Air – La storia del grande salto, la recensione: l’America è solo America finché non veste Nike

Matt Damon

Avete mai sentito parlare del The Black List? Se sì, bravissimi, se no, allora sappiate che si tratta di un sondaggio annuale sulle sceneggiature più apprezzate, ma ancora non prodotte. Una vera e propria miniera d’oro che nel corso degli anni (sono 22 esatti dalla prima edizione) ha sfornato tantissimi script che sono arrivati addirittura a vincere l’Oscar. Lo sa bene Ben Affleck, che “pescò” da lì quella di Argo, scritta da Chris Terrio, e ci vinse ben tre statuette. All’epoca il film chiuse una doppietta storica per un attore / autore dalla carriera roller coaster, rilanciando la sua immagine e il suo appeal nell’Industry americana. Ora la situazione per lui è cambiata rispetto a 10 anni fa, ma non il suo interesse per le storie contenute nel famoso sondaggio, da cui pesca di nuovo, nel 2022, per la sua prima produzione della sua Artists Equity (fondata insieme a Matt Damon) con il supporto fondamentale di Amazon Studios, sfornando un altro film che potrebbe valergli un’altra statuetta.

Abbiamo iniziato così la recensione di Air – La storia del grande salto, al cinema dal 6 aprile 2023 con Warner Bros., dal momento che la sceneggiatura di Alex Convery (la sua prima per il grande schermo) proviene anch’essa dalla famigerata The Black List. Uno script semplicemente formidabile, che Affleck mette in scena in maniera francamente ineccepibile, sia dal punto di vista visivo sia per quanto riguarda la direzione del cast corale composto da Jason Bateman, Chris Messina, Chris Tucker, Matthew Maher, Marlon Wayans e Viola Davis (consigliata, pare, dallo stesso Michael Jordan per interpretare la madre), oltre al regista / produttore e al suo socio, ovviamente.

Avete mai sentito parlare del The Black List?

Quella scritta da Covery è una profonda e attenta storia sul Sogno Americano, che Affleck, come fatto in precedenza (essendo un bravissimo regista), riesce a sfumare secondo i toni del cinema mainstream statunitense inserendo diversi elementi del linguaggio di genere con una forte impronta personale. Il film è autoironico, divertito, intelligente, ragionato e veloce, sul pezzo sin da subito. Un treno colorato, sensualmente goffo, regolato come un orologio svizzero, organizzato e concepito secondo una sorta di dictat “nikeno“. Perché Air si scrive Air ma si legge Nike. Va detto chiaramente.

Air è un trattato sul look degli anni ’80 nordamericani, quindi non solo sul come negli anni ’80 si viveva “la promessa chiamata capitalismo”, ma anche a cosa deve la sua attrattiva, il suo aspetto, l’idea della forma che è anche sostanza. Non un mero modo di fare mercato, ma di rappresentarsi la propria idea di sé e del proprio tessuto sociale. Credere di essere in grado di scommettere su noi stessi quando ci si guarda allo specchio. Tutte cose che noi stiamo pagando oggi a carissimo prezzo. Su questo ci torniamo, anche perché nel film viene adoperata Born in the USA.

Un film carico, come lo sono le attese prima del boom, che è il MacGuffin Michael Jordan (che non si vede mai, ma c’è sempre) e che è il MacGuffin Air Jordan. Non un film sportivo sul dietro le quinte, ma un film sportivo sul pre evento sportivo.

 

Nessuno vuole indossare Nike

Nel 1984 la Nike era sotto la guida di Phil Knight (Affleck), un imprenditore nato dal nulla che, a dispetto del successo e lo status ottenuti, rimaneva un uomo dal forte imprinting hippie (fattore che caratterizza la maggior parte degli whites del film, contribuendo enormemente a renderceli simpatici), e viveva un periodo d’oro in cui tutti i suoi reparti fioriscono. Cioè tutti tranne uno. Quello che si occupava di basket. Il reparto basket della Nike faceva schifo.

