Per la prima volta, il laboratorio di Nicola Segata, professore di genetica e biologia computazionale all’Università di Trento, ha dimostrato che i batteri del microbioma si trasmettono tra molti individui, non solo tra i neonati e le loro madri, in modi che non possono essere spiegati dalla dieta condivisa o dalla geografia. Si tratta di una scoperta con implicazioni ad ampio spettro, ma con esiti frustranti e poco prevedibili. Il nostro microbioma è una collezione di batteri utili e nocivi in continua crescita e cambiamento che iniziamo ad accumulare dal momento della nascita, ma gli esperti stanno ancora lottando per capire perché e come i batteri dell’intestino o della bocca di una persona si stabiliscano nel microbioma di un’altra, invece di passare semplicemente di lì.

“Se guardiamo alla composizione complessiva delle specie del microbioma, c’è un effetto dell’età e di molti altri fattori”, spiega Segata. “Ma se guardiamo alla provenienza dei nostri ceppi, il 99% di essi è presente solo nell’intestino di altre persone. Devono provenire da altri visceri”.

Se riuscissimo a comprendere meglio questo processo, potremmo essere in grado di controllarlo e utilizzarlo; forse i pazienti degli ospedali potrebbero evitare le infezioni da altri pazienti quando il loro microbioma è impoverito dagli antibiotici e il loro sistema immunitario è indebolito, per esempio. Ma gli scienziati stanno appena iniziando a collegare i microbiomi umani a vari disturbi. Sempre più evidenze dimostrano che i nostri microbiomi guidano la nostra salute a lungo termine, influenzando condizioni come l’obesità, la sindrome dell’intestino irritabile, il diabete di tipo 2 e il cancro. Il precedente lavoro del laboratorio di Segata e di altri ha messo in luce il modo in cui i batteri vengono trasmessi dalle madri ai neonati nei primi mesi di vita durante il parto vaginale, l’allattamento al seno e altri contatti ravvicinati. Gli scienziati sanno da tempo che le persone vicine tendono a condividere i batteri. Ma i fattori legati a questa sovrapposizione, come la genetica e la dieta, non erano chiari, soprattutto al di fuori della diade madre-neonato.

“Se analizziamo la condivisione dei ceppi tra una madre e un neonato a cinque anni di età, per esempio, non siamo in grado di stabilire quale sia dovuto alla trasmissione alla nascita e quale alla trasmissione continua a causa del contatto”, spiega Segata. Gli esperti hanno ipotizzato che possano essere causati da somiglianze batteriche nell’ambiente stesso, dalla genetica o da batteri provenienti da alimenti condivisi che hanno colonizzato l’intestino delle persone a stretto contatto.

La condivisione dei ceppi è risultata più elevata nelle coppie madre-bambino, con il 96% di esse che condividevano i ceppi, e solo leggermente inferiore nei membri di famiglie condivise, con il 95%.
In Italia, i ricercatori guidati da Mireia Valles-Colomer, tra cui Segata, speravano di svelare questo mistero. Hanno confrontato i dati di 9.715 campioni di feci e saliva in 31 set di dati genomici con i metadati esistenti. Gli scienziati hanno analizzato le variazioni di ciascun ceppo batterico fino al livello individuale. Hanno esaminato non solo le coppie madre-figlio, ma anche le persone che vivono nello stesso nucleo familiare, i gemelli adulti e le persone che vivono nello stesso paese, con un livello di dettaglio che prima non era possibile, a causa dei costi elevati e delle difficoltà nel reperire i dati sulle interazioni tra gli individui, ha spiegato Segata. “Questo lavoro quantifica, con un’elevata granularità, la percentuale di condivisione che ci si aspetta tra diversi tipi di interazioni sociali, controllando cose come la genetica e la dieta”, spiega. La condivisione dei ceppi è risultata più elevata nelle coppie madre-figlio, con il 96% di esse che condividevano i ceppi, e solo leggermente inferiore nei membri di famiglie condivise, con il 95%. Almeno la metà delle coppie madre-neonato condivideva il 30% dei ceppi; la mediana era del 12% tra le persone in famiglie condivise. Tuttavia, non c’era condivisione tra l’8% dei gemelli adulti che vivevano separatamente e il 16% delle persone all’interno dei paesi che risiedevano in famiglie diverse. I risultati sono stati pubblicati su Nature.

Poiché lo studio attuale non ha distinto tra diversi tipi di contatto o relazioni tra i membri della famiglia che condividono i ceppi batterici, né ha determinato la direzione della trasmissione, Segata dice che il suo progetto attuale sta esaminando i bambini negli asili nido e monitorando i loro microbiomi nel tempo per capire il ruolo della genetica e delle interazioni quotidiane nel livello di trasmissione che si verifica. Questa capacità relativamente nuova di tracciare le varianti batteriche ha dato agli scienziati la possibilità di capire quando e come i batteri passano da un microbioma all’altro. Quando i ricercatori riusciranno a comprendere meglio i fattori che permettono a un ceppo di stabilirsi all’interno di un microbioma, potrebbero scoprire nuove strategie per controllare questi microbi, sfruttando la composizione di ciascun microbioma per aiutare le persone a resistere a condizioni mediche che possono alterare la loro vita.