Pixar è sempre stata maestra di quella che era la funzione topica dell’animazione: la costruzione e la resa possibile di mondi, universi, realtà che erano impossibili. In California è stata Disney per tanti anni a raccontare storie inarrivabili e che celavano il desiderio di far emergere qualcosa di impossibile, poi però Pixar ha iniziato a giocare sporco: Toy Story, Monster & Co, Cars fino a Inside Out.

Nonostante sia rimasta forte nell’immaginario collettivo quella capacità da parte di Pixar di avvilupparci con storie impossibili, la magia di fondo sembrava essere sparita da un po’. L’insuccesso di Lightyear, l’affascinante ma non del tutto travolgente racconto di Red, la reiterata proposta di sequel di brand di successo (per l’appunto, Toy Story 4, Cars 3) avevano interrotto a Coco, nel 2017, l’ultimo barlume di vitalità. Con Elemental, insomma, serviva una bella virata per far cambiare il vento.

Il primo universo di Pixar

Elemental parte dall’idea di andare a creare qualcosa che in Disney fanno da tempo e sono riusciti a far esplodere con Zootropolis: creare un mondo all’interno del quale potesse avvenire una storia, mettere in piedi un world building – per mutuare un concetto videoludico – che potesse fare da palcoscenico alla vicenda raccontata.

Pixar ci aveva già lavorato con Cars, nel momento in cui Saetta non era solo un personaggio con una storia, ma veniva calato in qualcosa di vero, di tridimensionale e di persistente. Elemental riparte da quell’esigenza: essere un po’ Cars, un po’ Zootropolis, calandoci in una città che parla anche di immigrazione, di seconda generazione, come d’altronde è lo stesso regista Peter Sohn.

Ember è un fuoco di seconda generazione, figlia di Cinder e Bernie, due immigrati arrivati a Element City con il desiderio di ripartire, di costruire qualcosa di nuovo per le generazioni future: una classica storia di quotidiana realtà, riproposta in un contesto fatto di elementi. D’altronde la città nella quale i genitori di Ember arrivano, da giovani, non è pensata per il fuoco: i treni sono alimentati ad acqua, tutt’attorno ci sono abitanti fatti di terra e di foglie, così come l’aria che volteggia di luogo in luogo.

Loro sono i precursori, però, e lentamente, con il lavoro e il sudore dell’impegno, riescono a integrarsi, con il loro negozio specializzato in prodotti da fuoco e nel loro quartiere, che diventa un’isola felice per chi, come loro, ha difficoltà a rapportarsi con gli altri. Tutto ciò che Bernie ha costruito, però, rischia di essere portato via dall’usura e dall’avvento dell’acqua, principale avversario del fuoco, pronta a infilarsi nelle tubature delle fondamenta e anche nel cuore della giovane Ember.

Elemental procede così nella direzione di inserire, all’interno della propria trama, una serie di contenuti e di topoi che rischiano di andare a creare un ricettacolo di indecisione: abbiamo già parlato dell’immigrazione, dell’inclusione delle seconde generazioni, ma arriviamo anche agli amori impossibili, all’accettazione del diverso e alla distruzione dei pregiudizi, fino ad avere, nella seconda metà del film, l’emergere dell’autodeterminazione, fino all’elaborazione delle proprie ansie e preoccupazioni. Sohn infila di tutto e di più all’interno del suo film, col rischio di perdere qualche pezzo per strada e di dover risolvere troppo nel finale. Eppure, nonostante questo insieme di intrecci, si arriva in maniera abbastanza serena e rilassata alla risoluzione, godendosi quel secondo atto che mette al centro di tutto l’amore genuino, puro e candido tra l’acqua e il fuoco, impossibile per la teoria, realizzabile per chi vuole osare e vuole crederci fino in fondo.

