Indiana Jones: il Quadrante del Destino è esistito veramente?

Con l’uscita del quinto capitolo “Indiana Jones e il Quadrante del Destino” dopo aver scritto sul Sacro Graal e l’Arca dell’Alleanza e di quanto le sceneggiature dei film di Spielberg abbiano romanzato la realtà, cerchiamo di raccontare il Quadrante del Destino. Da sempre nella saga dell’archeologo più famoso del cinema, la storia ha trovato modo di incrociarsi con il mistero e soprattutto con l’inspiegabile, tuttavia l’ignoto non è mai andato oltre l’inspiegabile, grazie all’intelligenza della messa in scena dei vari registi e della scrittura degli sceneggiatori. La sospensione dell’incredulità è un particolare carattere semiotico che consiste nella volontà, da parte del lettore o dello spettatore, di accettare che nelle opere di fantasia sia possibile ciò che non si riuscirebbe normalmente a fare ed è proprio per questo che da più di 40 anni non abbiamo mai storto il naso alla fuoriuscita dei grandi poteri dall’Arca dell’Alleanza o alle capacità curative del Sacro Graal.

Ma ora siamo arrivati al quinto capitolo dove il tempo è un nodo cruciale dell’intero film (e non solo) un tema tra l’altro sempre molto delicato in quanto se si parla di viaggi nel tempo il rischio di oltrepassare il limite della sospensione dell’incredulità è veramente molto vicino, ma non è il caso di Indiana Jones. Come in tutti i film del professor Jones c’è un artefatto storico dal quale si base l’intera trama e da proprio da quell’artefatto che proveremo a scoprire quanto di vero, o inventato, abbiamo visto sul grande schermo.

Non credo nella magia ma talvolta nella mia vita ho visto delle cose che non riesco a spiegare. E ho capito che non è a cosa credi, il punto…ma con quanta forza ci credi!

Indiana Jones

Allerta Spoiler 
Per coloro che non hanno visto Indiana Jones e il Quadrante del Destino è consigliabile la lettura dopo la visione.

Indiana Jones e il quadrante del destino

Il Quadrante del Destino è esistito?

Togliamo subito il primo dubbio storico, il “Quadrante del destino” del quinto capitolo di Indy, ovviamente, non esiste, ma tuttavia si ispira al meccanismo di Antikythera, un calcolatore di oltre 2.000 anni fa che la scienza studia da più di un secolo. La macchina di Anticitera è un congegno meccanico datato tra il 150 e il 100 a.C. anche se un recente studio, pubblicato nel 2022, ritiene che la calibrazione iniziale sia del 23 dicembre 178 a.C. È ritenuto il più antico calcolatore meccanico conosciuto. Si trattava originariamente di un sofisticato planetario, mosso da ruote dentate, che serviva per calcolare il sorgere del sole, le fasi lunari, i movimenti dei cinque pianeti allora conosciuti, gli equinozi, i mesi, i giorni della settimana e – secondo uno studio pubblicato su Nature – le date dei giochi olimpici.

Fu rinvenuta nel relitto di Anticitera, tra i resti di un naufragio avvenuto nel secondo quarto del I secolo a.C. nei pressi dell’omonima isola greca. Antikytera è un’isoletta rocciosa a nord-ovest di Creta dove, nei primi del 1900, alcuni pescatori di spugne persero la rotta a causa di una tempesta. La fortuna di trovare riparo su questa isoletta quasi disabitata è stata nel fatto che loro ripresero a pescare proprio in quel luogo. Fortuitamente scoprirono un relitto di una enorme nave che all’epoca trasportava statue in bronzo ed in marmo.

Chiaramente i pescatori segnalarono il relitto ad esperti e dopo la segnalazione, da parte dei pescatori, gli archeologi lavorarono sul relitto sino al settembre del 1901. Tra i reperti ripuliti vennero individuati un’intera serie di ruote dentate, parte di un meccanismo, molte delle quali con iscrizioni.

Tra i reperti ripuliti vennero individuati un’intera serie di ruote dentate, parte di un meccanismo, molte delle quali con iscrizioni.

Il relitto, a giudicare dalla ceramica facente parte del carico, fu fatto risalire al I secolo a.C. Alcuni archeologi dissero che il meccanismo ritrovato era troppo complicato per appartenere al relitto, altri invece sostenevano che i resti provenissero da un astrolabio, infine altre teorie parlavano di resti appartenenti ad un planetario. In totale, i frammenti, gli ingranaggi e le incisioni rinvenuti furono 82, tali da comporre un puzzle diabolicamente complicato per gli studiosi di tutto il mondo che, in più di 100 anni, hanno cercato di scoprire la verità sulla misteriosa macchina di Anticitera. Le varie supposizioni difatti arrivarono ad un punto morto ed il mistero di Antikytera rimase irrisolto per moltissimi anni.

Come funzionava

Stando ai più recenti aggiustamenti, l’oggetto doveva apparire come una robusta scatola lignea con una manovella sul lato per calibrarla e due “cruscotti” in bronzo sulle facce contrapposte. Sulla parte anteriore, oltre a numerose iscrizioni, spiccava il quadrante principale, azionato da una ruota motrice che si muoveva con un ciclo annuale. Dotata di quattro raggi e non piena come le altre, ospitava al centro la sfera del Sole e tutt’intorno quelle della Luna e dei pianeti, che si muovevano ciascuno lungo cerchi concentrici sulle rispettive orbite. Sul retro, invece, i quadranti erano essenzialmente due, con altri più piccoli al loro interno. Il primo era un calendario basato sui cicli metonico e callippico (quest’ultimo è un raffinamento del precedente), il secondo serviva a calcolare le eclissi solari e lunari con riferimento alla durata di un Saros.

