Il nuovo film di Martin Scorsese racconta una serie di omicidi di nativi americani Osage diventati ricchissimi dopo aver trovato il petrolio all’inizio del Novecento, ma qual era la storia di questo popolo non così conosciuto come altre tribù?
Nel maggio del 1921 in un burrone nella contea di Osage, nel nord dell’Oklahoma (Stati Uniti), fu trovato il corpo decomposto di Anna Brown, una donna della Nazione Osage, un popolo di nativi americani che viveva nella zona. Il caso fu archiviato come una morte accidentale per avvelenamento, anche se sulla testa della donna c’era un foro di proiettile. Passati due mesi anche sua madre Lizzie Q, a cui era andata l’eredità della figlia, morì in circostanze sospette. Due anni dopo, suo cugino Henry Roan fu ucciso a colpi di arma da fuoco, così come diversi altri membri della loro famiglia. Questa storia, che sembra riguardare solo una famiglia, era solo una punta di un grande iceberg: in quegli anni difatti furono documentati diversi omicidi irrisolti o morti sospette fra i membri della Nazione Osage, considerato “il popolo con la più alta ricchezza pro capite al mondo”. Degli Osage e del loro destino ingrato si è sempre parlato abbastanza poco e probabilmente l’occasione di Killers of The Flower Moon di Martin Scorsese, in sala dal 19 ottobre, è una di quelle da non sottovalutare. Lo stesso regista americano è consapevole del fatto che il vento stia cambiando, che non è giusto più raccontare gli Indiani d’America come 150 anni fa, che parte del pubblico è convinta ancora che vivano sui thipì come l’epoca di Toro Seduto e che i bianchi si sono dovuto sempre scontrare con i Nativi per motivi più che validi. Non è così. La storia d’America insegna che la terra calpestata dagli attuali “padroni” è macchiata dal sangue e ci sono così tante sfaccettature che è arrivato il momento di iniziare a raccontarle. Ed ecco arrivato l’ultimo film di Martin Scorsese che prende in esame uno spicchio di racconto ai più sconosciuto, ma significativo per tantissime realtà: la storia degli Osage e dell’oro nero sotto la loro terra. Ma chi erano gli Osage? Perché si sono trovati immischiati in affari così grandi e meschini? Il film si differenzia dal saggio da cui è tratto?
Ma chi erano gli Osage? Perché si sono trovati immischiati in affari così grandi e meschini? Il film si differenzia dal saggio da cui è tratto?
Iniziando dal principio è giusto ricordare che il film è basato su un saggio scritto da David Grann nel 2017 intitolato “Gli Assassini della Terra Rossa” (libro che il 18 aprile 2017, fu inserito nella top ten dei saggi del New York Times) saggio che racconta la storia in funzione di come questi omicidi rappresentarono un episodio fondamentale per la nascita dell’FBI. Proprio la nascita dell’agenzia governativa più importante d’America è il focus del libro, ma Scorsese si concentra sulla protagonista Osage del libro, Mollie Burkhart (Lily Gladstone), parente di Anna Brown, e sul suo matrimonio con Ernest Burkhart (Leonardo DiCaprio). Il regista ha ricordato di aver scelto questo punto di vista, proprio per evitare di fare un film che avesse come personaggi principali solo degli uomini bianchi, nel caso del libro gli agenti dell’FBI, quando i veri protagonisti erano i nativi americani con la loro vicenda. E sono proprio i soprusi che hanno dovuto vivere per decenni il punto focale di questa pellicola. Sì perché negli anni Venti la popolazione più ricca d’America erano proprio gli indiani Osage, nel momento in cui gli idrocarburi stavano per diventare la risorsa più importante del pianeta, sotto il loro suolo furono trovati enormi giacimenti; una realtà chiaramente che ha attirato i bianchi con i loro giochi al potere senza scrupoli.
Chi erano gli Osage?
