Il ragazzo e l’airone, la recensione: non c’è mai nulla di definitivo

Il ragazzo e l'airone

Non sempre, ma spesso Hayao Miyazaki è partito da un romanzo (meglio se di formazione) per trovare l’ispirazione per i suoi film. Anche questa volta, per quella che doveva essere la pellicola che non doveva fare, il cui annuncio è arrivato dopo la chiusura dello Studio Ghibli e che ora forse non sarà neanche l’ultima del Maestro giapponese, è così. Anzi qualcosa di più. Nonostante però la vicinanza a E voi come vivrete? (che era anche il primo titolo della pellicola),  Il libro delle cose perdute di John Connolly e La torre spettrale di Ranpo Edogawa,  il film, com’era ampiamente prevedibile, si basa sulle affinità tra gli scritti e la poetica di Miyazaki ed espande quelle, cambiando il soggetto, anzi, rivelandone la secondarietà per il cineasta, che invece si lascia andare ad una rilettura immaginifica, spirituale, tematica ed estetica della sua leggendaria filmografia (e quindi della sua vita). Quello che non era prevedibile, invece, è che, a 80 anni, avrebbe fatto uno dei suoi film più violenti, tetri e, nonostante la stratificazione apparentemente rigida, narrativamente anarchici, imperfetti e, cosa più importante, vivi.

Nella recensione de Il ragazzo e l’airone, presentato in anteprima per noi alla 18esima Festa del Cinema di Roma e in arrivo nelle sale dall’1 gennaio 2024 con Lucky Red, vi parliamo dell’attesissimo ritorno di uno dei più grandi registi di tutti i tempi e che il suo tempo è stato in grado di indirizzarlo soprattutto grazie ai mondi che è ha creato durante la sua carriera.

Quello che non era prevedibile, invece, è che, a 80 anni, avrebbe fatto uno dei suoi film più violenti, tetri e, nonostante la stratificazione apparentemente rigida, narrativamente anarchici, imperfetti e, cosa più importante, vivi.

Attesissimo anche perché segnato da una gestazione molto lunga, durata complessivamente 5 anni, da una uscita rinviata più volte, prima per motivi produttivi (il film, completamente realizzato in tecnica tradizionale, semplicemente non era mai pronto e costava sempre di più), poi per pandemia e poi anche un po’ a causa di Miyazaki stesso e infine per la decisione di optare per un’anti campagna promozionale.

Si tratta prima di tutto di un’opera d’arte, l’ennesimo altare costruito in nome dell’animazione, del suo potere e delle sue infinite possibilità, e poi di una odissea di un ragazzo che ha come fulcro l’incontro tra il mondo in cui vive e il suo mondo interno, il quale a volte coincide con quello immaginifico creato dal Ghibli, guidato da un uomo non più in grado di sorreggerlo. Il tutto per raccontare ciò che ha caratterizzato tutta la vita di Miyazaki, ovvero una dolorosa elaborazione del lutto.

Il nuovo mondo di Mahito

In una tragica notte del 1943, nel terzo anno della Seconda Guerra Mondiale, un ospedale a Tokyo viene inghiottito dalle fiamme. L’evento desta il dodicenne Mahito dai suoi sonni inquieti e lo costringe a gettarsi in strada, in mezzo alla folla, per correre verso l’edificio, dove è ricoverata la madre, il cui destino si compirà quella tragica notte del 1943.

Dopo la morte della donna, il ragazzo viene affidato alla zia Nantsuko, la nuova sposa di suo padre, un ricco proprietario di una fabbrica di munizioni aeree, anche incinta di un suo fratellino o sorellina. La casa dove vive è una villa da sempre proprietà della famiglia, che per servitù ha delle meravigliose (meravigliose) nonnine e per ospite uno splendido airone cenerino.

In una tragica notte del 1943, nel terzo anno della Seconda Guerra Mondiale un ospedale a Tokyo viene inghiottito dalle fiamme.

Il ragazzo e l'airone

Accanto ad essa, dove prima sorgeva uno stagno, c’è una torre voluta dal prozio di Mahito, un uomo intelligentissimo, ma impazzito a causa della troppa conoscenza e scomparso in circostanze misteriose.

Il giovane fatica ad integrarsi, sia nella sterminata magione che a scuola, non accettando un fato che lo ha costretto a separarsi dalla persona più importante per lui prima del tempo, né tanto meno la sua nuova vita con una donna che non riesce a vedere come nuova figura materna.

Non cerca solo un’evasione, cerca un nemico, qualcuno con cui combattere, su cui riversare il proprio dolore, che faccia esplodere le fiamme che hanno divorato la madre e che continuano a tormentarlo. L’airone sarà per lui la possibilità di fare sia l’una che l’altra cosa.

Non è mai solo un film

Il ragazzo e l’airone si appoggia sulla maggior parte degli stilemi tipici del pensiero di Miyazaki, riproponendo tematiche, ma anche soluzioni visive, richiami, accenni, inquadrature, motivi sonori, sequenze (soprattutto di volo) che abbiamo già visto nella sua filmografia.

