Giovedì il leader di Azione, Carlo Calenda, ha presentato una proposta di legge per vietare i social ai minori di 13 anni. Oggi la stragrande maggioranza delle piattaforme social impediscono già agli infratredicenni di creare un account, anche se in alcuni casi è possibile con l’autorizzazione dei genitori. La proposta di Calenda prevede che lo Stato si inserisca nel processo di creazione degli account, fornendo in questo modo uno strumento per assicurare che gli utenti dichiarino effettivamente la loro reale età.
Nella premesse al DDL, si leggono alcune considerazioni generali sull’uso dei social tra gli adolescenti e i ragazzini e su come questo possa creare fenomeni di dipendenza, esposizione al cyberbullismo e a maggiori rischi di depressione. Calenda dice di essere consapevole che le leggi attuali prevedono già che il minore debba avere compiuto almeno 14 anni per iscriversi a social come Instagram e TikTok, aggiungendo però che attualmente non esiste nessuna strategia per implementare questa regola con successo, assicurandone l’efficacia.
La proposta prevede anche che i minorenni con un’età inferiore ai 15 anni possano iscriversi ai social network esclusivamente con un’autorizzazione dei loro genitori, in modo simile a quanto proposto da alcune recenti proposte presentate in diversi Stati degli USA. La proposta innalzerebbe anche l’età minima per esprimere il consenso al trattamento dei propri dati, che passerebbe dai 14 ai 15 anni.
Da qui l’idea di richiedere che, alla creazione di un nuovo account, l’utente fornisca la sua identità reale usando una piattaforma di identità digitale, come lo SPID o simili. La proposta prevede che i dati sulla realtà identità dell’utente non vengano trasmessi al social network. Insomma, la piattaforma dello stato si limiterebbe a certificare che l’utente abbia i requisiti anagrafici e a fornire ad aziende come Meta o Twitter questa informazione. Non è invece chiaro se, in questo modo, le autorità registrerebbero comunque la richiesta, associando in questo modo in modo inequivocabile ogni account ad un’identità reale.
Ancora meno chiara è la lista delle piattaforme o dei siti a cui si applicherebbe questa regola: che si voglia limitare l’accesso a social come Instagram è pacifico, ma cosa ne sarà delle app di messaggistica come WhatsApp, che pure vengono spesso usate dagli stessi ragazzini di prima o seconda media per rendersi reperibili, senza i costi di un SMS, ai genitori?