In poco più di quattro ore di gioco abbiamo avuto modo di provare le prime missioni di Armored Core VI: Fires of Rubicon, nuovo titolo della lunga saga firmata From Software, che dopo oltre dieci anni (passati a vincere premi game of the year grazie ai suoi Souls) torna a realizzare un Armored Core.
Il videogioco secondo From Software
Per oltre 15 anni distribuisci il vangelo dei mecha in stile giapponese in tutto il globo videoludico, attraverso ben quattro generazioni di console e creando un proprio stile inconfondibile, iconico, che conquista centinaia di migliaia di fan ma senza mai diventare un successo inconfutabile. Poi un giorno qualunque del 2009 azzecchi la formula giusta e riesci a trasformare in realtà quella filosofia che aveva sempre cercato di unire elevata difficoltà e soddisfazione dell’impresa, finendo per ricordare dopo decenni a tutti i videogiocatori l’estremo piacere del “muori, impara, migliora” tipico degli albori di questo medium. Così From Software, solida software house giapponese con un passato di tutto rispetto ma mai tra i grandi, pubblica Demon’s Souls e rivoluziona completamente il modo di videogiocare: tra frustrazione e appagamento, i giocatori perdono la testa per questo titolo così difficile come non si vedeva da troppo tempo, in un’epoca dove ogni action sembrava puntare sempre più sull’accessibilità. La nuova creatura di From Software dà vita a un vero e proprio genere, i Souls-like, influenzando e dominando il decennio successivo grazie ai Dark Souls e al più recente, acclamatissimo Elden Ring.
Ai The Game Awards 2022 arriva però l’annuncio di un nuovo capitolo della “vecchia” serie di punta di From Software, ma stavolta è evidente che le carte in gioco e le aspettative siano del tutto diverse: dopo un decennio passato a conquistare la critica e un ultimo gioco da 20 milioni di copie vendute ci si aspetta che il team di Hidetaka Miyazaki possa finalmente aver capito come mettere a frutto tutta l’esperienza acquisita a favore di un Armored Core, così da poter concedere ai fan storici quel mix di mecha, azione e frustrazione che attendono da oltre dieci anni.
All you need is kill
Armored Core non è mai stato clemente con i propri giocatori ed era volutamente ostico ben prima che Demon’s Souls lo rendesse una moda. Il problema principale dei mecha di From Software è sempre stato però il non riuscire a rendere l’esperienza finale appagante e fruibile per il giocatore, bloccato tra comandi poco fluidi, missioni poco strutturate, scelte di game design discutibili e complicazioni futili. La filosofia che ha accompagnato tutta la storia di questa software house c’è sempre stata ma non è mai riuscita ad esprimersi, almeno fino ai Souls grazie ai quali ha trovato la combinazione perfetta: profondità nella personalizzazione della build e difficoltà che richiede un approccio alla “All you need is kill”, noto ai più per l’adattamento cinematografico Edge of Tomorrow con Tom Cruise, che ha reso famosa la frase “vivi, muori, ripeti“.
Armored Core VI: Fires of Rubicon parte esplicitamente da questi due punti, mettendo subito il giocatore di fronte a un percorso ostico per il quale dovrà tentare, sbagliare, imparare, ripetere ma soprattutto adattarsi, nello stile di combattimento e nella configurazione dell’AC, il proprio mecha, per riuscire a completare ogni missione.
La struttura a missioni diventa essenziale principalmente per questo: pensare di affrontare un intero capitolo senza modificare le componenti dell’AC è impossibile e spesso non si tratta solo di aggiornarsi con l’equipaggiamento migliore ma di dover cambiare drasticamente la struttura del mecha a seconda del nemico da combattere. Testa, torso, braccia, gambe, propulsore, generatore, espansione: un insieme che deve essere assemblato con sinergia e facendo molta attenzione ai carichi finali, all’energia disponibile, al peso, alla velocità di propulsione e di ricarica, alla quantità di soluzioni offensive individuali e ad area, all’agilità di movimento e alla resistenza ai colpi.
Armored Core VI è la quintessenza del build optimizer grazie a numerosi stili possibili a seconda delle combinazioni: da un AC totalmente energetico, agile, sempre scattante e perfetto per sfiancare i mecha avversari senza farsi colpire a un AC da “mezzo pesante”, corazzato, super resistente ed estremamente letale grazie a un arsenale d’attacco inarrestabile. In mezzo c’è tutto il mondo, con molteplici incroci possibili e ulteriori opzioni di personalizzazione a seconda della tipologia delle armi, delle gambe e dei chip SSO.
Le armi possono essere di tre tipi: cinetiche, abbastanza bilanciate; esplosive, lente ma letali, anche se danno il meglio solo se usate correttamente (ad esempio dall’alto o da vicino); energetiche, rapide e potenti soprattutto se caricate, ma richiedono molta energia per essere usate. Il potenziale offensivo di un AC non è tutto ma rappresenta un elemento essenziale, tanto da dover costringere il giocatore a compiere dei sacrifici in fase di assemblaggio: se si trova un buon feeling con le armi energetiche, ad esempio, diventa quasi impossibile affidarsi a un AC carrozzato, mentre le armi esplosive migliori potrebbero richiedere addirittura di installare un cingolato per sostenerne i pesi eccessivi.
