C’è un nuovo clone di Twitter in città. Si chiama Bluesky, in Italia non se lo sta filando nessuno, mentre negli USA ne stanno parlando molto bene. E con “ne”, intendo i tanti siti che si sono fatti venire a noia Elon Musk e non vedono l’ora che qualcuno gli faccia le scarpe. Capire i confini tra realtà e wishful thinking è al solito piuttosto complesso, sta di fatto che solamente un anno fa gli stessi siti e gli stessi giornalisti parlavano con toni trionfali di un altro social molto simile: Mastodon, che come BlueSky è decentralizzato e sempre come BlueSky si era ritagliato il ruolo di “Twitter killer”. È andata a finire che qualche mese dopo, finita la sbornia iniziale, Mastodon ha perso il suo slancio e ora ha molti meno utenti di prima. Twitter rimane ancora al suo posto.
Chi ha fondato BlueSky, come funziona e cosa significa che è “decentralizzato”
BlueSky oggi è ancora un “social nano”, nel senso che ha celebrato da poco il traguardo dei 50mila iscritti. Numeri trascurabili, non fosse che l’app è in fase di closed beta ed è possibile creare un account solo dopo aver ricevuto un invito. Una formula resa popolare da Clubhouse e replicata da un grandissimo numero di piattaforme nate nel corso degli ultimi tre anni. Non ci dilunghiamo troppo sui vantaggi di questo modello – banalmente perché lo abbiamo fatto più volte in altri articoli -, ma, riassumendo, ci limitiamo a dire che: 1) così facendo crei una pletora di utenti che vorrebbero tantissimo testare il tuo social ma che rimangono fuori, creando un alone di anticipazione e mistero — a livello di marketing funziona; 2) se hai poche risorse, come è ovvio che sia agli inizi, limitare artificialmente la base utenti ti consente di mantenere le cose sotto controllo ed intervenire proattivamente in modo da evitare che incidenti di moderazione, bug e tutte le disavventure che possono capitare (e capitano) su un social assumano rapidamente le proporzioni di una catastrofe.
Dietro a Bluesky c’è Jack Dorsey, che è stato il co-fondatore e storico CEO di Twitter (dal 2006 al 2008; e poi di nuovo dal 2015 al 2021). Ultimamente Dorsey è impallinato di criptovalute e Web 3.0, e, infatti, anche Bluesky riprende in qualche maniera la filosofia di alcune criptovalute. È un social network decentralizzato, il che significa che i dati degli utenti non sono ospitati all’interno di un unico server centrale e che il protocollo, che si chiama AT Protocol, può essere usato liberamente da un numero infinito di social indipendenti e distinti, che in gergo vengono chiamati “applicazioni”. Significa anche che nessuno può realmente controllare Blusky, né venderlo, né imporre le sue regole a tutti gli altri utenti. Esiste, comunque, un’applicazione centrale (quella principale, in un certo senso) che si chiama Blusky Social. I post pubblicati dagli utenti si chiamano “skeets” e, per il resto, il protocollo AT offre la possibilità di creare piattaforme di micro-blogging, cioè qualcosa di in tutto e per tutto simile al Twitter delle origini. La differenza più grande? Gli skeets hanno una lunghezza massima di 500 caratteri, più del doppio dei tweet (a meno di non essere abbonati a Twitter Blue).
Il protocollo di BlueSky offre una forte interoperabilità. Insomma, in maniera simile a Mastodon, i server di ciascun sotto-social non sono delle monadi separate dal resto del mondo, ma possono interagire con gli altri server. Questo significa che gli utenti che si iscrivono ad una certa applicazione sono liberi di importare i loro dati anche su altre applicazioni ed interagire con gli utenti di quest’ultime. Un domani dovrebbe anche offrire la possibilità di cross-posting, cioè la possibilità di postare in simultanea un post su più piattaforme diverse che comunicano tra di loro. Il codice è open-source e gli sviluppatori sono incoraggiati a migliorare il servizio, creare client indipendenti, bot e via dicendo.
E la moderazione dei contenuti?
Come per tutti i social decentralizzati, il tema della moderazione rimane un’incognita. Siamo sicuri che BlueSky Social avrà regole di moderazioni simili a quelle degli altri social mainstream, mentre con Mastodon avevamo notato che numerose community indipendenti (che Mastodon non chiama applicazioni, ma istanze) avevano regole di moderazione addirittura più ferree e meno tolleranti di quelle di social come Facebook o Reddit. Ad ogni modo, in teoria nulla vieta (almeno per ora) ad un’organizzazione neonazista di creare un’applicazione usando l’AT Protocol e consentire ogni forma di hate speech. Su Mastodon il problema deve venire risolto manualmente dagli utenti: nel senso che in rete girano diverse liste nere di istanze che è suggerito bloccare, perché sono note per la natura controversa, razzista o transomofobica dei commenti postati di norma dagli utenti. Immaginiamo che Bluesky funzionerà in modo simile.
Se avete familiarità con Twitter, Bluesky non dovrebbe essere un’esperienza straniante: gli utenti possono pubblicare post testuali e foto, possono condividere e mettere like ai post degli altri utenti. Come su Twitter, gli account di ogni utente hanno un’immagine profilo, un’immagine di copertina, una biografia e il numero di follower e account seguiti. Il social ha già attirato alcune celebrity, tra cui la deputata statunitense di sinistra radicale Alexandria Ocasio Cortex e il regista James Gunn. L’app è già disponibile sia su App Store che su Play Store e, in attesa di ricevere un invito, si può fare richiesta di essere inseriti nella lista d’attesa cliccando qui.
L’invasione dei cloni di Twitter
Riusciamo perfettamente a capire il fascino di Bluesky e da quel (poco, dato che è in closed beta) che abbiamo visto, ci sembra che abbia qualche asso nella manica, a partire dalla sua estrema semplicità. È davvero una copia carbone di Twitter, con l’aggiunta del fascino della decentralizzazione (che può piacere, come no). Il problema è che è l’ennesimo progetto che si è dato l’obiettivo di detronizzare Twitter. Mastodon lo abbiamo già citato. Poi però c’è anche Truth Social, un altro clone di Twitter ma di proprietà di Trump. E quindi Post, Hive, Spill e perfino Notes, l’ultima iniziativa di Substack. Sono tutte piattaforme di micro-blogging molto simili, che si contendono a loro volta un pubblico simile e, aggiungiamo, circoscritto: una platea di persone non particolarmente soddisfatte di Twitter e curiose per tutto ciò che è geek, desiderose, dunque, di provare le novità del momento (se è esclusiva, di nicchia e dunque molto hipster… tanto meglio).
Il problema è che nessuna persona ha materialmente il tempo (per non parlare della voglia) di seguire attivamente tutti questi social network. Il tempo, e ancora di più l’attenzione, delle persone è un bene scarsissimo e ormai una mezza dozzina di progetti diversi, tutti ambiziosissimi, competono per conquistarlo, rubandosi utenti a vicenda. Ci verrebbe da dire: ne rimarrà solo uno. Ma siamo abbastanza sicuri che, quell’uno, sarà proprio Twitter e che tra uno o due anni da oggi non sarà cambiato proprio nulla.