C’era grandissima attesa – e anche preoccupazione, come capita spesso in questi casi – nell’aria per Gen V, lo spin-off di The Boys che nasce da una costola di The Boys, ovvero l’arco narrativo intitolato We Gotta Go Now (Vol. 4 ) dal fumetto di Garth Ennis e Darick Robertson, adattato per la tv dal papà della serie originale Eric Kripke insieme ai fidati collaboratori e produttori Craig Rosenberg e Evan Goldberg.
Ora che è approdato finalmente su Prime Video con appuntamento settimanale, dai primi episodi visti possiamo dire che continua perfettamente il discorso della serie madre e non ne diventa una mera estensione young adult, come spiegheremo nella recensione di Gen V, affrontando vecchie e nuove tematiche care allo show.
The Boys: Next Generation
Gen V arriva ad occupare un posto nell’universo di The Boys in attesa della quarta stagione, ritardata tra pandemia e sciopero, e si colloca temporalmente proprio dopo il finale del terzo ciclo di episodi della serie madre. La fiducia nei Supes non è più così intatta ma c’è ancora grande curiosità e attrazione verso quel mondo, soprattutto dai giovani supereroi a cui è stato iniettato il Composto V da bambini. Hanno tutti un unico sogno e obiettivo, perché questo gli è stato inculcato dalla società e dai genitori fin da piccoli: entrare nei Sette oppure lavorare in modo collaterale al successo loro e della Vought International, l’azienda che controlla il loro operato.
C’è addirittura un college d’élite a cui è difficile accedere e che li prepara in tal senso, la Godolkin University per la Lotta al Crimine. La vediamo attraverso gli occhi di Marie Moreau (una magnetica Jaz Sinclair), una ragazza che con le prime mestruazioni ha scoperto anche il proprio potere, ovvero il controllo del flusso di sangue che può diventare letale. Una metafora potentissima che non solo fa coincidere l’assunzione dei poteri con l’arrivo della pubertà, ricordandoci quanto le abilità speciali del mondo di The Boys siano legate a tutti i possibili fluidi corporei – la compagna di stanza di Marie, Emma (Lizze Broadway) deve vomitare per potersi rimpicciolire – ma anche con la morte dei suoi genitori, vittime di quello stesso potere. Mostro o eroina? L’annosa domanda che fin dagli X-Men pervade il mondo supereroistico nell’audiovisivo.
Tutti sono utili, nessun supereroe è indispensabile
Il primo episodio di Gen V non serve solo a mettere le fondamenta della trama, tanto già vista quanto rinnovata, di una outsider che arriva al college grazie ad una borsa di studio in un mondo di figli di papà che la fanno entrare nel proprio circolo con conseguenze disastrose. Questo incipit è anche un modo per ribaltare le convinzioni – anche a livello di casting – che il trio Kripke/Rosenberg/Goldberg ha messo in piedi per lo show. Nessuno è al sicuro e soprattutto fondamentale e necessario.
Luke Riordan ovvero Golden Boy, è il supereroe più potente, popolare e acclamato del college, destinato alla Torre, ma subisce moltissimo questa pressione ed è costretto a denudarsi ogni volta che si infuoca (interpretato dal figlio d’arte Patrick Schwarzenegger). Il suo migliore amico Andre Anderson (Chance Perdomo) possiede l’abilità della manipolazione magnetica del metallo ereditata dal padre Polarity (Sean Patrick Thomas), nel board dell’università e pieno di aspettative verso il figlio.
La fidanzatina d’America e storica partner di Luke, Cate Dunlap (Maddie Phillips), ha il potere dell’empatia e del controllo mentale ma nessuno sembra dimostrare empatia verso di lei. Jordan Li, l’assistente del Prof. Brink (Clancy Brown), è un mutaforma asiatico che cambia anche gender (interpretato da London Thor e Derek Luh, col doppio potere delle sfere d’energia e dell’invulnerabilità). Proprio la gestione dell’identità sessuale è uno degli aspetti più centrati e interessanti di Gen V: non si tratta solo di spuntare alcune caselle per l’algoritmo da parte di autori e piattaforma, ma di inserirli perfettamente nel contesto sociale in cui viviamo. Gli stessi Andre e Emma fanno intuire un’ampia propensione sessuale. Nessuno dei protagonisti è al sicuro e il coraggio di non renderli strettamente necessari alla trama lascerà di stucco più di qualche spettatore.
