Final Fantasy XVI non è solo il nuovo capitolo della serie GDR più famosa del mondo dei videogiochi, ma rappresenta anche un punto fisso molto importante per il percorso di Square Enix e del brand creato da Sakaguchi. Dopo le valutazioni controverse che furono di Final Fantasy XV e un ciclone altalenante ancora in corso rappresentato dal remake di Final Fantasy VII, la società nipponica di Shinjuku ha voluto scommettere grosso per il nuovo titolo “numerato” affidandosi a un team inedito per quanto riguarda l’esperienza GDR single player: grazie ai notevoli successi ottenuti con Final Fantasy XIV Online, infatti, Naoki Yoshida si è guadagnato l’onore e l’onere di tracciare la nuova strada da percorrere e ha raccolto la sfida insieme ai principali collaboratori che hanno reso l’esperienza di FFXIV amata da milioni di fan fino a oggi, come Koji-Fox, Minagawa, Soken e Takahashi, tutti fautori della rinascita dell’MMO di Square Enix da A Realm Reborn in poi.
Come se la pressione non fosse già sufficiente, Yoshida e il game director Hiroshi Takai hanno deciso che Final Fantasy XVI sarebbe dovuto passare alla storia come il primo capitolo della serie dal battle system completamente action, affidandone la direzione a Ryota Suzuki, noto a tutto il mondo per aver realizzation Devil May Cry 5.
Nonostante questo background piuttosto vario, però, l’elemento fondamentale di un Final Fantasy rimane sempre, anche stavolta, la storia, sulla quale il team di sviluppo ha dichiarato di aver investito tanto. Per quel che ci riguarda, sentiamo di dire che ci hanno investito tutto.
Il mondo di Valisthea
Final Fantasy XVI narra le vicende del mondo di Valisthea, diviso nei due continenti di Ciclonia e Cineria (Storm and Ash, in inglese), seguendone gli avvenimenti attraverso il protagonista Clive Rosfield lungo tre momenti temporali diversi. Nel prologo, rilasciato come demo giocabile una settimana prima dell’uscita del gioco, si vive un flashback ambientato nell’860, quando Clive ha 15 anni e si sta addestrando per assolvere al suo ruolo di Scudo della Fenice, ovvero soldato protettore del fratello minore Joshua, Dominante della Fenice. Entrambi figli dell’arciduca di Rosaria, uno dei regni di Ciclonia, i due giovani vivono serenamente insieme all’amica Jill e al cucciolo Torgal, finchè la minaccia della Piaga non scompone i fragili equilibri politici di Valisthea e getta l’ombra della guerra sul loro futuro. In quanto Dominante, Joshua ha il potere di trasformarsi nell’Eikon della Fenice ed evocarne l’enorme potere sia combattivo che curativo, rappresentando un asset essenziale in caso di battaglia contro eserciti nemici; a loro volta, quasi ogni regno di Valisthea vanta tra le proprie fila un Dominante con il controllo su uno specifico Eikon ed è grazie alla funzione deterrente di queste forze devastanti che Valisthea è riuscita a mantenere un’illusione di pace fino a quel momento.
Se i Dominanti agiscono da deterrenti, tuttavia, l’incessare diffondersi della Piaga che sta prosciugando la forza vitale della terra in tutta Valisthea spinge i regnanti a voler fare propri i Cristalli Madre, cinque enormi rocce di etere cristalizzato che sovrastano i confini dei due continenti e vi diffondono il potere della magia, utilizzabile tramite piccoli cristalli o dai Portatori, esseri umani che nascono con il dono di incanalare e sfruttare l’etere.
L’avidità verso il potere dei Cristalli e l’istinto di sopravvivenza contro l’avanzare della Piaga danno il via alla serie di avvenimenti che ci riporta al “presente”, tredici anni dopo il prologo e con una Valisthea profondamente cambiata nel decennio passato. Qui, all’interno di una cornice ben più grande di lui, Clive inizia la propria avventura fatta di vendetta, rivalsa, scoperta ma anche liberazione.