La macchina originaria era delle dimensioni di circa 30 cm per 15 cm, dello spessore di un libro, costruita in rame e originariamente montata in una cornice in legno. Era ricoperta da oltre 2000 caratteri di scrittura, dei quali circa il 95% è stato decifrato. Ad oggi il prestigioso reperto è conservato nella collezione di bronzi del Museo archeologico nazionale di Atene, assieme alla sua ricostruzione. Alcuni studiosi, negli anni dei vari studi, sostennero che la macchina fosse troppo complessa per appartenere al relitto e alcuni esperti ribatterono che i resti potevano essere fatti risalire a un planetario o a un astrolabio. Solo nel 1951 i dubbi sulla misteriosa macchina cominciarono a essere risolti quando il professor Derek de Solla Price cominciò a studiare il congegno, esaminando minuziosamente ogni ruota e ogni pezzo e riuscendo, dopo circa vent’anni di ricerca, a scoprirne il funzionamento originario.

Solo nel 1951 i dubbi sulla misteriosa macchina cominciarono a essere risolti quando il professor Derek de Solla Price cominciò a studiare il congegno, esaminando minuziosamente ogni ruota e ogni pezzo e riuscendo, dopo circa vent’anni di ricerca, a scoprirne il funzionamento originario.

Le ricerche ovviamente sono continuate finché nel giugno 2016, un team di scienziati, servendosi di scansioni ad alta risoluzione con raggi X, sono riusciti a leggere le lettere di un’iscrizione incisa al suo interno, trovando indicazioni sull’uso specifico, ossia un calendario di eventi astronomici, eclissi e delle date dei giochi olimpici. Il 28 marzo 2022 venne pubblicato uno studio che analizzava i dati disponibili per determinare la data di calibrazione della macchina, l’analisi partiva dal concetto che lo strumento meccanico accumulasse un errore che aumentava con il passare del tempo e proprio questa degradazione nell’accuratezza permise di risalire al periodo scelto per calibrarlo: il 23 dicembre 178 a.C.

Cosa c’entra Archimede in tutto ciò?

Durante il quinto capitolo di Indiana Jones tutto ruota attorno al Quadrante, che nel caso del film permette di aprire dei varchi temporali, incontrando proprio grazie ad un viaggio nel tempo il suo inventore Archimede. Tolto ogni dubbio sul fatto che il meccanismo non permette a nessuno di viaggiare nel tempo, il più grande inventore della Magna Grecia era coinvolto? Anche qui, come nella maggior parte delle volte nelle storie di Indiana Jones, la verità è nel mezzo. Gli archeologi analizzando il meccanismo di Antikythera notarono presto che una delle sue funzioni primarie aveva a che fare con la tracciatura del moto solare, lunare e delle cinque stelle erranti. Il primo a ipotizzare che quel groviglio di pezzi incisi fosse una macchina calcolatrice fu il filologo tedesco Albert Rehm, il quale capì, per esempio, che il numero 19, scolpito su un frammento, era un riferimento al cosiddetto ciclo metonico che descrive la corrispondenza approssimata tra 19 anni solari e 235 cicli lunari.

Inoltre gli studi sul meccanismo non si sono mai fermati e proprio nel 1974 il fisico britannico Derek J. de Solla Price, pubblicò un articolo in cui si mettevano per la prima volta in relazione il planetario di Archimede e la macchina di Anticitera, suggerendo che la paternità del meccanismo fosse proprio del genio di Siracusa. Ovviamente il nome di Archimede iniziò a stuzzicare studiosi ed archeologi da tutto il mondo ed è proprio con uno studio pubblicato su Nature, diretto dal matematico Tony Freeth della UCL, che si inizia a scrivere la parola fine sul mistero svelando il funzionamento del meccanismo in grado di descrivere l’orbita del nostro satellite.

La Luna ha un moto variabile, poiché la sua orbita è ellittica – scrive Freeth – Quando è più lontana dalla Terra si muove più lentamente sullo sfondo delle stelle, quando è più vicina accelera. I Greci non conoscevano le orbite ellittiche, ma spiegavano questo movimento combinando due moti circolari in quella che viene chiamata “teoria degli epicicli”. Ebbene, basandoci su un’osservazione di Wright, che aveva notato un perno e una fessura adiacente, apparentemente inutili, posti su due ruote separate da poco più di un millimetro, abbiamo capito che esse generavano un movimento variabile, un’ingegnosità straordinaria che rafforza l’idea che la macchina sia stata progettata da Archimede.

La storia ci ha donato un reperto unico nel suo genere e nonostante non abbia nessuna capacità di viaggio temporale, è attraverso la conoscenza e gli studi archeologici che il “viaggio nel tempo è possibile”. Gli sceneggiatori come sempre hanno preso in custodia una storia di un reperto straordinario, esistito nel passato, dal quale costruirci sopra una nuova trama dove l’ottantenne Indiana Jones ha potuto di nuovo far sognare grandi (soprattutto noi grandi) e piccini e perché no, come accadeva negli anni ottanta e novanta restituendo alle generazioni di ora l’amore per la ricerca e per l’archeologia.

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