La recensione de I Tre Moschettieri – D’Artagnan, nelle sale dal 6 aprile 2023 con Notorious Pictures e Medusa Film, non può che cominciare con una digressione sull’importanza del progetto per l’industria cinematografica francese, che non ha solamente elargito uno sforzo economico e produttivo encomiabile, ma anche corso un notevole rischio, dato che si tratta dell’ennesimo adattamento di uno dei romanzi fondamentali della loro narrativa diviso in ben due parti di cui solo questa prima è costata circa 36 milioni di euro.
Un’ambizione editoriale ed economica da capogiro. Motivo per cui sono stati chiamati sia attori importantissimi a livello internazionale, Vincent Cassel, Eva Green, Louis Garrel, Vicky Krieps e Lyna Khoudri, che strettamente legati al panorama cinematografico in patria, François Civil, Romain Duris e Pio Marmaï. Non è però finita qua, perché il nome del regista e degli sceneggiatori coinvolti è di primissimo livello, nonostante qualcosa ci sia da dire. Speriamo siate curiosi.
Il team creativo chiamato a far fruttare questa incredibile batteria di fuoco è infatti composto da Martin Bourboulon, dietro la macchina da presa, e dagli sceneggiatori Matthieu Delaporte e Alexandre de La Patellière, ovvero lo stesso che era dietro Papa ou Maman, commedia francese del 2015 protagonista di un enorme successo, tant’è che fu oggetto di remake purtroppo non paragonabili alla compiutezza del film originale. “Purtroppo”, perché uno di questi rifacimenti è il nostro Mamma o papà? con Paola Cortellesi e Antonio Albanese.
Un’ambizione editoriale ed economica da capogiro.
Il salto che ha portato Bourboulon dall’essere un regista (ottimo) di commedia ad uno (molto meno ottimo) di blockbuster nazionalisti è da capire, anche perché la sua prima sortita in questo secondo “genere”, Eiffel, non raggiunse i livelli dei suoi primi lavori. E anche in questo caso l’impostazione visiva, proprio in termini di risultati ottenuti dal connubio del tipo di fotografia, lavoro post e scelte registiche (molto nordamericane, specialmente nelle scene action), non è sempre all’altezza né è sempre coerente. Ci sono dei passaggi (anche per colpa del montaggio) in cui sembra di assistere ad un film per la televisione.
Meglio in termini di adattamento e sceneggiatura, che cerca di mantenere il passo del romanzo di Alexandre Dumas ampliandone l’orizzonte in termini di contemporaneizzazione e di discussione politica. Anche se non è esente da difetti neanche questo aspetto, specialmente nel raccordo tra il primo atto e il resto della pellicola.
In chiusura c’è da aggiungere che la seconda parte, I Tre Moschettieri – Milady, arriverà al tramonto del 2023 e che le due pellicole sono state girate conseguenzialmente. Capite bene perché diventa difficile (già il film lo è di per sé) se non impossibile riuscire a dare un giudizio compiuto all’operazione, che essendo complessa ha in sé tantissime cose da sviscerare. Esercizio che quindi rimandiamo alla prossima recensione in modo definitivo.
Grande festa alla corte di Francia
Francia, 1624. Charles d’Artagnan (Civil) è un giovane guascone figlio d’arte, coraggioso al limite dell’avventato e particolarmente abile a tirar di spada. La via per Parigi la imbocca però armato di qualcosa di più prezioso di una semplice lama di metallo, bensì di una missiva da consegnare al capo dei moschettieri ed entrare a far parte del corpo fedele al re Luigi XIII (Garrel).
La capitale è in fermento in vista delle nozze del principe e per la minaccia di una guerra incombente tra i protestanti alleati con gli inglesi e i cattolici transalpini. La corte è spaccata a metà, tra i fedeli al cardinale Richelieu (Eric Ruf) e quelli vicini a conte de Chalais. In mezzo il sovrano, che si deve guardare sia dai vari intrighi orditi dai suoi presunti alleati, sia dalla moglie, la regina Anna (Krieps), impegnata in un rosso affaire con il duca di Buckingham. Sullo sfondo la minaccia di una misteriosa donna di nero vestita (Green).
Un clima non disteso di cui d’Artagnan fa le spese appena entrato in città, “rimanendo ucciso” durante quello che ad un primo sguardo sembra un vero e proprio rapimento.
La capitale è in fermento in vista delle nozze del principe e per la minaccia di una guerra incombente tra i protestanti alleati con gli inglesi e i cattolici transalpini.
Tornato da sottoterra grazie alla protezione del Signore (sì, proprio così), il giovane si reca alla caserma dove inciampa, letteralmente, nei famigerati tre moschettieri, Athos (Cassel), Porthos (Marmaï) e Aramis (Duris), i quali per l’offesa recatagli lo sfidano tutti e tre a duello, impegnandolo per un range di tempo di ben tre ore. Inutile dire che il loro rendez-vous viene puntualmente interrotto.
