Negli ultimi anni c’è stata una riscoperta – o forse non s’è n’è mai veramente andato – del genere horror a low budget, fatto di pellicole che servono proprio ad essere un puro intrattenimento e popcorn movie per gli spettatori, dove più splatter dove più elegante, magari con qualche suggestione e ispirazione nuova. È in quest’ultima sottocategoria che si inserisce The Piper, il nuovo lungometraggio diretto da Erlingur Thoroddsen nelle sale italiane dal 18 gennaio distribuito da Vertice 360. Almeno negli intenti perché, come spiegheremo nella nostra recensione, si tratta purtroppo di un’occasione sprecata forse anche per via proprio di quel budget risicato e limitato.
Ispirazione favolistica
La trama di The Piper prende ispirazione dalla celebre favola dalle tinte dark – che quindi ben si prestava al genere – Il Pifferaio di Hamelin, che Erlingur Thoroddsen conosceva bene fin da bambino – come molti di noi – ma rileggendola da adulto ha capito che, grazie alle atmosfere inquietanti e misteriose, poteva facilmente diventare il soggetto per un horror in cui la melodia del pifferaio fosse maledetta. Al centro della storia Melanie, interpretata da Charlotte Hope, già vista nel Trono di Spade nel ruolo di Myranda e come Caterina d’Aragona in The Spanish Princess, oltre che già avvezza agli horror dopo la partecipazione al primo The Nun. La giovane donna dà corpo e voce ad una flautista e madre single con il sogno nel cassetto di diventare lei stessa una compositrice: sembra avere le carte in regola, la sua mentore all’università lo sapeva, ma il burbero e un po’ maschilista direttore d’orchestra non pare darle il credito necessario, prediligendo un suo collega maschio con la medesima aspirazione.
L’occasione fa la donna compositrice
Si dice che l’occasione fa l’uomo ladro, ma – aggiungiamo – anche la donna compositrice. Tutta l’orchestra di Charlotte è in lutto per la morte della loro compositrice, nonché vecchia mentore e relatrice della protagonista. Quest’ultima pensa di omaggiarla completando la sua ultima melodia incompiuta per suonarla alla fondamentale raccolta fondi annuale dell’orchestra, grazie alla quale potrà mantenere il proprio già precario lavoro e sistemare i debiti che ha accumulato. Ciò che non sa ovviamente – ma che noi spettatori invece scopriamo fin dalla prima sequenza in medias res – è che c’è un motivo se la donna non è riuscita a finire il proprio lavoro, ovvero una maledizione secolare legata a quella melodia.
Una leggenda terrificante, le cui radici vanno cercate proprio in quella favola che molti di noi hanno letto da bambini. Apprezzabile il lavoro fatto in tal senso sulle musiche dal compositore del film Christopher Young, già autore di colonne sonore di genere come The Grudge, The Exorcism of Emily Rose e Sinister. Peccato però che la musica non sia stata sfruttata appieno per rendere visive alcune suggestioni sonore e stimolare così tutti i sensi del pubblico e mescolare i due aspetti della pellicola. Qualcosa del genere era stato fatto in Doctor Strange nel Multiverso della Follia nella famosa sequenza di combattimento attraverso le note: sarebbe potuto essere un suggerimento come tanti sulla direzione da intraprendere.
Musica e horror
Ma – ci viene da pensare – forse la colpa sta tutta nel budget. Perché ci sembra proprio che il film fatichi a volte a trovare una propria strada originale in un genere oramai abusato ma sempreverde per limiti tecnici più che narrativi. L’idea di mescolare musica e horror non è di certo un binomio nuovo, ma avrebbe potuto cercare nuove strade e differenti percorsi per spaventare e suggestionare il pubblico a partire da quella melodia maledetta: pensiamo ad esempio a grandi ratti inquietanti, invece ci troviamo di fronte ad una creatura che sembra un mix di esseri già visti nei film di genere. Di pari passo vanno regia e fotografia, che non sembrano particolarmente centrate o ispirate. Anche il cast non sembra coinvolto fino in fondo in The Piper: non solo la protagonista mai veramente pienamente dentro il personaggio, ma anche Julian Sands (una lunga carriera fatta di titoli come Urla del silenzio, Camera con vista, Vatel, Il pasto nudo). Qui al suo ultimo ruolo prima della morte e al quale il film è dedicato: un direttore d’orchestra che non pienamente convinto dei panni da vestire, il misantropo, il maschilista, colui che vuole dare una possibilità ai giovani, l’esaurito ed ossessionato dal proprio lavoro?
L’epilogo sembra confermare l’indecisione generale, aprendo banalmente ad una ciclicità ed eredità generazionale della storia, senza nemmeno sforzarsi. La tematica principale sembra essere non tanto quella di discriminazione di genere ma piuttosto quella della musica che diventa ossessione e un tutt’uno con chi la compone o la suona. Come quando non riusciamo a toglierci un motivetto dalla testa dopo averlo sentito al supermercato mentre facevamo la spesa, ma con conseguenze disastrose e potenzialmente fatali. Proprio come il serpente a sonagli che si risveglia dal torpore seguendo una certa melodia, in questo caso si tratta di qualcosa in grado di risvegliare le forze del Male.
Alle origini del Pifferario Magico
La favola nera del pifferaio di Hamelin – in originale Der Rattenfänger von Hameln ovvero letteralmente “l’accalappiatore di ratti di Hameln” – è ambientata in Bassa Sassonia e, sebbene come tutte abbia varie versioni come quella dei fratelli Grimm o Goethe o Browning, racconta di un pifferaio magico che, su richiesta del borgomastro, ha il compito di allontanare i ratti dalla città attraverso la propria musica. Quando però l’uomo non viene pagato per il servizio reso, si vendica rapendo i bambini della cittadina e portandoli con sé al suono del piffero. L’origine della favola è da imputare alla peste che colpì la Germania nel XIV secolo attraverso i ratti o all’emigrazione di massa di più di un centinaio di ragazzi nello stesso periodo. Nel film i bambini hanno un ruolo che si rivelerà fondamentale ma, ancora una volta, troppo confuso e poco coeso negli intenti per poter ottenere un risultato che intrattenga spaventosamente gli spettatori e soprattutto li tenga incollati alla sedia, come horror comanda.
Abbiamo inevitabilmente parlato del binomio musica e horror nella recensione di The Piper, che avrebbe potuto trovare una propria melodia per intrattenere il pubblico con un film di genere portando qualcosa di nuovo ma purtroppo sbaglia le note. Si vede che c’erano delle idee e delle suggestioni di fondo, che però non riescono ad attraversare lo schermo e arrivare allo spettatore, forse per questioni di budget. Lo stesso vale per il finale, pigro e svogliato, e per la caratterizzazione e sviluppo dei personaggi, nonché per la regia, non molto ispirata e troppo derivativa quando avrebbe potuto sfruttare molto di più il binomio al centro della storia.
- L’idea di unire comparto musicale e storia dell’orrore.
- L’ispirazione di una favola dai toni dark come quella del Pifferaio di Hamelin.
- La storia e gli espedienti horror risultano confusi e poco coesi.
- Il cast non convince appieno.
- Il finale.