Partendo da questa premessa, Final Fantasy XVI costruisce lungo tutta la sua trama uno dei mondi più completi, ampi, reali e ricchi che i videogiochi abbiano mai visto. Ogni missione, ogni secondaria, ogni dialogo, persino i nemici più banali riescono ad arricchire la lore della storia passata e presente di Valisthea, alle prese con culture, religioni, credenze, problematiche, tradizioni tutte diverse ma sempre coerenti, ben sviluppate e piene di significato. Per ogni secondo alla guida di Clive, dal prologo fino alla scena post credit, Final Fantasy XVI racconta l’enorme storia di Valisthea, dove il giovane protagonista vive la sua personalissima battaglia e si incrocia con quelle di ogni altro personaggio in un mondo vivo e vero. Personaggi che, soprattutto nel caso degli altri Dominanti, hanno una caratterizzazione persino superiore a quella di Clive e conquistano il giocatore grazie a design, doppiaggio e scrittura ammalianti e straripanti: Benedikta, Cid, Hugo e Dion, su tutti, entrano di diritto nell’Olimpo dei migliori personaggi di sempre dell’intera serie.
Il lavoro minuzioso e profondo svolto è impressionante e sorprendente, soprattutto se se ne considera il carattere: mai nella serie Square Enix e probabilmente nel mondo dei videogiochi si era vista una storia così matura, cruda, schietta, cinica, narrata senza fronzoli nè abbellimenti, senza risparmiare nessuno. Se per decenni si è pensato alla morte di Aerith in Final Fantasy VII come a un evento più unico che raro, Final Fantasy XVI ci mette appena qualche scena a lavare via con litri di sangue e lacrime le nostre pacifiche convinzioni.
Il paragone più simile e calzante è quello con Game of Thrones, dal quale il mondo di Valisthea prende più di qualche ispirazione.
Gli assetti politici, il carattere di alcuni regnanti, il background di diversi personaggi e persino alcuni avvenimenti chiave strizzano tutti e due gli occhi alla serie di George R.R. Martin, forse pure troppo, ma allo stesso tempo grazie al materiale di base di altissima qualità (come lo è indubbiamente Le cronache del ghiaccio e del fuoco), il “plagio” riesce ad avere un valore notevole.
Final Fantasy XVI costruisce uno dei mondi più completi, reali e ricchi che i videogiochi abbiano mai visto
La promessa è dunque mantenuta: in ogni intervista, in ogni dichiarazione e persino durante il press tour in cui abbiamo potuto incontrarlo di persona a Milano, Naoki Yoshida ha sempre ribadito che il loro focus principale è stata la storia, una trama che a differenza del predecessore si rivelasse completa, coinvolgente e soddisfacente per il giocatore. Se per il world building è indubbiamente così, le vicende di Clive soffrono di qualche momento meno funzionante degli altri e in particolare sul segmento finale la qualità si diluisce un po’ a causa principalmente di un antagonista non proprio eccelso, forse il neo più importante di un capitolo che avrebbe potuto consacrarsi come la storia più bella della serie. La trama però gode di tutte le attenzioni, come dichiarato, con una struttura delle missioni e delle mappe di gioco pensata per vivere al massimo la trama principale, grazie anche a un corridoio che unisce bene esplorazione limitata e il world building elogiato prima, punto più alto dell’intera produzione.
Ci vuole ritmo per sognare
Per i fan della serie arrivati a questo punto della lettura, Final Fantasy XVI potrebbe sembrare quel sogno finalmente realizzato, quel capitolo tanto atteso da decenni capace di tornare ad ammaliare il giocatore per ore e ore con la sua storia e il suo mondo.
Limitatamente a questi due punti è infatti così, se ci si vuole concentrare esclusivamente sulla storia principale e sul mondo di Valisthea questo capitolo rappresenta un piccolo gioiello e di sicuro può e deve segnare la strada per il futuro, per i suoi successori.
Non essendo un film o una serie TV, però, Final Fantasy XVI deve essere valutato anche per quegli aspetti che lo rendono “gioco” e ancor più specificatamente un capitolo di questa storica serie.
Tralasciando per un attimo il gameplay, l’aspetto che rispetto a quanto detto sinora stride di più è sicuramente quello del ritmo della narrazione e dei vari momenti del gioco.
Sembra quasi che la produzione di Final Fantasy XVI abbia due “mani” diverse: i momenti cruciali, le battaglie più importanti, gli eventi topici della storia hanno tutti una qualità altissima, una regia quasi sempre ad alto ritmo, un coinvolgimento crescente e cercano anche di portare qualcosa di speciale nel gameplay; non sono certo esenti da difetti, ma sono il motivo per il quale la storia di Final Fantasy XVI merita di essere giocata.