Attualmente gli Osage si trovano prevalentemente nella Osage County dell’Oklahoma, anche se è possibile incontrare piccoli insediamenti anche in altre parti del grande continente americano, ma all’epoca dei fatti del film gli Osage stanziavano in un ampio territorio che andava dall’Arkansas, Missouri, Kansas e appunto Oklahoma. Lo stesso Martin Scorsese ha voluto utilizzare moltissimi Osage nel film, l’anziano che seppellisce la chanupa (pipa sacra) è un Osage, ed è stato a contatto con loro per diverso tempo al fine di realizzare una pellicola quanto più coerente e lontana dagli stereotipi. Tuttavia la storia d’America non ha mai “raccontato” più di tanto di questo popolo, i Navajo, Cheyenne, Arapaho, Lakota sono molto più conosciuti e questo forse perché gli Osage non furono sufficientemente ostili nei confronti dei bianchi che avanzavano e che li tiravano all’interno di un vortice di relazioni pericolose; o forse perché non furono protagonisti dei duri decenni della resistenza indiana nelle pianure. I soprusi che hanno dovuto vivere, come molti altri nativi, sono eguali a tutti gli altri popoli Indiani d’America e tra i tanti esploratori anche il famosissimo pittore ed etnografo George Catlin ebbe modo di incontrarli nel corso di una delle sue lunghe peregrinazioni dicendo
sono l’etnia più alta di tutto il Nord America, sia tra i popoli bianchi che tra quelli rossi, essendo veramente pochi quelli che tra gli Osage si collocano sotto il metro e ottanta centimetri di altezza, mentre ve ne sono parecchi che sfiorano il metro e novanta e alcuni superano persino i due metri.
La lingua degli Osage è appartenente al ceppo Siouan, nella variante Dhegihan parlata oggi in Nebraska e Oklahoma. Gli Osage vivevano originariamente tra i Kansa, i Ponca, gli Omaha e i Quapaw nella Ohio Valley e antiche leggende tramandano che gli Osage usavano chiamarsi Ni-U-Kon-Ska, che significa “Piccolo popolo delle Acque di Mezzo”, ma è certo che sul finire del XVII secolo usavano il termine Wah-Zha-Zhe. La prima persona bianca a lasciare una traccia scritta su questo popolo è stato un prete con la passione per le esplorazioni, il gesuita Jacques Marquette, che disegnò una mappa nel 1673 e in questa mappa il termine “Wah-Zha-Zhe” era tradotto con “Ouchage”. Passarono pochi anni e ci fu un nuovo contatto con altri esploratori francesi che ebbero l’occasione di visitare un piccolo villaggio degli Osage e ne approfittarono per definirli come “Ouazhigi”, da cui si passò in seguito al termine inglese “Osage”. Attualmente, dopo diversi studi a cura di antropologi, si ritiene che gli Osage siano effettivamente discendenti dei gruppi preistorici che occupavano il margine settentrionale dell’altopiano d’Ozark e che erano culturalmente affini ai popoli della cultura del Mississippi. Probabilmente questi gruppi erano poi stati sospinti da tribù ostili verso la valle del fiume Osage dove i primi esploratori francesi li avevano incontrati nel 1673.
Gli Osage: la tribù più ricca d’America
Tutto nacque con i vari spostamenti delle tribù Osage fino al momento che si stanziarono nel territorio più prolifico deli Stati Uniti. Lo spostamento nei loro nuovi territori dell’Oklahoma avvenne in più fasi. Il primo gruppo si mosse nell’ottobre del 1870 in occasione della stagione di caccia autunnale. Il gruppo successivo, composto per lo più da donne, bambini e persone anziane, si spostò nel marzo del 1871, dopo la stagione fredda ed altri gruppi minori in tempi successivi. Nel 1872 l’agente Gibson fondò una Agenzia Osage sul Bird Creek, dove si sviluppò nel tempo l’attuale città di Pawhuska. In quel periodo i principali gruppi Osage stabilirono altri insediamenti presso quelle che sarebbero poi diventate le città di Hominy e Fairfax. I primi anni nella nuova riserva furono particolarmente duri e si stima che circa 1000 nativi morirono durante il primo anno. I principali fattori che determinarono questa situazione furono la relativa scarsità di risultati delle campagne di caccia del 1870-71 e la perdita dei raccolti. Per quanto riguarda il raccolto del 1870-1871 venne distrutto o rubato degli invasori bianchi nei territori del Kansas occupati prima dell’accordo del 1870. Da lì in avanti decisero di “cercare” altri territori e nel 1879, gli Osage inviarono una propria delegazione a Washington per chiedere una rendita sulla vendita dei loro territori e altre rendite previste nei vari trattati. La missione ebbe successo ed essi furono i primi indiani a ricevere una rendita annua. Dopo quell’accordo a partire dal luglio del 1879 ogni membro della tribù ricevette 160 $ l’anno, pagati in rate trimestrali. Questo importo annuo salì a 214 $ l’anno nel 1897.
Ma è negli anni venti che gli Osage divennero veramente ricchi.
