Un significativo passo avanti è stato compiuto verso la creazione di un rene bioartificiale in grado di sfidare la necessità di dialisi e trapianto. I ricercatori dell’Università della California a San Francisco (UCSF) hanno condotto con successo esperimenti su maiali utilizzando un dispositivo impiantabile speciale che ha dimostrato la capacità di mantenere cellule renali umane vive e funzionanti per almeno una settimana senza scatenare reazioni di rigetto.
Questo risultato di rilevanza cruciale è stato pubblicato su Nature Communications ed è stato ottenuto all’interno del Kidney Project, un’iniziativa guidata da Shuvo Roy, un bioingegnere dell’UCSF, e William Fissell, un nefrologo del Vanderbilt University Medical Center.
L’obiettivo primario di questo progetto ambizioso è replicare in modo sicuro le funzioni chiave di un rene, aprendo la strada a trattamenti più efficaci, tollerabili e confortevoli per l’insufficienza renale. Secondo Roy, il rene bioartificiale promette di rivoluzionare la gestione di questa condizione medica.
Per raggiungere questo obiettivo, i ricercatori hanno sviluppato un bioreattore, un dispositivo progettato per favorire la crescita delle cellule, che può essere impiantato nel corpo e collegato direttamente ai vasi sanguigni. Questo collegamento consente il passaggio di nutrienti e ossigeno alle cellule renali contenute nel dispositivo. La caratteristica chiave di questo bioreattore è l’uso di membrane di silicio con nanopori, che agiscono come uno scudo per proteggere le cellule renali da potenziali attacchi da parte del sistema immunitario.
Per dimostrare l’efficacia del dispositivo, i ricercatori hanno inserito specifiche cellule renali (quelle del tubulo prossimale, responsabili del riassorbimento di acqua, ioni e nutrienti organici) nel bioreattore, che è stato poi impiantato nei maiali. Nel corso del tempo, è stato osservato che le cellule rimanevano vitali e funzionanti, e gli animali mantenevano una buona salute anche dopo una settimana.
Il passo successivo prevede un monitoraggio prolungato delle cellule per almeno un mese e l’integrazione di diverse tipologie di cellule che si trovano normalmente nei reni umani all’interno del bioreattore. “Avevamo bisogno di dimostrare che un bioreattore funzionante non richiede l’assunzione di farmaci immunosoppressivi, e lo abbiamo fatto”, ha affermato Roy. “Non abbiamo avuto complicazioni e ora possiamo ripetere l’esperimento, riproducendo tutte le funzioni renali su scala umana”. Questi progressi aprono la strada a una potenziale rivoluzione nel trattamento dell’insufficienza renale.