Tutto ciò che sta in mezzo, invece, soffre di un ritmo che definire pessimo sarebbe gentile, con costanti interruzioni, centinaia di cutscenes perlopiù lente e inutili, milioni di dissolvenze sul nero, missioni inutili una dopo l’altra: è frustrante, si tratta di un suicidio intellettuale perpetrato a suon di continui rimandi da un personaggio all’altro per consegnare una lettera o dei fiori o delle mele, senza nemmeno la possibilità di correre velocemente, senza un reale valore nella costruzione della trama, senza alcuna correlazione con altri aspetti del gameplay.
Tra l’adrenalina che caratterizza due momenti cruciali nella storia si interpone il sonnorifero letale di ore e ore passate a fare e rifare le stesse inutili passeggiate mascherate da missioni, apparentemente solo per poter diluire la durata totale della campagna principale (circa 40-45 ore) che, tra l’altro, non ne sentiva assolutamente il bisogno. Le sezioni più importanti citate sopra avrebbero collezionato un discreto numero di ore già da sole, per questo non ci si spiega la scellerata forzatura di decine e decine di missioni “riempitive” che, se rimosse, avrebbero solo reso più fluida e coinvolgente l’esperienza di gioco.
Che si tratti di scenario principale o di missioni secondarie, Final Fantasy XVI fonda tutta la propria struttura di gioco su un costante ripetersi del ciclo cutscene-cammina-cutscene-combattimento-cutscene, con minime variazioni, intervallato dai già citati “momenti cruciali” della main quest. Un ciclo reso ancora più faticoso dal fatto che le cutscene sono piuttosto vecchio stile, con una regia scolastica fatta da primi piani alternati di chi sta parlando, inquadratura che dall’alto si abbassa sugli interlocutori, dissolvenze sul nero, dissolvenze dal nero e scene dove i personaggi gesticolano in silenzio per far capire che stanno raccontando una serie di vicende a qualcun altro.
Ci sono numerosi casi dove addirittura, finita una cutscene, si fanno tre passi per vederne partire un’altra, sempre con un cambio di inquadratura che strappa brutalmente il controllo al giocatore, distruggendo qualunque tentativo di immersività e impersonificazione.
Non c’è dubbio che una storia così articolata abbia bisogno di tante cutscene per poter trasmettere le giuste emozioni al giocatore, ma la frequenza con cui la continuità di gioco viene interrotta è ai limiti del sopportabile e spesso sarebbe bastato andare in continuità di inquadratura (per intenderci, come si vede spesso nei più recenti God of War) per facilitare la transizione.
Basta poco a rendersene conto: si tratta di una struttura che richiama a gran voce quella da MMO di Final Fantasy XIV, già palese per altri dettagli tra cui la gestione delle quest e le fastidiose schermate di riepilogo a fine di ogni missione o battaglia. Non c’è da rimanere sorpresi, visto il background del team di sviluppo, ma adattarsi al ritmo di un titolo single player era uno degli obblighi principali per Yoshida, Takai e compagni e non averlo rispettato costa a Final Fantasy XVI il suo difetto più grande: un ritmo pessimo come nemico principale al valore finale di un gioco che, pur avendo una storia, un mondo e dei personaggi eccellenti, non riesce a ingranare le marce giuste e finisce per incagliarsi troppo spesso lungo il percorso.
La forza degli Eikon
Divisa tra critiche che ci si poteva aspettare e un coraggioso sguardo al futuro che sfida la tradizione, la sceltà più audace che la Creative Business Unit III ha deciso di mettere in campo è stata quella di rendere Final Fantasy XVI un GDR puramente action.
Abbandonati completamente turni, barre ATB e gambit, il battle system del gioco chiede al giocatore di tenere ben saldo il controller tra le mani e dare sfogo alle proprie dita nell’utilizzare combinazioni di tasti rapide e articolate.
Il coinvolgimento di Suzuki come combat director lasciava presagire qualcosa di simile a Devil May Cry, ma in realtà per quanto vi si ispira FFXVI rimane con i piedi per terra e fa di tutto per rendersi accessibile sia ai fan storici che alle nuove generazioni di giocatori, a detta di Yoshida interessate a un’azione più rapida e frenetica.
