Mission: Impossible – Dead Reckoning – Parte uno, la recensione: non ci si nasconde più

Mission: Impossible - Dead Reckoning - Parte uno

Mission: Impossible (tratto dall’omonima e un tempo, ormai si può dire, più famosa serie televisiva di Bruce Geller) ha sempre fatto ruotare le sue trame intorno al concetto di segretezza, di rimanere invisibili, fuori dagli schemi. Una formula che era all’inizio trovata narrativa, poi giochino divertente e poi, soprattutto dal restyling della saga firmato da Tom Cruise e Christopher McQuarrie, una caratteristica del proprio protagonista: puro e super partes. Ama le donne, ma le protegge, non le seduce e ama i suoi amici, che sono la sua unica debolezza, ma anche la sua forza più grande. Fuori dagli schemi vuol dire fuori dalle logiche di potere, dalle convenzioni, dalle regole dell’uomo comune. Ethan Hunt è un simbolo, un concetto, un supereroe, una maschera, sempre di più, sempre meglio, sempre più attaccato al cinema blockbuster contemporaneo (ci stanno anche gli oggettini mcguffin).

E quindi eccoci alla recensione di Mission: Impossible – Dead Reckoning – Parte uno, al cinema dal 12 luglio grazie ad Eagle Pictures, settimo capitolo del franchise e chiaramente un film su un supereroe in avanti con gli anni e che vuole parlare di attualità. Dunque crea una nemesi che non gli permette più di essere invisibile e al suo servizio pone un’altra nemesi che non gli permette di essere più super partes e, allo stesso tempo, gli conferisce una storia di origine. Il rapporto con la donna diventa archetipico e meno promiscuo e, dulcis in fundo, la saga ammicca a se stessa grazie ad un fan service che richiama i primi capitoli, chiaro segno di un addio. Il tutto parlando del cattivone più cattivone degli anni 2020 (dopo il covid, ma le pandemie le abbiamo già sconfitte) ovvero l’I.A..

Fuori dagli schemi vuol dire fuori dalle logiche di potere, dalle convenzioni, dalle regole dell’uomo comune. Ethan Hunt è un simbolo, un concetto, un supereroe, una maschera, sempre di più, sempre meglio, sempre più attaccato al cinema blockbuster contemporaneo.

Qui si inserisce una variabile interessante nella costruzione dell’eroe, perfettamente coerente con il one man show assolutamente non solo formale e fisico, checche se ne dica, di Tom Cruise, che ha fatto del suo fisico uno strumento cinematografico, ovvero la “decisione”. Tutto ruota intorno alla dimensione psicologica, alle riflessione e hai dubbi di un uomo che non ne ha mai avuti e ha sempre saputo cosa fare, giustificato da un impianto filmico che ora invece gioca tutto sull’incertezza a favore di qualcuno che ha la capacità di guardare più avanti di noi.

Finito questo discorso filosofico (scusateci) diciamo che il cast è in ottima forma, a partire da Tom Cruise, che si lancia dalle montagne con la moto, alla new entry Pom Klementieff, che qui fa un Harley Quinn molto più paurosa, passando per i soliti Simon Pegg e Ving Rhames e per le due donne che già conosciamo: Rebecca Ferguson e Vanessa Kirby. Menzione a parte per i due personaggi più importanti del film insieme a quel meraviglioso 60enne con gli occhi senza espressione, cioè Hayley Atwell e Esai Morales. Entrambi un po’ sciatti per motivi diversi, perché laddove la prima ha con sé un aspetto molto interessante di new femme fatale / apprendista, ma difetta un po’ nella scrittura (anche nel rapporto con Hunt), il secondo è la brutta figura di chi il fascino latino ce l’ha per davvero.

L’Entit(I)À

Una misteriosa Intelligenza Artificiale si inserisce nei sistemi supertecnologici di un sottomarino sovietico supertecnologico e lo affonda da quale parte nel nord del mondo e poi ci si stabilisce, in modo da non essere mai trovato. C’è un solo modo per accedervi, ovvero una chiave supertecnologica composta da due parti (sempre supertecnologiche). Chi le vuole? Ma le vogliono tutti ovviamente, perché chi le trova può avere accesso ad un’arma talmente potente da poter controllare il mondo.

Il fatto è che però una parte la ruba Ilsa Faust (Ferguson) e dunque viene chiamato Ethan (Cruise) per recuperarla.

Mission: Impossible - Dead Reckoning - Parte uno

Chi le vuole? Ma le vogliono tutti ovviamente, perché chi le trova può avere accesso ad un’arma talmente potente da poter controllare il mondo.

Lui la prende da lei, ma poi arriva una ladra, Grace (Atwell), che le prende a lui, che allora la deve recuperare da lei, ma chi ha ingaggiato lei? Forse colui che le vuole tutte e due, ma l’altra parte chi ce l’ha? E chi è meglio che le abbia tutte e due?