Le gambe diventano così altrettanto essenziali, passando da quelle standard a quelle con giuntura invertita, in grado di saltare più in alto ed eseguire scatti più repentini, mentre le strutture tetrapodi uniscono alta mobilità alla possibilità di restare in sospensione aerea a lungo. I cingolati, come accennato, sono molto rapidi al suolo e permettono di trasportare pesi maggiori, ma rinunciando a gran parte della mobilità area che in alcune situazioni si rivela essenziale.
A conti fatti, gran parte delle ore di gioco si svolgono proprio all’interno del garage a cercare di concatenare una moltitudine di componenti con l’obiettivo di trasformare il proprio AC nel mecha perfetto per affrontare quella specifica missione, pur ricordando che come da filosofia From Software non esiste un’unica opzione possibile per avere il vantaggio sul nemico. Sono ore ricche di strategia e, limitatamente alle fasi iniziali che abbiamo provato, appaganti, ma sarà da capire la sostenibilità economica a lungo termine e quanto sarà davvero possibile switchare tra una build e l’altra senza magari doversi perdere in un farming che rischia di rendere un gioco a missioni ripetitivo.
Missioni e capitoli
Della dozzina di missioni provate in questo hands on non tutte ci hanno convinto. Il setting è abbastanza standard e noto ai fan From Software: da reietto mal equipaggiato, gettato nella mischia con poche risorse ed esperienza, bisogna costruirsi un nome e un AC degno di nota a suon di missioni portate a termine con successo. Il gioco concede giusto di apprendere le basi per poi rivelarsi subito crudele e ostico già dal primo boss, ma subito dopo alterna momenti di lotta per la sopravvivenza a sfide troppo semplici che finiscono ancor prima di iniziare senza un adeguato bilanciamento che lo giustifichi. C’è un effetto straniante ad affrontare alcune missioni troppo brevi e banali che sembra quasi appartenere a un altro gioco e rompe un po’ il ritmo e la concentrazione, ma soprattutto non permette al giocatore di immaginare cosa lo aspetta nella prossima missione, sia in termini di sfida che banalmente di durata.
Di contro, nei momenti migliori Armored Core VI sa essere estenuante, punitivo e sfidante come ci si aspetta che sia, grazie a un gameplay che non abbiamo potuto padroneggiare a fondo ma che ci ha permesso di fare ciò che ci aspettavamo. Il giusto livello di mobilità, sia a terra che aerea, unito a un adeguato bilanciamento delle quattro abilità offensive, sia per danni che per tempi di ricarica, e infine la varietà di nemici e minacce che costringe ad attaccare con criterio senza trascurare la difesa o le munizioni a disposizione, non infinite. Le prime ore del gameplay di AC6 soffrono solo in due aspetti: la gestione della telecamera, disorientante nelle fasi di mobilità aerea più concitate, e il tempo in volo, che a causa di un mecha ancora acerbo è troppo limitato e ha spezzato troppo spesso l’azione.
Per quanto un aspetto fondante della filosofia From Software, la “stamina” ovvero l’energia dell’AC non può essere tanto limitata come in un Souls: ogni mappa si estende anche in altezza e lottare tra i palazzi con gran parte dei nemici sul tetto diventa un inferno se si viene costretti al suolo da qualche scatto sbagliato (colpa anche di una visuale poco collaborativa); per fortuna, trailer e presentazione sembrano circoscrivere questi limiti al primo capitolo del gioco, ma resta da provare la versione finale per capire quanto ci si possa davvero lanciare in scontri frenetici e dinamici o quanto bisognerà restare con i piedi per terra.
Un diamante grezzo
From Software non ha mai brillato per grafiche all’avanguardia e comparti tecnici mozzafiato e possiamo confermare che non inizierà a farlo con Armored Core VI. Come ogni recente titolo della software house giapponese, il livello tecnico del gioco sembra mantenersi su uno standard buono, soprattutto negli elementi principali, ma non si impegna particolarmente a rifinire gli ambienti e gli effetti grafici, nemmeno sulla versione PC. L’attenzione è tutta rivolta all’azione, alla velocità e stabilità delle performance e non è una sorpresa che una resa grafica modesta rappresenti il sacrificio necessario; da riesaminare però le hit box, che nel caso di alcuni boss ci sono sembrate migliorabili.
Insomma, Armored Core VI: Fires of Rubicon ci ha stuzzicato, ci ha intrattenuto per diverse ore e al netto di alcune perplessità si presenta con pretese di tutto rispetto, per confermare le quali però bisognerà mettere in esame l’esperienza del gioco finito, in uscita il 25 agosto 2023 per PC, PS4, PS5, Xbox One e Xbox Series X/S.