Tra i generi cinematografici più sfumabili con altri, più soggetti a declinazioni varie ed eventuali e tra i più rimodellati negli ultimi anni c’è senza dubbio il thriller. Questo ha portato anche ad un uso improprio della definizione, ma fa parte del gioco. Ci sono però delle caratteristiche imprescindibili per renderlo credibile ed efficace. Una è la costruzione dell’atmosfera adatta e l’altra è il cambiamento morale del mondo del protagonista a causa dell’intreccio in cui la pellicola lo pone.
Nella recensione di Reptile, originale Netflix disponibile in piattaforma dal 29 settembre 2023, parliamo di un titolo che parte da questi due presupposti cardinali per poi costruire un archetipo in grado di allargare il raggio e puntare a divenire metafora dell’anima nera dell’America, in cui non ci sono buoni o cattivi e in cui l’unica cosa che conta è il denaro. Il film ha nel complesso qualche deficit, ma l’ambizione e la misura sono quelle lì.
Ci sono però delle caratteristiche imprescindibili per renderlo credibile ed efficace.
Non male per essere un’opera prima e non male per essere un’opera prima di un regista che proviene dal mondo dei videomusicali, anche se è ragionevole pensare che Grant Singer sia stato aiutato da Benicio del Toro, protagonista, co-sceneggiatore insieme a Benjamin Brewer, e co-produttore esecutivo. Al fianco dell’attore di origini portoricane troviamo una Alicia Silverstone assolutamente in parte, anche per la chimica creata con il primo nominato, un Justin Timberlake un po’ fuori ruolo, quello che resta di Michael Pitt, che non è moltissimo, e Karl Glusman, che tutto sa fare e dove lo metti sta.
Il mattatore rimane del Toro, lui diventa il catalizzatore dell’attenzione dello spettatore, la sintesi del senso del film e il metronomo del suo sviluppo. I thriller, quelli che si occupano della costruzione dell’atmosfera del cambiamento morale del mondo del protagonista si basano su una recitazione così responsabilizzata.
Il detective nel thriller
Will (Timberlake) è un guru del commercio immobiliare. Non tanto per particolari doti lavorative, quanto per essere il rampollo della famiglia Grady, che è uno dei nomi più importanti in questo ambito del mercato. Non ancora sposato, ma sicuramente molto impegnato in una relazione con un agente che lavora per lui, Summer (Matilda Lutz), una ragazza dal passato complicato, soprattutto a causa del marito, Sam Glifford (Glusman), spacciatore o ex spacciatore.
Tutto questo in Reptile, come in ogni thriller che si rispetti, lo scopriamo dopo il suo efferato omicidio (33 coltellate e la lama rimasta conficcata nel suo corpo), ovvero quando inizia l’indagine del detective Tom Nichols (del Toro), che, tolto qualche controcampo, regola tempi e modi con cui lo spettatore viene a sapere tutto quello che gli serve per arrivare a far luce sull’intreccio.
Non tanto per particolari doti lavorative, quanto per essere il rampollo della famiglia Grady, che è uno dei nomi più importanti in questo ambito del mercato.
Ciò che è fondamentale per il funzionamento della pellicola diventa, man mano che procede, il background di Tom, il suo rapporto con la moglie Judy (Silverstone), cosa li ha spinti a trasferirsi dall’Oklahoma al Maine, qual è il peso che l’uomo ha acquisito all’interno della sua nuova squadra omicidi e come si è trasformato il rapporto con il suo lavoro.
Le indagini passano in secondo piano al punto di trovare delle soluzioni grazie a personaggi, costruiti e messi in scena più o meno con il pilota automatico, perché non è il caso in sé che è importante, quando il suo eco morale, sociale, emotivo e psicologico.