Tutti i più grandi cestisti, infatti, così come i rapper e i punti di riferimento della cultura giovanile, indossavano Converse e, soprattutto, Adidas. Larry Bird e Magic Johnson indossavano Adidas, tutti i primi nomi dei draft NBA indossavano Adidas, i nomi degli MVP degli All Star Game indossavano Adidas e, cosa più importante, nessuno voleva indossare Nike.

Il reparto dedicato al basket lo gestiva Rob Strasser (Bateman), affiancato dalla punta di diamante Sonny Vaccaro (Matt Damon), un guru, uno tra i massimi esperti NBA e della pallacanestro universitaria. Quando il guru parlava, anche se lo faceva di rado, tutti quanti ascoltavano. Il guru però era sfiduciato dal mercato, fiaccato dalle esigenze di un’azienda che aveva la necessità di puntare sul sicuro e da un budget piuttosto esiguo per competere con i giganteschi rivali.

Il reparto basket della Nike faceva schifo.

Michael Jordan

Tutto cambiò quando vide l’azione di un giovanissimo rookie quando segnò il canestro vincente nella finale del campionato NCAA. Quell’azione di gioco risvegliò qualcosa in lui che era sopita da tantissimo tempo, nascosta da una circonferenza addominale sempre più ampia, un divorzio e dalle scommesse, qualcosa che lo aveva reso quel guru. Sonny aveva appena scoperto la grandezza di Michael Jordan prima ancora di vederlo calcare il parquet della sua prima partita tra i professionisti e decise di puntare su di lui tutta la sua carriera.

Sonny violò qualsiasi regola del manuale delle trattative, arrivando a scontrarsi con i suoi colleghi e con il suo capo, arrivando persino a presentarsi a casa dei Jordan solo per parlare con la madre di Michael, Deloris (Davis), ma per riuscire a convincere il futuro His Airness dovrà fare ancora di più. Dovrà creare un nuovo sistema di regole che cambierà il mercato per sempre.

Born in the USA

Air – La storia del grande salto è uno dei film rivelazione della prima parte della stagione cinematografica 2023. La pellicola è trainante sin dal primo minuto, grazie ad un montaggio fantasmagorico (non didascalico, ma incredibilmente esplicativo), accordato alla musica scelta e in grado di riassumere in poco tempo cosa erano gli anni ’80 nordamericani per i nordamericani. Un assaggio che è anche il manifesto del nucleo tematico del film.

La storia che porta alla creazione delle Air Jordan non ha ad un primo impatto quasi nulla di affascinante e ha una soluzione scontata, tra l’altro già raccontata da The Last Dance, la serie doc capolavoro sull’ultima stagione dei Bulls di Jordan che trovate su Netflix (ma tanto la avrete visto), ma il film trascina al punto che anche se di primo acchito non interessa nulla dei personaggi dopo mezzora vi ritroverete incollati allo schermo per non perdervi un singolo dialogo. Merito di una scrittura brillante, veloce, divertentissima e di un’ambiente straordinariamente attraente, pensato per rievocare le redazioni di Lampoon Magazine o le combriccole di Animal House.

Air – La storia del grande salto è uno dei film rivelazione della prima parte della stagione cinematografica 2023.

Air - Il grande salto

La forza di Air rimane però la sua lucidità strutturale di fondo e ce lo dice il fatto che decida di partire a raccontare la sua storia, grande metafora del Sogno Americano, con un uomo che da quel sogno è stato schiacciato. Un uomo solo e sovrappeso che sa tutto di basket, ma che perde i suoi soldi affidandosi al caso. Lui, più di tutti gli altri, può predire il futuro di un ragazzo che quel sogno lo vivrà e che dunque dovrà farci anche i conti. Una formula piuttosto usata nei blockbuster statunitensi (il vecchio che grazie al suo passato è in grado di vedere la grandezza del giovane), ma che qui viene declinata in modo arguto e originale.

