Senza dubbio la saga de La Mummia ha donato all’immaginario collettivo pop un’idea di Egitto molto misteriosa, piena di segreti ed enigmi e anche magica con l’ingresso nella storia del Libro dei Morti (oltre a quello dei Vivi). Ma in realtà esiste veramente? E’ stato mai ritrovato? Quanto si discosta dalla pellicola?
La tempesta si alzerà. Il cielo si aprirà. Il potere si scatenerà
La Mummia (1999)
Uno dei film classici degli anni novanta dell’avventura, è senza dubbio La Mummia, film che è riuscito a consacrare (a sue spese purtroppo) l’attore Brendan Fraser e incuneare nell’immaginario collettivo una certa idea dell’Egitto e di tutto quello che ruota intorno a quel meraviglioso e affascinante periodo storico. Una delle situazioni più misteriose è sicuramente il Libro dei Morti, definito dalla pellicola come la chiave per risvegliare i millenari defunti dal loro eterno riposo. Il Libro dei Morti è un testo sacro esistente? Assolutamente sì. Ha dei particolari poteri magici per poter rimettere in vita mummie e non solo?. Ovviamente niente fu mai più falso, difatti non esiste nessuna formula per risvegliare i morti, né una controparte d’oro nota come “Libro dei vivi” che porta via la vita stessa. Tuttavia ci sono diversi libri nell’Antico Egitto riconducibili a quel nome, ma che appunto come abbiamo anticipato non hanno nessuna veridicità “magica”.
Il Libro dei morti è un antico testo funerario egizio, utilizzato stabilmente dall’inizio del Nuovo Regno (1550 a.C. circa) fino alla metà del I secolo a.C. Il titolo originale del testo, traslitterato è ru nu peret em heru, ed è traducibile come Libro per uscire al giorno (altra possibile traduzione è Libro per emergere dalla luce). “Libro” è il termine che più si avvicina a indicare l’intera raccolta dei testi: il “Libro dei morti” si compone di una raccolta di formule magico-religiose (anche di notevole lunghezza: in un’edizione del 2008 della traduzione di Budge, il solo testo raggiunge le 700 pagine) che dovevano servire al defunto come protezione e aiuto nel suo viaggio verso la Duat, il mondo dei morti, che si riteneva irto di insidie e difficoltà, e verso l’immortalità. Fu composto da vari sacerdoti egizi nell’arco di un millennio, indicativamente a partire dal XVII secolo a.C. Il Libro dei Morti altro non era che un testo sacro egizio composto da formule e frasi religiose che avrebbero dovuto accompagnare il defunto nel suo viaggio nell’aldilà. Di questo libro o parti di esso ce ne sono pervenuti pochi frammenti, utilissimi comunque alla ricerca sul culto della morte presente nell’Egitto dei faraoni.
Ci sono diverse storie al suo interno e quasi tutte ruotano attorno alle vicende del Dio Sole e della sua lotta contro il Male, ma sostanzialmente era ritenuto una sorta di salvacondotto che il defunto avrebbe dovuto presentare al cospetto di Osiride, a cui sarebbe seguita la cosiddetta “psicostasia” o “pesatura del cuore/dell’anima” da parte del dio Anubi. A questo fenomeno partecipano anche il dio Thot, custode della saggezza, che prende nota dell’esito della pesatura: se il cuore fosse stato equilibrato alla piuma posta sul piatto opposto, il defunto sarebbe stato ritenuto “giusto” e ammesso nel regno dei morti. In caso contrario, il cuore sarebbe stato mangiato dalla dea Ammit, una sorta di chimera dell’epoca.
Com’era il Libro dei Morti?
Anche se lo chiamiamo “libro” inizialmente, le iscrizioni del Libro dei Morti erano dipinti sulle pareti delle camere sepolcrali e persino sui sarcofagi stessi, quindi erano semplicemente delle formule dipinte su dei materiali ben specifici e non racchiusi in una “custodia sacra”. Solo successivamente furono trasferiti su papiro e inseriti all’interno delle tombe e dei sarcofagi insieme ad altri oggetti utili al defunto per raggiungere il regno dei morti. Numerosi elementi e stralci del Libro dei Morti sono stati reperiti nella Valle dei Re e sono ancora sotto analisi da parte di studiosi ed egittologi, ma purtroppo la quasi completa mancanza di un tomo completo che racchiuda ogni elemento del Libro, rende la sua analisi purtroppo frammentaria e incompleta, almeno per ora. Dagli studi più recenti si apprende che il Libro dei morti si inserì in una tradizione di testi funerari che include i ben più antichi Testi delle piramidi, tipici dell’Antico regno (XXVII–XXII secolo a.C.) e i cosiddetti Testi dei sarcofagi risalenti al Primo Periodo Intermedio e al Medio regno (XXI–XVII secolo a.C.), che erano inscritti (come abbiamo detto precedentemente) su pareti di camere funerarie o su sarcofagi e non ancora su papiri.
Anche se lo chiamiamo “libro” inizialmente, le iscrizioni del Libro dei Morti erano dipinti sulle pareti delle camere sepolcrali e persino sui sarcofagi stessi
Alcune delle formule che troviamo nel “Libro dei morti” derivano da tali raccolte precedenti, invece altre furono composte in epoche successive della storia egizia, risalendo via via fino al Terzo periodo intermedio (XI–VII secolo a.C.), segno che un vero e proprio manoscritto che parli di queste “famigerate formule” non c’è mai stato o meglio il grande lavoro degli archeologi è stato proprio quello di collezionarne varie parti per inserirle in un unico volume.