Sul campo si presentano i fatti le guardie del cardinale, nemiche giurate dei moschettieri, i quali, vedendosi minacciati, puntano le armi verso direzione comune per far man bassa dei nemici. La strage porta i quattro a stringere amicizia e gli encomi del loro sovrano fanno il resto per suggellarla. Quello che non sanno è che c’è poco per cui festeggiare, dato che sono stati messi in moto eventi che potrebbero cambiare il destino della Francia per sempre, infatti la mattina dopo…
Il toro per le corna
L’idea degli autori alla base del progetto era quella di riproporre in una chiave attuale il romanzo di Dumas, sia da un punto di vista di scrittura che di messa in scena, pur rimanendo il più possibile fedeli al materiale originale. Quando si opta per un approccio del genere la cosa fondamentale è trovare l’equilibrio giusto e cercare di mantenersi il più possibile attaccati ad esso, anche perché solo attraverso di esso si può far intravedere allo spettatore qual è la direzione dietro l’idea di una pellicola o di una saga simile.
Questo è, stringendo al massimo, il più grande difetto de I Tre Moschettieri – D’Artagnan. Più della fotografia posticcia, del trucco alla Pirati dei Caraibi, delle camere a mano, dei piani sequenza frenetici wanna be Iñárritu (e non si cita solamente perché si decide di fare iniziare la pellicola con un Revenant), il quale potrebbe ragionevolmente querelare. Soprattutto chi scrive.
Perché? Ma perché quando invece l’equilibrio lo si raggiunge si vede che un potenziale dietro il progetto c’è eccome. E la sensazione è che la situazione potrebbe migliorare con l’uscita della seconda parte, dal momento che quello intrepretato da Eva Green è palesemente il personaggio più interessante dell’adattamento (non diciamo qui perché) e che invece l’unica cosa che questo primo attor riesce a fare con d’Artagnan è renderlo insopportabile. Poco aiuta l’idea di inserire nell’eroe una fragilità (molto poca poi) per quanto riguarda la sua vita amorosa.
Perché? Ma perché quando invece l’equilibrio si raggiunge si vede che un potenziale dietro il progetto c’è eccome.
Il primo atto è poco credibile a livello di gestione dei tempi e dà l’impressione di essere costantemente con il fiato corto. La fascinazione per i tre moschettieri la affida quasi completamente alla reputazione che hanno in quanto figure storiche, donando loro poche battute e quelle poche molto poco incisive, a parte il caso di Athos (c’è anche Cassel che lo interpreta) che è la personificazione di una Francia vecchia, slegata, ferita e stanca. Elementare, Watson. La cosa da dire è che sia Porthos che Aramis godono di riscritture piuttosto divertite.
Quello che interessa veramente ai capoccioni dietro l’operazione è allargare il campo agli intrighi politici, puntando lo sguardo verso l’incapacità di avere un dialogo con il “diverso”, il rimescolamento del maschile e del femminile, le differenze imposte da una società che non si cura di amore, affetti e legami di parentela.
Molto meno leggenda cavalleresca, molto più realismo (o almeno molto più “mettiamo in cerca del realismo”). Tutto è più oscuro, tetro, complesso, intricato. Al punto che per dei tratti è difficile persino orientarsi all’interno della visione. Bravi gli autori, che hanno così ardentemente voluto un I Tre Moschettieri – D’Artagnan così, che alla fine l’hanno ottenuto.
I Tre Moschettieri – D’Artagnan, nelle sale dal 6 aprile 2023 con Notorious Pictures e Medusa Film
I tre moschettieri - D'Artagnan è la prima parte del dittico da budget record tutto francese improntato su un nuovo adattamento del romanzo di Dumas, affidato alle mani di Martin Bourboulon. Un'operazione titanica per un blockbuster nazionalista serioso quando possibile, con un'impronta registica nordamericana e sorretto da un cast da urlo guidato da Vincent Cassel, Eva Green, Louis Garrel e Vicky Krieps. Questo primo capitolo è una pellicola difficile, meccanica, pesante a volte disorientante, che al netto di un bel lavoro di adattamento e di una scrittura ottima nell'allargare gli orizzonti rispetto al materiale d'origine, difetta in fotografia e in lavoro di post e specialmente di coerenza strutturale. Questo ultimo è un aspetto piuttosto penalizzante. Il giudizio ultimo deve essere però rimandato al momento della presa visione del secondo atto.
- Nei momenti di equilibrio tra i tanti aspetti dell'operazione si intravede la sua bontà
- Il discorso politico, attuale e intrigante.
- I rimescolamenti del maschile e del femminile.
- La sceneggiatura compite delle scelte interessanti in sede di adattamento.
- Le prove attoriali non sono male.
- La fotografia e il lavoro di post danno un effetto di finto.
- La regia non è spesso all'altezza delle scene action.
- Il montaggio non lega benissimo il tutto.
- Il film è difficile, complesso, a volte meccanico fino al disorientante.