Si riallaccia al suo amatissimo Alice nel Paese delle Meraviglie, come già fece per La città incantata, riprende il furore degli elementi de Il castello errante di Howl, la fusione tra uomo e animale che utilizzò in Princess Mononoke e ne Il porco rosso e l’incontro tra due mondi che ci fu ne Il mio vicino Totoro, ma più in generale il film riprende in modo capillare tanto del suo immaginario, per rileggerlo, ma anche per scuoterlo, per portarlo alle sue estreme conseguenze. Ciò che spiccò il volo in Laputa – Castello nel cielo, il primo dei film dello Studio Ghibli, qui precipita, il monito ecologico che ha mosso parte della sua filmografia, qui diventa ritratto di un apocalisse inevitabile.

Mahito, il protagonista, forse per questo non è mai solare, non è mai ingenuo, non è mai sorridente o curioso. Mahito è sempre serio, buio, rabbioso, al centro di un viaggio dell’eroe che intraprende consapevole della tragedia nel quale si concluderà. Lui – non è peregrino pensare – simbolo di quel doppio che muove tutto il film e che lo spinge ad essere sia principio che fine del viaggio che intraprende. Natura che lo eleva alter ego del Maestro.

Il ragazzo e l'airone

Il ragazzo e l’airone si appoggia sulla maggior parte degli stilemi tipici del pensiero di Miyazaki, riproponendo tematiche, ma anche soluzioni visive, richiami, accenni, inquadrature, motivi sonori, sequenze (soprattutto di volo) che abbiamo già visto nella sua filmografia.

Il mondo che Miyazaki costruisce per lui è allo stesso tempo inferno dantesco, paradiso bucolico e astrale, sede di un ciclo di vita e morte che si mischiano continuamente e in cui tutti quanti sono prigionieri. Lo stesso airone è specchio di un ambiguità la cui origine sta probabilmente nel doppio che muove sia il mondo che il protagonista a cui deve fare da anfitrione.

Se nei suoi film precedenti, anche quelli più ostici, le chiavi di lettura per arrivare a scardinare l’immaginario proposto all’interno del quale si compie l’arco narrativo erano comunque leggibili, qui invece risulta incredibilmente ostico entrare nel suo mondo ermetico, fatto di libertà e speranza, ma anche di una drammaticità senza soluzione. Un vortice dai mille volti e dai mille luoghi, che sono sempre quelli, ma sono sempre diversi.

Il ragazzo e l'airone

Il mondo che Miyazaki costruisce per lui è allo stesso tempo inferno dantesco, paradiso bucolico e astrale, sede di un ciclo di vita e morte che si mischiano continuamente e in cui tutti quanti sono prigionieri.

Il valore del cinema del cineasta giapponese non è però mai stato sintetizzabile nel mero giudizio della struttura filmica, della sua scrittura o della regia, ma nella sua capacità di continuare a creare degli affreschi in grado di arricchire la visione di un universo parallelo. E anche ne Il ragazzo e l’airone tutto è vivo, ribolle, riempie lo schermo, come in continuo movimento. Tutto sommerge lo spettatore, lo stimola, lo ispira, lo sorprende, lo ammalia, lo spinge ad interrogarsi. Nulla sembra mai definitivo nel cinema di Miyazaki, nulla lo sembra da diverso tempo a questa parte, come se la sua parabola cinematografica non si possa mai concludere perché continua a scoprirsi sveglia nel suo riconfrontarsi con se stessa e con il dramma esistenziale da cui si origina.

Il ragazzo e l’airone arriva al cinema l’1 gennaio 2024 con Lucy Red.

80
Il ragazzo e l'airone
Recensione di Jacopo Fioretti Raponi

Il ragazzo e l'airone, il nuovo film di Hayao Miyazaki e dello Studio Ghibli, a 10 anni dall'ultima volta, è una pellicola irreprensibile, come da costume, dal punto di vista estetico e dell'animazione. Suggestiva, affascinante, ma anche incredibilmente stratificata, ermetica e sovrastrutturata. Partendo da un racconto di formazione mosso dalla solita impronta autobiografica e che ha come scopo l'elaborazione del lutto, il cineasta rilegge la poetica, la sua filmografia, i suoi volti, i suoi luoghi e i suoi temi, talvolta riproponendoli in altre forme e altre volte portandoli alle estreme conseguenze. Una pellicola complessa e imperfetta, quasi anarchica nel suo essere labirintica, che testimonia la ricchezza di un immaginario che continua ad essere vivo, cangiante, per quanto più tetro, chiuso, mai del tutto compiuto.

ME GUSTA
  • La scena dell'incendio.
  • La ricchezza di un immaginario che si rinnova una volta di più.
  • La perfezione estetica e del livello dell'animazione.
  • Ogni personaggio racchiude un mistero al suo interno.
  • La vitalità che riempie ogni frame, nonostante la violenza e l'oscurità della pellicola.
FAIL
  • Un viaggio appoggiato a delle tematiche già affrontate da Miyazaki.
  • Si tratta di un film dal significato particolarmente ermetico e sovrastrutturato.
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