Società social
Proprio l’aspetto social(e) della serie rientra perfettamente nella satira feroce e critica che è sempre stato The Boys, prima in versione cartacea e poi seriale. Una società dell’immagine sempre più brutale e ingrata in cui i like, i follower e le statistiche sono più importanti delle buone azioni, del voler proteggere e salvare il mondo, dell’idealismo di fondo che dovrebbe muovere ogni supereroe.
Ma sappiamo che quelli del mondo qui raccontato sono Supes affamati di gloria, assetati di fama e di attenzioni, e la nuova generazione mostra semplicemente quanti traumi debba subire quotidianamente per arrivare ad essere danneggiati come saranno i Sette da adulti, che abbiamo conosciuto nella serie originale e che fanno qualche cameo in questo spin-off. Ancora una volta la Vought International è parte di una cospirazione da sbugiardare e svelare al mondo intero, e tutto sembra risalire alla rettrice dell’università, Indira Shetty (Shelley Conn), una donna senza superpoteri che però li ha sempre studiati come il prof. Brink, insieme alla terapia comportamentale. La donna si dimostrerà una maestra dell’inganno e del doppiogioco, come del resto ogni leader visto nel The Boys-verse.
Lo young adult è una brutta bestia
In questo caso sono gli adulti a mentire costantemente ai giovani e ad essere detentori dei segreti più inconfessabili. Quella che viene ritratta in Gen V è una generazione che ha perso i punti di riferimento e ha dovuto crearseli da sé. Una generazione che lotta costantemente con i propri poteri, che sono più un dolore e una maledizione che qualcosa di cui farsi vanto, proprio nella loro esecuzione come abbiamo raccontato. Lo young adult diviene qui quindi un periodo di passaggio traumatico e tremendo, pieno di sangue, lacrime e altri fluidi corporei spesso indesiderati.
L’aspetto tecnico del serial non ha nulla da invidiare a quello di The Boys e non ha paura di mettere in scena peni e altri contenuti “vietati ai minori”, con delle scene action veramente ben orchestrate anche a livello di CGI. Così come la colonna sonora che strizza l’occhio ai teen drama. L’obiettivo di Marie è essere la prima ragazza nera ad entrare nei Sette e lo dice senza peli sulla lingua, proprio come l’intero prodotto audiovisivo non ha paura di mostrare nulla al pubblico e in alcuni casi se vogliamo dimostra anche più coraggio e spregiudicatezza – proprio come l’età giovanile che racconta – della terza stagione di The Boys. Vedremo se manterrà questo comportamento fino al finale.
Abbiamo parlato di generazione young adult, di critica della società contemporanea a misura di social, di mancanza di punti di riferimento adulti e di età di passaggio piena di traumi e dolori nella recensione di Gen V. Tutte tematiche perfettamente affrontate dallo show che riesce a continuare idealmente il percorso iniziato da The Boys senza esserne una copia carbone ma allo stesso tempo riuscendo ad ereditarne tutti i punti di forza, sia a livello narrativo che registico e tecnico. Un (dis)piacere per gli occhi e per le orecchie per un mondo (anti)supereroistico di cui vogliamo scoprire ancora di più.
- La trama che da subito non fa sconti a nessuno.
- La caratterizzazione e l’interpretazione dei personaggi.
- L’identità di genere ben inserita nel contesto supereroistico.
- L’aspetto tecnico rimane ottimo da The Boys.
- La colonna sonora.
- Se cercate una serie piena di ideali e bontà d’animo, non è sicuramente questa.