Il gioco, pensato per essere giocato in modalità Azione, consiste principalmente di tre tipologie di nemici: minions, mid boss e boss, con gli ultimi due dotati oltre che della salute di una barra della volontà che è possibile azzerrare per mandarli temporaneamente in stato “Vacillamento”, durante il quale scaricargli addosso di tutto per fare quanti più danni possibile.
Superate le prime ore di gioco, Clive si ritrova a disposizione le mosse base (attacco, affondo, salto, schivata e poco altro) insieme ai talenti e alle abilità Eikon, ovvero tecniche speciali che è possibile usare in rotazione e che si ricaricano col passare dei secondi, alcune specializzate nel fare danni, altre nel ridurre la volontà, altre ancora nel conferire capacità speciali.
Ogni Eikon possiede un talento e quattro abilità. Il talento è la caratteristica unica e può essere usata a ripetizione equipaggiando l’Eikon: per la Fenice ad esempio è una rapida traslazione verso il nemico, mentre Garuda materializza un artiglio che attira a sè un nemico distante, e così via; le abilità sono tecniche da equipaggiare (due per ogni Eikon) e usare con ricarica a tempo, più o meno lunga a seconda della tecnica. Ogni abilità può essere usata solo dal suo Eikon, a meno che non la si potenzi fino a padroneggiarla, mentre si possono equipaggiare fino a tre Eikon, per un totale di sei abilità.
Presto detto, la chiave del combat system di Final Fantasy XVI è trovare la propria rotazione, il giusto susseguirsi delle abilità equipaggiate che riesca a massimizzare l’efficacia in combattimento nel ciclo tra una ricarica e l’altra: alcune abilità degli Eikon sono decisamente più potenti delle altre ma hanno tempi di ricarica notevoli, quindi equipaggiarne sei tra quelle potrà assicurare un inizio di battaglia con i fuochi d’artificio, ma rischia di lasciare Clive a secco per troppo tempo. Un ulteriore elemento da aggiungere alla rotazione è la Trascendenza, ovvero una barra aggiuntiva che si attiva quando carica e fa trasformare Clive in semi-Prime, potenziandone e velocizzandone gli attacchi.
Tentennante all’inizio, nella fase finale del gioco il combat system riesce finalmente a trovare la sua dimensione e a esprimersi pienamente: con tutti gli Eikon a disposizione e le loro abilità apprese, la Trascendenza potenziata e la necessaria dimestichezza, i combattimenti possono finalmente raggiungere un livello di spettacolarità e varietà soddisfacente che coinvolge e diverte, pur non diventando mai tecnici come alcuni potevano aspettarsi.
La chiave del combat system è trovare la propria rotazione di abilità.
A questo punto la valutazione è soggettiva: chi non ricerca l’azione e la sfida in un Final Fantasy può tranquillamente godersi il gioco grazie a una complessità bilanciata e agli accessori da equipaggiare per ricevere alcune assistenze come auto-pozioni o schivate facilitate/automatiche; i fan degli action invece possono concentrarsi sul finire l’avventura una prima volta così da poter andare in New Game+ nella modalità Final Fantasy e affrontare il gioco a un livello di sfida maggiore contando su tutto l’equipaggiamento e le abilità sbloccate alla prima run. I puristi alla ricerca di un’esperienza alla Devil May Cry, tuttavia, dovrebbero guardare altrove, perchè neanche le sfide Arcade, nemici più potenti e mid-boss più numerosi riescono a cambiare il fatto che sperimentare diverse combinazioni di abilità è l’unico elemento di varietà in un combat system dove tutti gli esemplari delle tre tipologie di nemici si affrontano alla stessa maniera, dall’inizio alla fine del gioco. In questo forse la modalità Final Fantasy aggiunge un ulteriore problema, rendendo persino i mid-boss dei nemici spugna dove l’unica differenza dalla loro versione standard è una montagna di salute in più, che costringe anche i combattimenti più banali a ripetere lo stesso ciclo per diversi minuti, per non parlare poi dell’imbarazzante riciclo costante di boss e mid-boss, ripresentati in posti e colori diversi ma sempre con lo stesso set di attacchi.
