Secondo le “regole del buon cinema”, il biopic deve prevedere l’uso di una storia reale come metafora per trattare altro, anche a costo di romanzarla, colorarla o reinventarla. La vecchia storia del focus sul micro per parlare del macro che non passa mai di moda, perché costringe l’autore ad una sintesi tra il significato di ciò che racconta, lo strumento cinematografico e la credibilità in relazione alla vicenda scelta.
Hayao Miyazaki con Si alza il vento eleva al massimo questa formula, costruendo il suo film testamento basandosi sulla vita del più importante progettista di aerei giapponesi di tutti i tempi, Jirō Horikoshi (in realtà basato sul manga che era a sua volta basato sulla biografia), diviso tra il sogno di creare meravigliosi aerei e la consapevolezza che saranno usati per scopi terribili.
Dentro la vicenda dell’ingegnere del Sol Levante possiamo rintracciare la summa della filmografia del Maestro, la sua idea di cinema e del cinema di animazione nello specifico, il suo modo di vivere l’industria e un’allegoria della Storia del Giappone stesso.
Secondo le “regole del buon cinema”, il biopic deve prevedere l’uso di una storia reale come metafora per trattare altro, anche a costo di romanzarla, colorarla o reinventarla.
Parliamo di film testamento perché la pellicola era pensata per essere l’ultima non solo di Miyazaki, ma anche dello Studio Ghibli, tant’è che quando vide la luce, nel 2014, un anno dopo l’uscita de La principessa splendente di Isao Takahata, si annunciò anche la chiusura della leggendaria casa di produzione. Poi sappiamo tutti com’è andata, per fortuna, e dalle coordinate temporali in cui questo articolo viene scritto siamo freschissimi dell’annuncio dell’uscita in Italia nel nuovo film dello studio, Il ragazzo e l’airone, distribuito da Lucky Red.
Lucky Red che da anche la meravigliosa opportunità di vedere Si alza il vento al cinema, dal 24 al 30 agosto, ultimo appuntamento della seconda edizione della rassegna “Un mondo di sogni animati”.
Tra tutti i film selezionati questa estate, probabilmente il più consigliato per essere visto sul grande schermo. Una pellicola tecnicamente sbalorditiva e in grado di riempire gli occhi e il cuore come poche altre nel mondo dell’animazione.
C’era una volta il gioco di un bambino
La sequenza di apertura di Si alza il vento vale da sola il prezzo del biglietto.
Se fosse mai servita una prova per la veridicità dell’accostamento tra Hayao Miyazaki e Federico Fellini allora basti guardare i primi minuti del film, un inizio che quasi vuole ingannare lo spettatore, dando l’impressione di cominciare in un modo piuttosto classico per poi rivelare come il passaggio dalla dimensione reale a quella onirica. Il riferimento è 8½, ma il tentativo è quello di allargare ancora di più il raggio.
L’intro è pensato per raccontare non solo il sogno del bimbo Horikoshi, ma dell’intero Giappone dei primi anni del ‘900. Quello ancorato alla tradizione, che guardava al futuro con speranza e trasporto, ma che aveva nel destino un disfacimento terrificante che si sarebbe presentato sia dopo la Prima Guerra Mondiale, che portò la nazione orientale a divenire un Paese fortemente debitore nonostante l’esito del conflitto, e, soprattutto, dopo la Seconda.
La sequenza di apertura di Si alza il vento vale da sola il prezzo del biglietto.
Il piano onirico è sin da subito quello salvifico per Horikoshi, che nella realtà porta gli occhiali e si scontra con i bulli, mentre quando sogna parla con l’ingegnere Caproni (il suo riferimento), viaggiando sui suoi aerei e parlando solamente della loro comune passione.
Il tempo passa e il nostro cresce e cambia, così come il Giappone, che ora è una Nazione in movimento e che punta alla tecnologia e all’industrializzazione (in questo Si alza il vento è incredibilmente preciso, perché di viene, di fatto, un film in movimento continuo, per aria, sull’acqua e sui binari). Un movimento anche traumatico se pensiamo al grande terremoto che quasi distrusse Tokyo e che Miyazaki riporta nella pellicola in una scena terrificante (e meravigliosa) adoperandola come spartiacque sia per la storia del suo Paese sia per quella di Horikoshi, che incontra la sua amata per la prima volta.
L’inizio del lavoro presso il team di progettisti di aerei da caccia della Mitsubishi segna l’inizio della lunga stagione costellata dai terribili dubbi morali che hanno costantemente assediato l’attività creativa in un mondo in cui “esistono le piramidi”. Il fulcro concettuale intorno a cui si dirama il ventaglio filmico.
Bisogna tentare di vivere
Si alza il vento!… Bisogna tentare di vivere!
Sarebbe da chiedere cosa ha mosso in Miyazaki la frase del celebre poema Le Cimetière marin di Paul Valery tanto da metterla al centro di quello che all’epoca pensava fosse il suo ultimo film. Un significato che deve essere ricercato oltre l’evocazione poetica che è stata voluta da Tatsuo Hori (autore della biografia) e che, probabilmente, può essere trovato nel coinvolgimento in prima persona del Maestro nella divisione esistenziale di cui sopra.
Perché se è vero che in Si alza il vento possiamo rintracciare elementi autobiografici come la passione per gli aerei, di matrice paterna, ed il ricordo straziante del vissuto della patologia della figura amata, di matrice materna, il tassello fondante è l’accostamento tra il suo modo di vivere la creazione cinematografica e il modo di vivere la creazione ingegneristica di Horikoshi.
Sarebbe da chiedere cosa ha smosso questa frase del celebre poema Le Cimetière marin di Paul Valery in Miyazaki tanto da metterla al centro del suo ultimo film.
Per Miyazaki la parte produttiva dei suoi film è un percorso di dolore, in cui è assediato da dubbi esistenziali che riguardano l’etica creativa (sappiamo delle sue idee negative sull’animazione digitale e sull’industria cinematografica), ma, soprattutto, una responsabilità. In questo è sempre stato molto più godardiano che felliniano.
Il cinema deve assumere ad un compito che prima di tutto è politico, ma anche didattico e, in un certo senso, di memoria storica, proprio per le sue enorme potenzialità linguistiche e questo film ne è una sintesi semplicemente meravigliosa.
Su questa rigorosa concezione Si alza il vento, ancora di più di tanti altri film del Maestro, si impregna della poesia che è essenza stessa della sua idea artistica. Il vento è l’espressione visionaria di chi sogna, ama e crea e quindi guarda oltre il mondo così come lo si percepisce comunente e nel film il vento lo si vede, lo si percepisce, lo si respira quasi. Lui, come una forza invisibile, guida la vita di Horikoshi, sempre a metà tra dimensione onirica e reale.
Si alza il vento è una pellicola totale, che fa bene allo spirito e riconcilia con il cinema. Che fa ridere, commuovere e sognare e che vuole spingere lo spettatore ad andare avanti, nonostante tutto.