Teorico, ma efficace
Non è un caso raro che il focus del thriller sia sul suo protagonista piuttosto che sull’intreccio in sé, che è tipico del giallo, o sul rapporto con l’assassino, che nella sua accezione più vicina al poliziesco rimane una caratteristica precisa del noir. Questa anche la forza di un genere che, più degli altri nominati, si può fare realmente carico di parlare di umanità e di politica in modo efficace. Metteteci anche il fatto che non passerà mai di moda.
Reptile, in una misura più televisiva che cinematografica, parla di questo pescando da un lavoro di approfondimento che nell’epoca moderna hanno reinventato Joon-ho e Fincher e che è esploso sul piccolo schermo con True Detective.
Del Toro (sugli scudi, ma non è una novità) porta sullo schermo un protagonista simbolo dell’anima della pellicola, perché personaggio controverso e pieno di una “oscurità” proveniente dal passato che mina anche quell’intelligenza su cui si instaura la fiducia con lo spettatore, il quale si trova a volte a vederlo perso in una nebbia in cui il caso del presente lo ha ricacciato. In questo è fondamentale la rappresentazione della sua vita privata, dal rapporto con la moglie a quello con gli amici e i colleghi, che deve fare da contraltare al mondo fatto dei testimoni e dalle indagini, prima che i due cominciano piano piano a fondersi.
Questa anche la forza di un genere che, più degli altri nominati, si può fare realmente carico di parlare di umanità e di politica in modo efficace.
L’atmosfera diviene fondamentale perché deve essere come un vestito cucito addosso al detective, prima fautore e poi vittima della realtà in cui sprofonda a causa dell’intreccio, i cui esiti divengono un modo per parlare del capitalismo, della borghesia nordamericana e della realtà di provincia. Tutti aspetti avvolti da una dubbia moralità che coinvolge anche il detective. A lui spetta il compito di ergersi, di cambiare marcia, di dire no.
Quello di Singer non è un film perfetto, ma è sicuramente un buon esempio dell’archetipo cinematografico descritto, anche per merito della fotografia di Mike Gioulakis, oltre che da un ritmo che gli consente di non girare mai a vuoto e anzi, di avere anche qualche momento di suspense veramente efficace. Il resto lo fa un certo rigore registico, quando non è un po’ troppo scolastico, come nella costruzione geografica negli interni e nella rievocazione visiva del tema del doppio, e quando rimane nella sua comfort zone, che non sono, evidentemente, le scene d’azione.
In conclusione, pure essendo a tutti gli effetti un fratello minore rispetto ai giganti cinematografici del genere, Reptile è un degno esponente del thriller morale, con una buonissima atmosfera e un grande protagonista.
Reptile è disponibile su Netflix dal 29 settembre 2023.
Reptile è l'opera prima firmata Netflix del regista Grant Singer. Si tratta di un thriller che adopera il genere come metafora per parlare di una questione morale di dimensione sociale più che individuale. Al centro un bravissimo Benicio del Toro che porta in scena un detective dal passato oscuro in modo tale da renderlo simbolo dell'atmosfera nebbiosa che si crea man mano che l'intreccio si va sciogliendo. Bravissima Alicia Silverstone, un po' meno Justin Timberlake e Michael Pitt, non aiutati, tra l'altro, da personaggi un po' piatti. La regia è piuttosto scolastica, ma regala bei momenti di suspense, mentre la scrittura è ordinata, ma meticolosa ed funzionale all'obiettivo.
- La scrittura dell'intreccio e l'uso del genere sono efficaci.
- L'atmosfera è ben costruita.
- Ci sono dei momenti di suspense molto interessanti.
- La prova attoriale di del Toro è ottima, così come l'ideazione del suo personaggio.
- Alicia Silverstone è molto in parte e la chimica con il suo partner su schermo è credibilissima.
- Ci sono dei deficit legati alla scolasticità della regia.
- I personaggi di contorno la coppia protagonista sono bidimensionali.
- Timberlake e Pitt non sono sempre all'altezza.
- Il formato e il passo accusano delle misure più televisive che cinematografiche.