Insomma, un roller coaster piuttosto compatto, elegante, ironico (anche nel discorso metacinematografico di un’azione costantemente estremizzata con protagonista Dio Cruise), in tipico stile McQuarrie, ma con qualche sfumatura di animazione rispetto a Fallout del 2018, che strizzata l’occhio ad uno spy movie un po’ più vecchio stile, rispetto a questo, che è un film di supereroi che riflette sul ruolo della spia in un mondo come questo, in cui non c’è nessuna sicurezza morale e tutto sta per cambiare. E cambierà.

In un mondo fatto dalle I. A. ci servono però dei punti fissi, delle sicurezze, sia allo spettatore che a noi e allora ecco Venezia e Roma, gli inseguimenti in 500 e le scazzottate nei corridoi in muratura tra le calle, le bombe a tempo, le corse infinite di Cruise e i suoi stunt catartici. Tom Cruise, che in un periodo di personaggi iconici interpretati da attori ormai avanti con l’età, vince su tutti.

Ethan, chi sei?

L’azione c’è, ma è più bolsa. Il nostro Ethan ha paura, è insicuro, soprattutto di se stesso, piegato dalle missioni senza riuscire a trovare veramente qualcosa per cui combattere e non più in grado di assicurare una protezione a tutti coloro che ama. Insomma, lontano anni luce da quell’Hunt che era riuscito addirittura ad ingannare Occhio di falco per salvare la sua ex moglie.

Cruise gli dona un tono più cupo, segnato e che nella seconda parte porterà probabilmente ad una spiegazione totale del suo essere, dato che verranno svelati i termini della “decisione” che prese quando entro nella IMF. Chi lo mette in crisi è la personificazione dei tempi che sono cambiati, ovvero un dio artificiale figlio dell’epoca postmoderna.

Il nostro Ethan ha paura, è insicuro, soprattutto di se stesso, piegato dalle missioni senza riuscire a trovare veramente qualcosa per cui combattere e non più in grado di assicurare una protezione a tutti coloro che ama.

Tom Cruise

La scrittura paga in parte questa divisione in due parti perché non consente di registrare con la consueta ottimizzazione tutti quanti i rapporti tra i personaggi o dona loro quel tono come solitamente riesce, dato il discorso più complesso che si affronta questa volta e la sua necessità di un approfondimento ulteriore che probabilmente avremo nel prossimo film. Nella fattispecie chi ne fa maggiormente le spese dono la Atwell e la Ferguson, ma per motivi diversi. Invece con gli altri habitué si va con il solito pilota automatico.

Anche la regia va con il pilota automatico, ma è quello pazzesco della macchina di Benji e l’unica variazione sul tema la pellicola se la concede nella ricostruzione di una sequenza che proviene direttamente dal Mission: Impossible di Brian De Palma (il primo, quello del 1996 o anche quello prima che Cruise divenisse il centro di gravita permanente del franchise). Parliamo del treno. Il resto non è all’altezza del ritmo dei due precedenti, ma ci può stare visto il tono più riflessivo della pellicola.

Nel complesso questo Mission: Impossible – Dead Reckoning – Parte uno è una buona primo tempo di un film molto più lungo e ha degli spunti molto interessanti dal punto di vista metatestuale e sul proprio pensiero sull’attualità, per il resto invece si attacca al suo protagonista e ad un immaginario creato in 20 anni.

70
Mission: Impossible - Dead Reckoning - Parte uno
Recensione di Jacopo Fioretti Raponi

Mission: Impossible - Dead Reckoning - Parte uno è il settimo capitolo del franchise con protagonista Tom Cruise e il terzo diretto da Christopher McQuarrie. Si tratta della prima parte di un film lungo il doppio e questa sua natura la paga dal punto di vista della scrittura, mentre la regia sembra più pesante e autoriferita nelle soluzioni, ma visto il tema riflessivo del lavoro ci può stare. Quello che funziona più del titolo è infatti la sua parte metanarrativa, in cui parla del ruolo della spia oggi, senza una patria e senza una sicurezza reale, proveniente da un mondo più semplice e ora preda di una insicurezza che non aveva mai provato prima.

ME GUSTA
  • L'ironica con cui tratta l'azione compulsiva tipica del franchise, qui più stanca, com'è giusto visto il tema del film.
  • Tom Cruise: come recita, come fa gli stunt, come guarda, come sorride e come corre.
  • La chimica tra gli habituè.
  • Il discorso metanarrativo sul ruolo della spia legata alla riflessione sui tempi moderni.
  • La scazzottata doppia a Venezia.
  • L'intro. Bellissimo.
FAIL
  • La scrittura di alcuni personaggi e qualcosina legata alla logica sulle potenzialità dell''I.A.
  • Ritmi più pesanti e qualche spiegone che pesicchia. Le due cose sono legate.
  • Il casting del villain.
  • Paga probabilmente la divisione in due parti.
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