Matt Damon è in gran forma (nonostante le apparenze) e i suoi siparietti con Affleck sono un eco diretto del loro strettissimo rapporto fuori dal set, ma quello che c’è di diverso del suo personaggio rispetto ai suoi tanti simili è la sua necessità di cavalcare quel sentimento da american dream nonostante ne capisca il lato oscuro. Il gancio del film si offre tramite lui (è lui che ha gli incontri 1 a 1 con George Raveling, David Falk e la signora Jordan) per trovare un punto di vista critico e aprire poi ad un discorso più ampio. Il film guida lo spettatore in questo senso, aumentando il numero dei volti in scena.

La forza di Air rimane però la sua lucidità strutturale di fondo e ce lo dice il fatto che decida di partire a raccontare la sua storia, grande metafora del Sogno Americano, con un uomo che da quel sogno è stato schiacciato.

Air - Il grande salto

Il problema è che Sonny si sbaglia, la Nike ha ragione: il Sogno Americano e tutto ciò che la mentalità capitalista esige per realizzarsi, valgono la candela. Sonny parla a Jordan, dicendo che lui diventerà famoso, mentre nessuno si ricorderà di loro e sbaglia, Sonny dice che le Air Jordan sono solo una scarpa e sbaglia. Lo corregge Strasser quando cita Born in the USA, la canzone più fraintesa d’America, che Reagan voleva usare come colonna sonora per la sua campagna elettorale suscitando il disgusto di Springsteen. L’inno agli Stati Uniti il cui testo sulla crisi del cittadino reduce della guerra in Vietnam scompare dalle orecchie del popolo perché per loro ha importanza altro.

Il look, l’aspetto, la forma, sono contenuto, sostanza, potenza, valori. È ispirazione. Il significato essenziale combacia con i simboli, i loghi con l’attrattiva che suscita un nome composto da quattro lettere. La bellezza al posto dell’efficienza, non si possono avere entrambe, per quanto Sonny ci provi. La bellezza è l’accesso alla libertà, alla pionieristica possibilità di cambiare le regole. L’America è solo l’America finché non indossa la Nike e l’America è Michael Jordan. La domanda “godardiana” che possiamo porci riguardo Air – La storia del grande salto è: “nel 2023 questo messaggio è ancora un messaggio che possiamo accogliere?” Meditiamo.

Air – Il grande salto è al cinema dal 6 aprile 2023 con Warner Bros.

75
Air
Recensione di Jacopo Fioretti Raponi

Air - Il grande salto è il nuovo film diretto e interpretato (benissimo in entrambi i casi) da Ben Affleck, che ci presenta un cast guidato da un eccezionale Matt Damon e che vanta le ottime prove di Jason Bateman e Viola Davis. Si tratta di una pellicola ispirata alla storia vera dietro la creazione delle Air Jordan raccontata dalla fantastica sceneggiatura di Alex Convery. Il film è ironico, intelligente, trainante, divertente e scorrevole, perfettamente in grado di restituire l'idea della società capitalista degli anni '80 statunitense e del senso dell'American Dream fortemente legato al mito consumista che fa del look, del brand, sostanza, ispirazione e contenuto. Si scrive Air, si legge Nike.

ME GUSTA
  • La regia e la scrittura sono eccezionali, divertite e divertenti.
  • Il montaggio, perfettamente accordato con la colonna sonora, è coinvolgente.
  • Le prove attoriali sono tutte ottime.
  • La resa degli anni 80' e la percezione del Sogno Americano sono straordinarie e sincere.
  • La struttura narrativa con il quale si crea il climax è ineccepibile.
FAIL
  • La resa del Sogno Americano e della mentalità capitalista sono straordinarie e sincere, ma nel 2023 dovremmo porci una domanda sulla realizzazione di una sceneggiatura con tale approccio?
  • C'è una brandizzazione di fondo del marchio Nike.
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