Cocainorso, la recensione: l’orso nero è il più pacifico tra i suoi simili

Cocainorso

L’America è quel Paese meraviglioso dove un orso che muore per overdose di cocaina perché un narcotrafficante è stato costretto a buttare gran parte del carico da un aereo per motivi di peso e poi è morto nel tentativo di buttarsi anch’esso con la merce (e già questo basterebbe), viene imbalsamato e poi esposto in un’ala di un museo del Kentucky. Ovviamente dopo essere stato ribattezzato con un nome che possa sintetizzare la sua vita e di certo non trasformarlo in un fenomeno da baraccone. Un nome tipo Cocainebear. Ora, essendo l’America un Paese meraviglioso, appena la storia è divenuta di dominio pubblico, non c’è voluto in realtà molto prima che divenisse una vera e propria leggenda metropolitana, una di quelle cose di costume, parte della cultura popolare, dove ci si ricama e ci si ricama fino ad ampliarne il senso, i fatti e i retroscena a dismisura. Mancava, effettivamente solo il film.

E questo ci porta alla recensione di Cocainorso, dal 20 aprile al cinema con Universal Pictures, ovvero quel film, la cui idea alla basa è nata addirittura nel 2019 (America, sveglia, ma che ci combini?) e voci di corridoio suggeriscono che è stata la grande spinta social oltreoceano a far sopravvivere il progetto per circa un anno e mezzo, con il covid tra i piedi e la difficoltà nel trovare un /una regista che se lo accollasse (termine tecnico).

Alla fine, l’annuncio dell’inizio della produzione della pellicola è arrivato a marzo di due anni fa con Elizabeth Banks dietro la macchina da presa e, tra i produttori, la guida illuminata di Philip Lord Christopher Robert Miller, da subito vicini alla prospettiva di una storia per lo schermo tratta dalla vicenda. Il cast è stato poi comunicato più avanti, rivelando un ensemble di eccezione composto da Keri Russell, Alden Ehrenreich, O’Shea Jackson Jr., Margo Martindale, Jesse Tyler Ferguson, Kristofer Hivju, Isiah Whitlock Jr. e, dulcis in fundo, mister Ray Liotta, alla sua ultima apparizione sullo schermo.

Mancava, effettivamente solo il film.

L’attesa è cresciuta a dismisura (perché siamo degli idioti, ma va bene così) anche da noi, al punto che al momento dell’annuncio del titolo è nata dai social addirittura una sorta di movimento collettivo per far cambiare il titolo italiano del film, da Cocain-Orso a Cocainorso, che effettivamente fa tutta la differenza del mondo. Sintomatologia di un qualcosa che già prevaricava la bontà o meno della pellicola, essendosi il tutto trasformato in un “fenomeno” puramente goliardico.

La speranza era di vedere un qualcosa di superiore rispetto al solito Sharknado o a titoli prodotti dall’Asylum, soprattutto guardando al budget di 35milioni di dollari (la maggior parte spesi per la resa CGI dell’orso), quando film come il primo arrivavano a 2, quando ce la facevano.

Insomma delle premesse straordinarie per una pellicola che si preannunciava leggendaria, a patto che chi di dovere le avesse sapute far fruttare, ‘ste premesse straordinarie.

 

Una tranquilla scampagnata di paura

Chattahoochee National Forest, Georgia, 1985. Un luogo straordinario dove fare trekking, passare del tempo a contatto con la natura selvaggia in piena sicurezza, al riparo dallo stress e lo smog delle grandi città e della vita di tutti i giorni. Meta turistica straordinaria per tantissimi avventori amanti dell’avventura, ma anche per chiunque voglia godersi lo spettacolo delle cascate di un monte più o meno al centro della riserva naturale.

Luogo per famiglie, ma anche per coppie di innamorati. Soltanto uno sfortunatissimo quanto improbabilissimo evento potrebbe turbare la quiete della zona. Una cosa assurda tipo che un narcotrafficante getti un quantitativo clamorosamente esagerato di cocaina da un aereo salvo poi morire lui stesso nel tentativo di gettarsi dal mezzo e lasciando così la merce incustodita a terra, magari alla mercé di un orso che passava di lì per caso, un orso che incuriosito la assuma e diventi di conseguenza così aggressivo da attaccare chiunque sulla propria strada.

Ecco, dovrebbe accadere una cosa del genere.

Ovviamente un quantitativo così ingente di cocaina mancherà a qualcuno, un qualcuno che vorrà in qualche modo recuperarlo. Qualcuno tipo il capo di quel narcotrafficante maldestro, un certo Syd (Liotta) in piena crisi con il figlio Eddie (Ehrenreich) e che pensa bene di risolverla incaricandolo di recuperare il malloppo insieme al fidato Daveed (Jackson jr.). Un’operazione che ovviamente attirerà l’attenzione della polizia, rendendo il posto incredibilmente affollato.

Cocainorso

Soltanto uno sfortunatissimo quanto improbabilissimo evento potrebbe turbare la quiete della zona.

Pensate che tra gli avventori c’è anche una coppia di bambini, femminuccia e maschietto (dolcissimi e molto irriverenti), che sfuggono a mamma Sari (Russell), che ovviamente dovrà gettarsi all’inseguimento, un po’ per farla sentire in colpa e un po’ per sperimentare l’ebrezza della libertà e della trasgressione.

Insomma, una serie di macchinose coincidenze a condire un macchinosissimo evento centrale in modo da riempire il parco nazionale di più carne fresca possibile per un orso sballatissimo, ancora alla ricerca delle ultime sacche rimaste per continuare solamente a sballarsi.