Nel momento in cui gli idrocarburi stavano per diventare la risorsa più importante del pianeta, sotto il suolo degli Osage furono trovati enormi filoni. In quel periodo difatti gli stessi nativi giravano in auto di lusso, vivevano in case faraoniche, mandavano i figli a studiare nelle migliori scuole d’Europa. Poi, a uno a uno, iniziarono a morire ammazzati, sparati, avvelenati, vittime di agguati e imboscate, sempre in circostanze misteriose. E in questo strascico di “vecchio west” chiunque osasse investigare finiva anch’egli sottoterra. Ma tornando alla storia, intrecciata con la pellicola di Martin Scorsese, sul libro si specifica molto bene che nel 1907 ogni membro della popolazione Osage, composta da poco più di 2.200 individui, ricevette il diritto a delle royalties sulla produzione di petrolio della Osage Mineral Estate, che venivano trasmesse anche a tutti i loro eredi. Negli anni di grande espansione del mercato del petrolio, gli Osage affittarono la loro terra ai cercatori bianchi attraverso dei contratti gestiti dal dipartimento dell’Interno degli Stati Uniti e diventarono ricchissimi. L’autore David Grann scrive:
solo nel 1923 la tribù incassò più di 30 milioni di dollari, l’equivalente odierno di oltre 400 milioni di dollari. Con questi ricavi, gli Osage mandarono i loro figli a studiare in prestigiose scuole private, costruirono ville, acquistarono auto di lusso e viaggiarono in Europa.
Ritenendo che gli Osage non fossero in grado di gestire tutta quella ricchezza, per via dei pregiudizi razzisti, il Congresso degli Stati Uniti approvò una legge che prevedeva l’assegnazione di un tutore a ogni persona che aveva almeno il 50 per cento di sangue Osage (anche qui perfettamente integrato nel film di Martin Scorsese). Alcuni tutori però non si limitarono a questo, e iniziarono a uccidere o a ordinare l’omicidio degli Osage che erano stati affidati loro, in modo da ereditarne le terre. Matrimoni combinati per riuscire ad accaparrarsi il bottino era all’ordine del giorno e solo fra il 1921 e il 1923 ci furono 13 morti sospette o palesi omicidi di uomini e donne Osage che avevano un tutore, ma entro il 1925 i morti erano diventati diverse decine. Gli indiani venivano avvelenati o uccise a colpi di pistola, ma in un caso fu anche fatta esplodere una bomba in una casa ed a uccidere le donne erano spesso i loro mariti bianchi. Dato che l’eredità di un Osage, prima di andare al tutore bianco, passava ad altri famigliari, furono anche uccise intere famiglie: fra queste c’era quella di Mollie Burkhart (Lily Gladstone). In un’intervista con la BBC Daivd Grann disse:
più approfondivo la questione, più mi rendevo conto che si trattava davvero di una cultura dell’omicidio e della complicità. Ho trovato prove di medici che somministravano veleno e di becchini che coprivano ferite da arma da fuoco. Alcuni tutori, avvocati e pubblici ministeri erano lì e non indagavano su questi crimini, anzi talvolta ne prendevano parte.
Quando le morti superarono le due dozzine il caso fu preso in mano dall’FBI, appena nato, diretto da un giovane e ancora inesperto J. Edgar Hoover e fu messa insieme una squadra di investigatori di origine indiana: si infiltrarono, alcuni finirono male, comunque adottarono tutti i mezzi più o meno leciti a loro disposizione per portare alla luce una cospirazione agghiacciante. Appena nominato, a soli 29 anni gli omicidi degli Osage furono il suo primo vero incarico come direttore dell’agenzia e il caso che aprì ufficialmente i natali ad una piccola FBI. Dato che molti degli agenti impiegati fino ad allora erano stati uccisi, Hoover nominò a capo delle indagini Tom White (nel film Jesse Plemons), un ex Texas Ranger che poté comporre la sua squadra e la fece infiltrare sotto copertura nel villaggio. Dopo i soprusi di quegli anni durante gli anni ’60 e ‘70, molti Osage si unirono alle marce per i diritti civili e divennero attivi nella difesa dei loro diritti tribali e negli anni novanta guadagnarono attenzione a livello nazionale quando decisero di riacquistare parte delle loro terre ancestrali, compresa la terra dove si trovava la città di Pawhuska, centro culturale e amministrativo della tribù. Negli ultimi anni, la tribù Osage ha continuato a investire nelle infrastrutture e nei servizi per la comunità, inclusi programmi di istruzione, assistenza sanitaria e programmi culturali.