Un capitolo a parte meritano le battaglie con gli Eikon e con i boss più importanti, che fanno parte di quei momenti topici della trama principale di cui abbiamo già parlato. Ognuno di questi, oltre a essere sostanzioso e articolato, riesce a essere unico nelle meccaniche: non tutto è perfetto, ma le battaglie tra Eikon sono tutte diverse e ognuna rappresenta un pezzo importante del valore di questo gioco, sia per gameplay che per epicità e qualità visiva.
Si tratta di spezzoni visibilmente più curati nelle animazioni, nel ritmo, nelle musiche, nella regia; è quella “mano” diversa citata sopra, come se ad aver lavorato a queste parti ci sia stato un altro team, il cui unico difetto è non aver realizzato con la stessa qualità tutto il resto.
Un action “non” GDR
Da un action GDR ci si aspetta un po’ che la parte action non sia super tecnica ai livelli di un titolo puro del genere, ma di sicuro sorprende la povertà della parte ruolistica in Final Fantasy XVI.
Clive è praticamente l’unico personaggio giocabile, può equipaggiare un’arma, una cintura e un bracciale, più tre accessori. Esiste un solo tipo di arma (classico spadone a una mano) e tutta la parte di crafting si limita a realizzare versioni migliori di ogni pezzo d’equipaggiamento man mano che si avanza con la storia. La spada influisce sul parametro Attacco, mentre cintura e bracciale su PV e Difesa; i parametri aumentano salendo di livello, ma con una progressione che rende inutile e impossibile il farming (più nel bene che nel male). Fine.
Il giocatore non ha alcuna scelta: le spade hanno tutte valori identici nell’Attacco e nel Vacillamento, l’Attacco racchiude in sè qualunque tipologia di danno (fisico e magico), non si può influire sulla velocità o altri parametri. Un level up quasi automatico che serve a poco e non aggiunge nulla all’esperienza, mentre gli accessori sono quasi tutti votati a ridurre il tempo di caricamento delle abilità Eikon.
Le missioni secondarie sono, come già detto, tutte uguali e consistono nell’andare a destinazione, cutscene, combattimento, torna al punto di partenza, fine missione; pochissime hanno un reale bottino (qualche potenziamento alla borsa delle pozioni e poco più) e solo quelle finali hanno una struttura leggermente più articolata.
Final Fantasy XVI è dichiaratamente un gioco non open world ma esistono comunque delle aree della mappa esplorabili più liberamente, seppur nessuna nasconda alcun segreto o dungeon extra, ma al massimo qualche boss relativo alla bacheca delle cacce. Non ci sono enigmi e gli unici “misteri” sono delle steli che danno accesso a delle prove da superare con abilità Eikon limitate.
Per una serie che si è sempre contraddistinta per il suo animo GDR, per la profondità del suo gameplay, per la varietà introdotta dai Job e per sistemi complessi e profondi come le Materia, i Junction o la Sferografia, Final Fantasy XVI è decisamente un titolo fuori dal coro. Sorprende in particolare la mancanza di alcuni aspetti che sembravano naturali già dalle prime prove e video rilasciati, come la possibilità di decidere se concentrarsi su Attacco o Vacillamento, e tanto altro che non citiamo per evitare spoiler, ma si percepisce tanto come manchi quel qualcosa che in un Final Fantasy, o quantomeno in un GDR, ci si aspetta di trovare.
Considerazioni tecniche
In quanto esclusiva PlayStation 5, Final Fantasy XVI riesce a tirare fuori una qualità tecnica degna della nuova generazione di console e di una produzione di questo livello.
Le impostazioni vantano due modalità grafiche, scambiabili in qualunque momento dal menù: Framerate, che aumenta la resa e la fluidità durante l’azione ma si rende vittima di vistosi cali di framerate durante molte cutscene, e Grafica, che alza la qualità visiva a livelli eccellenti ma rende un po’ più difficile eseguire col giusto tempismo schivate e parate nei combattimenti più frenetici.
Qualunque modalità si scelga, FFXVI rimane visivamente uno spettacolo per gli occhi: gli ambienti, il design dei personaggi più importanti, gli effetti visivi, la resa degli elementi come fuoco e ghiaccio, l’illuminazione, sono solo alcuni degli elementi capaci di conquistare lo sguardo e il cuore dei giocatori, soprattutto in modalità Grafica. Stonano solo i modelli dei personaggi “riempitivi”, come gli abitanti dei villaggi, troppo approssimativi, ma la colpa è soprattutto della spettacolarità del motion capture e del design dei protagonisti: Clive e gli altri Dominant eccellono particolarmente nelle espressioni facciali, ai quali si aggiunge un doppiaggio inglese praticamente perfetto.