Dalla parte dell’orso

Avere tra le mani una storia che promette così tanto bene non è assolutamente facile, dato che bisogna riuscire ad indirizzarla, donandogli una struttura succosa e interessante e riuscire ad aggiustarla per renderla fruibile per il grande schermo. La cosa fondamentale è scegliere il tono, la sfumatura, il livello del racconto e, soprattutto, sceglierlo guardando al materiale di partenza. Questo è il primo grande problema del film.

Cocainorso è scritto dando per scontato il materiale originale, utilizzandolo come un intro in grado di parlare da solo. Invece di essere potenziato, posto come stella cometa secondo cui orientare tutto il resto del film, è adoperato come presentazione da scavalcare per poi pensare già ad altro. Non è cosa banale riuscire a confezionare una commedia trash, demenziale, surreale, magari horror / splatter nella misura della parodia dello slasher. Bisogna metterci testa. E invece Banks e soci sembrano voler parlare da subito di altro. Di famiglia, di femminismo, animalismo. In modo confusionario, sfilacciato e un po’ posticcio.

Tutto l’impianto narrativo che viene costruito intorno alla storia di partenza è piuttosto cervellotico e molto poco scorrevole. I personaggi stessi sono poco ispirati (sembrano presi da altre parti e messi là, tutti insieme) e per larga parte del tempo non si capisce bene dove il film voglia andare a parare, il che è un altro problema, anche se può essere arginato proprio guardando (pensate un po’) al materiale di partenza.

La cosa fondamentale è scegliere il tono, la sfumatura, il livello del racconto e, soprattutto, sceglierlo guardando al materiale di partenza.

Ray Liotta

Ci sono dei passaggi creati ad hoc per permettere all’orso di sfogarsi, ma anche questi sono molto confusi, sia nelle trovate orrorifiche, sia negli spunti di regia e montaggio e sia nella costruzione della tensione. Nulla è quasi mai divertente, nulla è quasi mai coinvolgente. Tutto è molto faticoso, claudicante. Cocainorso è un film fatto per intrattenere, ma nessuno sembra veramente aver goduto del tempo passato a lavorarci.

Fanno eccezione le gag tra gli attori, che invece restituiscono una buona chimica tra di loro. A proposito di attori, una menzione speciale va a Ray Liotta, che ha la chiusura migliore tra tutti gli altri personaggi, concludendo (tragicamente) la sua carriera in un modo piuttosto curioso in un film piuttosto curioso frutto di una sua scelta professionale che lo è altrettanto e forse ancora di più. La vita è strana e crudele Ray, speriamo che tu, tra tutti, ti sia divertito a fare un’altra volta il gangster.

Cocainorso è un film fatto per intrattenere, ma nessuno sembra veramente aver goduto del tempo passato a lavorarci.

Cocainorso

Quello che interessa alla Banks è lavorare in controcampo. Il film racconta, di fatto, la storia dal punto di vista dell’orso. Come ha ammesso la regista stessa la sua opera potrebbe leggere come un revenge movie in cui nella finzione la vittima della storia fa giustizia, punendo l’uomo, colpevole di aver causato la morte di un animale indifeso nella vita reale.

Un tentativo sperimentale (?) di coniugare una lezione morale di questo tipo e una pellicola che, sinceramente, non era proprio quella adatta, ma che almeno permette di capire anche il senso della deriva che ad un certo punto prende (prima ci flirta un po’ in realtà, ci gira intorno, come se così convinti non siano in primis gli autori) ,improntando tutto il suo terzo atto sulla ricostruzione della famiglia, la distruzione del maschio padre e l’importanza della donna madre, che è madre moderna e comprensiva, ma anche spietata predatrice. Una di quelle che farebbe di tutto per i propri cuccioli.

Cocainorso è una enorme delusione. Un film ingiustificatamente serioso nella sottotrama (la cui armonia con il livello più superficiale è fondamentale per questo genere di pellicole, lì c’è il cuore emotivo dello spettatore, l’identificazione e tutte quelle cosettine), poco ispirato, poco convinto, piuttosto zoppicante e sfilacciatissimo. Neanche l’intro si salva del tutto (quella citazione di Wikipedia è inquietante già di suo). Un peccato enorme perché delle premesse del genere sono irripetibili e meritavano veramente sorte migliore. Un film divertente e non uno che è, in ultima analisi, definitivamente, noioso.

Cocainorso arriva nelle sale italiane il 20 aprile 2023 con Universal Pictures.

50
Cocaine Bear
Recensione di Jacopo Fioretti Raponi

Cocainorso è il film Universal diretto da Elizabeth Banks già fenomeno social in America (e un po' anche da noi) ispirato ad una storia vera che solamente negli Stati Uniti poteva avvenire. Pellicola che segna anche l'ultima apparizione di Ray Liotta, che fa il gangster, almeno quello. Delle premesse straordinarie francamente sprecate per un titolo che non le rispetta, le da per scontate, le racconta in controcampo, cerca subito l'emancipazione. E dunque non si diverte più, non divertendo di conseguenza neanche lo spettatore. Intreccio macchinoso, sottotesto sfilacciato, poca ispirazione nella regia, nelle soluzioni horror demenziali. Tutto un po' faticoso. Peccato mortale.

ME GUSTA
  • Le chimica tra gli attori, specialmente nei momenti di sketch.
  • L'intro, che racconta il materiale di partenza.
  • Ray Liotta fa il gangster, per l'ultima volta.
FAIL
  • Il film spreca le premesse dandole per scontate, avendo fretta di superarle.
  • La direzione che prende è poco convinta e anche poco ispirata.
  • Il film non è quasi mai divertente purtroppo, tutt'altro.
  • Di più, nessuno dà l'idea di essersi divertito a realizzarlo o quanto meno a proprio agio.
  • La costruzione dell'intreccio è faticosissima.
  • Forse una severità eccessiva per le attese? Meditiamo.
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