Fuga da tutte le regole

Elemental giova di quella grande scelta di creare un mondo totalmente nuovo, di elaborare un world building che possa prendere vita a parte da quello che potrebbe essere il nostro mondo. Cars, per continuare questo parallelismo, sembrava dovesse essere in qualche modo ambientato nella nostra realtà, quasi come era stato Toy Story, che raccontava una linea parallela della nostra quotidianità: Elemental, invece, ha eliso l’esistenza della specie umana dalla sua realizzazione, vive delle sue regole, delle sue necessità e così facendo ci evita anche di dover ragionare su quelle che dovrebbero essere le regole del mondo umano.

Il fatto, quindi, che Ember abbia un ombrello sempre nascosto sotto il proprio vestito, che tenga in mano una brochure che dovrebbe bruciarsi a contatto col fuoco o che Wade possa indossare dei vestiti nonostante sia fatto interamente di acqua non ci infastidisce nemmeno per un momento, perché tutto fa parte di un mondo estraneo al nostro e riuscire a estraniarci a nostra volta è la più grande conquista e spinta che Elemental mette in piedi.

È chiaro che in questa costruzione bisogna scendere al compromesso di accettare ciò che ci viene mostrato e questo permette a Sohn di prendersi delle libertà che altrimenti non gli verrebbero concesse, fino ad arrivare al compimento della relazione sentimentale tra Ember e Wade, irrealizzabile, impossibile e per questo adatta alle esigenze Pixar. La loro vicenda è raccontata con tutti i crismi senza mai andare a esagerare o a sforare in qualcosa che possa sembrare troppo infantile o, allo stesso tempo, inadeguato per un pubblico giovane. Non ci saranno mai particolari picchi, né emotivi, né di improvvisi sentimentalismi: Sohn non ha mai spinto l’acceleratore su quello che poteva essere un momento topico, da ricordare, che potesse rimanere incastonato nella storia della produzione di Pixar.

Per questo possiamo parlare di un film semplice, che va all’obiettivo in maniera diretta, senza girarci troppo intorno e senza costruire un intreccio che necessiti di inaspettati colpi di scena. Anche perché, aggiungiamo questo aspetto, Elemental è spogliato del conflitto esterno e nel suo non avere un antagonista mette tutti i protagonisti sul medesimo piano, in balìa di quelle che sono le loro problematiche e preoccupazioni.

Sull’aspetto tecnico è ridondante anche solo soffermarsi a ripetere che l’eccellenza di Pixar è confermato: gli elementi si muovono in maniera antropomorfa all’interno di una città che non lascia spazio a sbavature. Il fuoco di Ember e l’acqua di Wade sono di una naturalità estrema e riescono a muoversi all’interno della città con una facilità che ci sorprende, ma nemmeno dovrebbe più, ben consci di ciò che Pixar sa realizzare.

Il tutto supportato da un buon doppiaggio in italiano, che nonostante si sia appoggiato a un buon numero di talent tra i protagonisti, a discapito di doppiatori professionisti, riesce a restituire un’ottima resa finale, a partire dall’interpretazione di Wade, su cui potevamo nutrire più dubbi. Tutti fugati, in ogni caso.

70
Elemental
Recensione di Mario Petillo

Elemental rappresenta un buon punto di ripartenza per Pixar: l'aver deciso di costruire un universo totalmente nuovo ha permesso alla narrazione di scollarsi problematiche e regole alle quali avrebbe dovuto sottostare perdendo la libertà che si è concesso Sohn. La stessa vicenda è raccontata in maniera leggiadra, senza esasperazioni: non ci regala mai un colpo di coda emozionale, ma riesce a mantenersi serena e stabile per l'intera durata del film. Ribadiamo di non essere dinanzi a un capolavoro, né a un film che rimarrà nella storia del firmamento dei migliori, ma allo stesso tempo di Elemental abbiamo poco di cui lamentarci, se non, appunto, la sua semplicità.

ME GUSTA
  • Tecnicamente sempre ad alti livelli
  • Una storia semplice, genuina, efficace
  • Numerosi spunti di riflessione
FAIL
  • Troppe tematiche in un solo film
  • L'intreccio è molto basilare