Il sol dell’avvenire, la recensione: Tutto è uno, tutti è uno

II Sol dell'avvenire

Se in giovinezza e in maturità artistica le doti che “fanno” un autore possono essere la creatività, l’innovazione, l’arroganza e un po’ di sana insofferenza per poi passare al consolidamento, alla cura sociale e della propria posizione politica fino alla ricerca della spiritualità, tutto cambia quando si entra nella terza fase, quella “ultima”. Qui subentra, prima di tutto, la consapevolezza, la capacità di fare i conti con noi stessi, di guardarsi allo specchio. Ma guai ad azzardarsi a definire il film di cui stiamo per parlare come “film testamento”, parola del regista. Una cosa che Nanni Moretti (il regista) sta provando a fare già da tempo (mica è una cosa facile: trovare la giusta prospettiva per vedersi senza prendersi in giro). Anche i film definiti da tanti “anomali”, “atipici”, “alieni” più recenti, come Mia Madre e Tre Piani, regalavano questi tentativi, anche impauriti, quindi o anestetizzati o violenti nei due estremi sensi, ma comunque mai centrati. Forse. Tra l’altro dall’ultimo film citato il nostro recupera anche la struttura a tre, ma impiegata in modo differente.

Nella recensione de Il sol dell’avvenire, dal 20 aprile 2023 nelle sale italiane con 01 Distribution e in concorso alla 76esima edizione del Festival del Cinema di Cannes, allora parliamo di un film di un grande autore che riflette su stesso? Sul suo cinema? Sui suoi vizi, i suoi umori, i suoi limiti, le sue contraddizioni, le sue nevrosi? Che si ricorda, si cita, si omaggia e si critica? Che ripensa alla sua vita e a ciò che oggi lo fa vivere?

Si, è così, ma essendo Moretti un genio (uno che va in concorso a Cannes a 25 anni, ben 45 edizioni fa, è un genio e basta), è anche di più.

Qui subentra, prima di tutto, la consapevolezza, fare i conti con noi stessi, guardarsi allo specchio.

Il sol dell’avvenire è un film che parte da un ritorno ad un punto di vista unico, fuori dal tempo perché il tempo lo ha attraversato, se l’è fatto amico, e che quindi può permettersi di osservare il contemporaneo, l’industria, lo spettatore e, insieme, se stesso, in modo onestamente (e anche volutamente) fazioso. Per forza, parliamo sempre di Moretti, non procedere in questo modo significherebbe mancare di rispetto a se stesso, soprattutto, ma anche a chi lo guarda e al suo cinema.  E questo è un film sul sul suo cinema. Piuttosto che fare una cosa del genere, il fu Apicella preferirebbe bloccare un set per 8 ore di fila.

Questa sua tendenza la ritroviamo nella voglia di circondarsi dei suoi volti, in primis Margherita Buy e Silvio Orlando, delle sue copertine, le sue piscine, le sue canzoni, i suoi film, i suoi nomi e via dicendo, ma, soprattutto, da quella di recuperare il suo linguaggio, che sta nella struttura composita, quasi episodica, accordata secondo il tipico spirito iper, meta, fantatestuale, quello che gli che permette al film di suonare secondo quella melodia irresistibile. Così spietatamente divertita, nichilista, caustica e dolce. Consapevole.

Poi però c’è il dopo, l’oltre, il passo avanti dopo aver preso la rincorsa. La marcia che il titolo richiama.

Ma che film sta facendo Giovanni?

Giovanni (Nanni) fa un film ogni 5 anni (“Ma mica va bene che faccio un film ogni 5 anni!”) e questa volta ha fatto un film “sovversivo”, così lo definisce Pierre (Mathieu Amalric), il produttore francese che rischia di far perdere il lavoro allo scenografo, ma anche un film d’amore, come lo definisce la sua indisciplinata protagonista (Barbora Bobulova), interprete di Vera. Ma qual è la verità? Che film sta facendo Giovanni? Secondo lui? Secondo voi?

Da una parte il racconto di un fatto storico, un trauma, un cortocircuito ideologico, scissione tra atto e fede.  Un racconto di un tradimento politico, che ha cambiato una storia d’amore, che ha segnato la sua fine.

Allora magari quello di Giovanni è il film sulla fine di una storia d’amore, ecco perché non vuole che Ennio (Orlando) e la sua dirimpettaia di Partito condividano anche la ben che minima effusione di affetto, figurarsi un qualcosa che lasci presagire un sentimento più profondo.

Nanni Moretti

Un racconto di un tradimento politico, che ha cambiato una storia d’amore, che ha segnato la sua fine.

