappresentato dalla bellissima, ma letale Milady, che potrebbe risalire addirittura al passato di uno dei machi armati di spada e onore, si intreccia al delicato assedio ai ribelli situati nella città di La Rochelle e porterà i nostri fino alle coste dell’Inghilterra, dove si potrebbe svolgere il duello finale per il futuro della Francia e per la storia d’amore tra D’Artagnan e Costance.

Il destino della Francia all’insegna del femminile

A dispetto delle premesse improntate sull’esaltazione dei personaggi del romanzo di Dumas, c’è solo un volto della maxi operazione messa in piedi da Bourboulon a catturare l’occhio, ovvero la Milady di Eva Green, una interprete di una generosità sempre fuori dal comune, in grado di fare tante cose diverse nello stesso film. Un’attrice che sa giocare con il fascino particolarissimo che emana e piegare il suo straordinario volto per conquistare, spaventare, commuovere e sfidare. Il lavoro che questo sequel fa sul corpo del personaggio nominato nel suo titolo è la cosa cinematograficamente più interessante, dato che esso diventa la personificazione dei peccati di una Francia che ha creato dei mostri, ora carichi di un peso malinconico per un’umanità persa, compensato dalla ferocia con la quale vogliono vendicarsi e strappare un futuro che è stato loro negato. Tutto questo è Milady: il volto mostruoso di una Nazione messa in ginocchio da uomini pigri ed egoisti.

Lei è una delle forze del destino del Paese, opposta a quella rappresentata dalla Costance di Lyna Khoudri, che è l’innocenza di un “nuovo fiore” ancora non sfregiato da uomini ottusi e ancorati a valori crudeli e ormai inadeguati al mondo che deve sorgere. Una promessa martire, amata da D’Artagnan, che dovrebbe essere il suo perfetto omonimo tra le fila dei maschi di cui sopra e che invece risulta infine solo un altro di loro.

Un’attrice in grado di giocare con il fascino particolarissimo che emana e di piegare il suo straordinario volto per conquistare, spaventare, commuovere e sfidare.

I tre moschettieri - Milady

Soprattutto per colpa di François Civil, mai veramente magnetico, anzi, un attore che risulta più a suo agio quando è protagonista delle decine di piani sequenze sparsi per le due pellicole di Bourboun, che ricorre a questa tecnica anche quando non servirebbe, cioè ogni volta che non è adoperata per una scena d’azione (l’azione è la parte migliore della messa in scena). Di fatto la recitazione maschile non è granché, neanche quando sono coinvolti nomi più altisonanti del giovane interprete parigino.

La pellicola è talmente votata al femminile che tutta la parte legata alla guerra, gli intrighi di potere e di corte risulta complicata, pedissequa e anche un po’ dannosa perché castra l’epicità e la mitologia, nonché dei personaggi che dovrebbero appassionare il pubblico e invece scompaiono. Non possono bastare gli sketch quasi macchiettistici piazzati qua e là per spezzare un ritmo pesante. Qui sta tutta l’ambiguità de I tre moschettieri – Milady, un titolo che punta sui personaggi, ma che di fondo è in grado di farne esaltare solo uno (per meriti più personali che del film tra l’altro) e questo è un male perché tradisce le premesse di cui sopra e rischia di stancare la voglia di saga che pare abbia l’operazione. Sì, perché forse non è finita.

I tre moschettieri – Milady è nelle nostre sale dal 14 febbraio 2024 con Notorious Pictures.

65
I tre moschettieri - Milady
Recensione di Jacopo Fioretti Raponi

I tre moschiettieri - Milady è il secondo atto del dittico ad alto budget diretto da Martin Bourboulon dedicato al romanzo di Alexandre Dumas. Al centro della scena stavolta c'è il personaggio di Eva Green, il più riuscito dell'operazione, volto di un film pieno di difetti nella sua componente maschile, pesante, pedissequo e prevedibile. Lei è in grado di brillare, forse anche per merito proprio, elevando il senso semantico dell'adattamento e giustamente posta come centro di gravità permanente intorno al quale orbita tutto il resto. Una linea editoriale chiara che punta al contemporaneo attraverso il femminile (e alla spettacolarità della messa in scena) e che vuole portare a creare una saga.

ME GUSTA
  • Eva Green è straordinaria.
  • La componente femminile è molto interessante, soprattutto tal punto di vista semantico.
  • La parte action della pellicola funziona bene.
  • I soldi del budget sono ben spesi, vista la credibilità dell'apparato scenico.
FAIL
  • La parte maschile è piuttosto debole, anche dal punto di vista recitativo.
  • La struttura narrativa legata agli intrighi castra il ritmo e la costruzione della mitologia.
  • La trama è inutilmente complicata.
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