I Testi delle piramidi, impiegati per la prima volta nella piramide del faraone Unis della V dinastia (morto intorno al 2350 a.C) erano scolpiti sulle pareti delle camere sepolcrali all’interno delle piramidi dei soli faraoni (e, a partire dalla VI dinastia, di importanti “spose reali”). Molti dei Testi delle piramidi furono redatti con geroglifici oscuri e inusuali; dei segni che raffiguravano esseri umani o animali che venivano lasciati incompleti o mutilati per impedire, simbolicamente, che provocassero un qualsiasi danno al sovrano defunto. Lo scopo di questi testi era quello di aiutare il re a prendere il proprio posto fra gli dei, in particolare a riunirsi con Ra, il suo genitore divino; l’aldilà era immaginato, in tale fase storica, nei cieli, non come l’oltretomba sotterraneo descritto nel Libro dei morti. Alla fine della VI dinastia i Testi delle piramidi cessarono di essere un’esclusiva dei faraoni e furono adottati anche da nobili, alti funzionari e governatori locali
I Testi dei sarcofagi invece si servirono di un linguaggio molto meno arcaico, ovviamente di nuove formule e, per la prima volta, di illustrazioni e figure: venivano incisi sui coperchi e sulle pareti esterne e, più comunemente, interne dei sarcofagi, benché siano stati sporadicamente rinvenuti anche su pareti e papiri. I Testi dei sarcofagi erano accessibili a chiunque fosse abbastanza ricco da permettersi un sarcofago, allargando così il numero di coloro che avrebbero potuto aspirare alla vita eterna, proprio come i gli antichi faraoni dei secoli precedenti; questo processo è stato definito una “democratizzazione dell’aldilà”.
I papiri delle varie copie del Libro dei morti, o di parte di esso, erano comunemente deposti nei feretri insieme alle mummie nell’ambito dei riti funebri egizi e la difficoltà nell’archiviare e studiare questo particolare frammento di Egitto è che non vi fu mai un’edizione canonica e unitaria del Libro dei morti e non ne esistono due esemplari uguali: i papiri conservatisi contengono svariate selezioni di formule magiche, testi religiosi e illustrazioni quindi la difficoltà nell’unificare questa storia è altissima. Alcuni collezionisti, ed eccentrici dell’epoca, sembra che abbiano commissionato copie del tutto personali del Libro dei morti, scegliendo probabilmente (con una certa libertà) frasi e formule che ritenevano importanti per il proprio accesso nell’aldilà ed ecco spiegato il perché della leggenda che il libro servisse per risvegliare i defunti. Il Libro dei morti era quasi sempre redatto in caratteri geroglifici o ieratici su rotoli di papiro, e talvolta decorato con illustrazioni o vignette (aventi, talvolta, un notevole valore artistico oltreché archeologico e paleografico) del defunto e delle tappe del suo viaggio ultraterreno.
Le formule del Libro dei Morti.
Tranquilli che nessun Imhotep sentirà mai queste parole e non scatenerà furie e devastazioni nei vostri mondi, ma andiamo a curiosare quali sono le costanti letterarie e fonetiche (in modo generico) di questi papiri. Molti di questi sotto-testi iniziano con la parola ro, che può significare “bocca”, “discorso”, “capitolo”, “formula” o “incantesimo”: questa pluralità di significati evidenzia l’ambiguità del pensiero egizio sui concetti di formula rituale e poteri magici. Le formule finora conosciute sono 192, anche se nessuno dei manoscritti scoperti fino ad ora le contiene tutte ed esse servivano a differenti scopi rituali: alcune avrebbero dovuto infondere nel defunto una conoscenza mistica dell’aldilà oppure identificarlo con le divinità. Altri incantesimi invece tendevano all’unità e alla conservazione eterna delle parti del defunto, a fornirgli il pieno controllo del mondo che lo avrebbe circondato, a proteggerlo dalle forze malefiche che lo avrebbero insidiato nel mondo dei morti oppure infine ad aiutarlo a superare i molti ostacoli dell’aldilà.
Due formule molto celebri concernono il giudizio dell’anima del defunto nella cerimonia ultraterrena della “psicostasia” (pesatura del cuore). Le Formule 26–30, ma anche la 6 e la 126, relative al cuore del defunto, potevano essere inscritte su amuleti a forma di scarabeo (vi ricorda qualcosa nel film La Mummia?). Le tecniche magiche presentate da alcune formule del Libro dei morti possono essere inoltre individuate anche nella vita di tutti i giorni nell’antico Egitto, e non era raro che venissero copiate su oggetti quotidiani (come i poggiatesta) o su amuleti protettivi, sia d’uso comune che inseriti fra le bende delle mummie.
Insomma questi sono solo dei piccoli appunti per incuriosirvi sulla grande storia che c’è dietro al Libro dei Morti, una storia in continua evoluzione come tutte le vicissitudini che ruotano attorno al grande Egitto. Di certo c’è solo una cosa, che questo Libro esiste e che purtroppo, per i tanti fan dell’occulto, non ha nessun poter magico…anche se non è magia la storia di questo Libro, non possiamo dire che studiare dei testi scritti più di 3000 anni fa è già qualcosa di magico?