Una storia d’amore, come quella fuori, ma, allo stesso tempo, sullo schermo, tra il regista e la sua Paola (Buy), finita anche quella, almeno secondo la donna, che però non trova il coraggio di dirlo al marito. Dirlo a voce, nei fatti lo ha già fatto, visto che sta producendo, per la prima volta, una pellicola diretta da qualcun altro. Una pellicola che è quanto di più lontano dalla ricerca estetica e dalla sensibilità cinematografica del suo lui. Lui che è così faticoso.

40 anni e più di 10 film insieme, 13 per l’esattezza, più 1, questo. Moretti che parla al suo pubblico, un’altra storia d’amore, potente, ma fragilissima. Al punto che può bastare anche una singola scena brutta per farla terminare, definitivamente.

E allora perché farla una scena brutta? Le scene brutte non servono a niente.

Chi ha detto che la Storia non si possa fare con i “se”?

Una canzone, un film, possono veramente fare la differenza, possono veramente cambiar la vita, possono veramente fare la Storia.

Secondo Moretti, ma anche secondo chi ama il cinema, questa è una cosa possibile, al di là di ogni tipo di retorica e semplificazione. Per loro (noi? Voi?) è un dato di fatto, ma perché il cinema è anche vita, è anche Storia. Realtà e finzione sono due concetti che alla fine diventano talmente sovrapponibili da superare anche la relazione indissolubile che li vede come due facce della stessa medaglia. Sono, di fatto, la medesima cosa.

Il Sol dell'avvenire

Una canzone, un film, possono veramente fare la differenza, possono veramente cambiar la vita, possono veramente fare la Storia.

Il superamento di ogni nostra idiosincrasia si ottiene con la loro accettazione, che è poi l’accettazione di noi stessi. Non per quietarci, per addormentarci, per arrivare ad una pace che sa di bandiera bianca, ma per rinnovarsi, per ricominciare a cambiare, per dare forza al “se”. Non “se fosse andata così o se avessi fatto questo”, ma “se facessi questo, se la facessi andare così”? Lo posso immaginare, allora lo posso fare. Lo posso fare oggi. Oggi posso attuare un “se”. Anzi, meglio, oggi posso continuare a farlo, dato che il nostro questo ha sempre rincorso, anche nei suoi lamenti leopardiani, a volte vuoti a perdere, ma mai pavidi.

Moretti non si nasconde dalla significatività del titolo scelto per il suo film e si fa egli stesso “Il sol dell’avvenire che irradia il futuro socialista” e, sfruttando il potere del cinema gioca con l’utopia, decidendo di ritrovarsi, ricomporsi e invitando tutti noi a farlo. Lo fa dopo aver riletto la sua storia d’amore, che è la sua Storia esistenziale e che, quindi, è anche la Storia del suo Paese, attraverso il suo pensiero politico, che è a sua volta parte integrante della sua idea cinematografica. Come e più dei suoi feticismi musicali, dei suo archetipi immaginifici, riproposti o rinnovati  e i suoi rituali. Si guarda alla giusta prospettiva, impegnato ancora, tra le sue mille sfaccettature, a camminare. A camminare, a camminare, a camminare, a camminare

Il sol dell’avvenire è nelle sale dal 20 aprile 2023 con 01 Distribution.

80
Il sol dell'avvenire
Recensione di Jacopo Fioretti Raponi

Il sol dell'avvenire è la nuova, bellissima, pellicola di Nanni Moretti, in concorso a Cannes76 e con protagonisti, oltre al regista, Margherita Buy, Silvio Orlando, Mathieu Amalric e Barbora Bobulova. Una pellicola in cui un grande autore cinematografico rilegge la sua storia, intrecciandola con la Storia del suo cinema, del suo Paese, del suo pensiero politico. Tutto è uno. E quindi fa un film d'amore, sulla ribellione alla fine di un amore. Una parata di immagini morettiane, declinate secondo il pensiero di chi vuole trovare la giusta prospettiva per rivedere se stesso e quindi anche il contemporaneo con cui ora si ritrovare a fare i conti e poi ricominciare a camminare. Tutti insieme, tutto insieme.

ME GUSTA
  • Una parata di musiche, immagini, volti, rituali, nevrosi, del cinema morettiano.
  • La grande capacità di rileggersi, riguardarsi e riaffrontarsi, con severa sincerità.
  • Un trattato morettiano sull'identificazione tra cinema e vita.
  • La voglia di rinnovarsi, di ricominciare e di camminare.
FAIL
  • Che vi dobbiamo dire? Che non è adatto a chi non ama il cinema di Nanni Moretti? Non è adatto a chi non ama il cinema di Nanni Moretti.
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