Il lavoro di Martin Scorsese e di David Grann
Le ricerche di David Grann prima, con la riapertura di fascicoli da sempre tenuti nascosti, e Martin Scorsese poi, hanno finalmente riportato alla luce “Il Regno del Terrore” così ancora troppo insabbiato dall’America perbenista. Prima del libro di Grann e di Killers of The Flower Moon questa storia era quasi dimenticata e Tara Damron, direttrice del White Hair Memorial ha ricordato alla BBC che questo è normale per la storia dei nativi americani, una storia che non essendo insegnata a scuola non entra mai a far parte dell’immaginario collettivo del paese. Il lavoro del regista americano, come si accennava all’inizio, è stato maniacale, lo stesso Scorsese per non omettere nessun dettaglio ha voluto vivere molte settimane con le tribù Osage nei loro luoghi, ha voluto inserire nativi Osage all’interno del film per cercare una coerenza sempre più vicina alla realtà e ha studiato ogni parte del saggio di Grann cercando di non omettere nessun dettaglio. Ma il lavoro del regista americano è andato anche oltre a partire da piccoli dettagli, agli occhi di tanti insignificanti, ma che rimangono indelebili come testimonianza accurata di un periodo storico come quello del Regno del Terrore. La sceneggiatura è stata intrecciata in ogni suo fotogramma con il testo di partenza, non si notano discrepanze fondamentali, forse lo spettatore non ha la percezione che l’FBI nasce effettivamente con questo caso (cosa che viene più volte sottolineata nel testo di Grann) ma alla fine dei giochi non risulta così determinante.
Una volta conosciuto il capo Orso in Piedi e molti altri membri della tribù – dichiara il regista Martin Scorsese – abbiamo iniziato a lavorare a stretto contatto con loro. Volevo conoscerne meglio la cultura, integrandone i rituali e le usanze all’interno del film, così siamo riusciti a inserire dettagli come matrimoni, battesimi e funerali. Avevo in mente di girare una specie di documentario sulla nazione Osage e sui loro valori fondamentali, su ciò in cui credono, sul loro stile di vita e sui loro capisaldi. Tutto questo deve moltissimo alle informazioni che ho ricevuto dal capo Orso in Piedi e dalla sua gente.
La cura del regista è a partire già dall’inizio dove si può notare una cura antropologica e storica su diverse scene (le capanne tipiche degli Osage perfettamente ricreate e diverse dai popoli delle pianure); nei primi minuti un anziano nativo, interpretato da un Osage, in una sacra cerimonia si appresta a sotterrare una chanupa, la pipa sacra con la quale tutti gli Indiani d’America pregano: il modo di dire “seppellire l’ascia di guerra” era riferito per esempio ad un rito irochese per fare la pace, ascia che veniva effettivamente sotterrata e con la quale “davvero smettevano di fare guerra”, ma in questo caso la sepoltura di un oggetto cerimoniale, come la sacra pipa, era ancora più importante ed è stato pienamente ricostruito secondo i giusti metodi. In un’altra scena, tra le più belle forse come inquadrature e uso delle luci, Ernest Burkhart viene fatto accomodare da Mollie e invitato a mangiare e bere qualcosa, in quel frangente la stessa Osage subito dopo gli consiglia di fermarsi in quanto c’era un temporale in atto: nella cultura nativa quando gli spiriti del tuono imperversano è giusto sospendere le proprie azioni e pregare in silenzio; anche questo è stato pienamente ripreso, segno che il regista ha voluto omaggiare con tanti dettagli la cultura e spiritualità degli Indiani d’America. I dettagli sono il cuore pulsante di questa pellicola, il primo vero western di Martin Scorsese con il quale ha voluto mostrare la violenza, su un popolo, che può arrivare anche col sorriso, una sfumatura molto complicata da rendere sullo schermo, ma ancor di più d’effetto se realizzata in questo modo. Una pellicola che può essere apprezzata sia dai conoscitori di questa tematica, ma che riuscirà a scardinare anche i cuori di coloro che conoscono solo in modo superficiale le atrocità che hanno dovuto subire gli Indiani d’America in centinaia di anni. Un film che continuerà a ronzare e a dar fastidio per molto tempo (per chi si è fermato dopo i titoli di coda capirà) proprio come i nativi stessi.
Il regista ha voluto omaggiare con tanti dettagli la cultura e spiritualità degli Indiani d’America