Il gioco è stato scritto in Giappone e in Inglese e poi tradotto nelle altre lingue, ma il motion capture ha registrato il lip sync sul doppiaggio anglosassone e questo rende l’Inglese il linguaggio migliore con cui affrontare il gioco, come suggerito da Yoshida stesso.
Impossibile controbattere, d’altronde, visto che la resa delle voci e la qualità della scrittura sono eccezionali, tuttavia per la prima volta in assoluto Final Fantasy viene anche doppiato in Italiano e questo farà felici tantissimi fan che chiedevano a gran voce un maggior riconoscimento della user base nostrana. Tra le due lingue continuiamo a suggerire l’Inglese, ma le voci italiane di Clive (Alessandro Capra), Benedikta (Katia Sorrentino), Cid (Alberto Angrisano) e Hugo (Francesco Rizzi) meritano assolutamente una menzione.
Infine, se c’è qualcosa che rende un Final Fantasy tale e che affonda le sue radici nelle origini della serie è la sua colonna sonora. Resa leggendaria dal maestro Nobuo Uematsu, la musica di Final Fantasy va oltre il valore di una semplice OST e rappresenta un elemento imprescindibile per rendere epico quel titolo. Già protagonista con Final Fantasy XIV, Masayoshi Soken firma le musiche di questo nuovo capitolo col suo stile epico e pomposo apprezzabile in Find the Flame, tema principale del gioco ripetuto e arrangiato in molteplici versioni in quasi ogni scena della storia. Manca forse un po’ di carattere alle altre tracce, in particolare quelle ambientali, e l’uso dello stesso tema a tratti è un po’ eccessivo, ma quantomeno nei momenti cruciali c’è un uso combinato di musica e regia visiva che innalza il livello artistico e rende quelle fasi davvero epiche.
La strada giusta
Final Fantasy XVI è lontano dall’essere un gioco perfetto e fatica persino ad essere un ottimo GDR, con notevoli mancanze in diversi aspetti dell’esperienza giocata. L’inesistente libertà di personalizzazione, la mancanza totale dell’esplorazione e di segreti da scoprire, un sistema di crescita poco sensato e una struttura di missioni principali e secondarie troppo scarna e ripetitiva ne limitano fortemente le ambizioni, ma nonostante ciò l’enorme lavoro di world building e la trama sembrano aver ripreso finalmente a percorrere la strada giusta, quella che ha reso la serie un successo planetario amato da milioni di giocatori.
Contestualizzando il recente passato di Square Enix è facile ricordare che il problema principale di Final Fantasy XV era stato proprio la sua trama incompleta, frammentata e incongruente e in questo Final Fantasy XVI recupera ed eccelle egregiamente, raccontando una delle storie più belle dell’intera serie e facendolo con quella maturità e schiettezza che la rendono ancora più profonda e vera.
Valisthea è un mondo vivo, tutto da scoprire, con i suoi alti e bassi, le sue gioie e i suoi dolori e quello di Clive è un viaggio pieno di interruzioni e rallentamenti che ne spezzano la fluidità, ma è comunque un storia bellissima che merita di essere svelata.
La speranza è che Square Enix e la CBUIII ripartano esattamente da questa profondità e qualità della storia per costruire un capitolo futuro che riesca a riportare Final Fantasy in cima all’innovazione del gameplay del genere, ricordandosi di dare al giocatore quella possibilità di personalizzazione e quel brivido che solo l’esplorazione e la scoperta dei segreti tipici della serie riuscivano a dare, accompagnati da missioni e attività secondarie varie e coinvolgenti; e chissà, magari un nuovo minigioco che possa rivaleggiare con il Triple Triad e il Blitzball, come ai vecchi tempi.
- Un mondo vasto, vero, vivo, stupendo
- Trama solida, profonda e matura
- Alcune scene raggiungono alti livelli di epicità
- Personaggi di grande caratura
- Ritmo spezzato e troppo lento
- Elementi GDR ridotti al minimo
- Troppo ripetitivo
- Qualità generale altalenante