Le nanotecnologie rappresentano un campo di ricerca che si occupa di studiare, manipolare e utilizzare materiali e sistemi di dimensioni nanometriche. Un nanometro (nm) corrisponde a una miliardesima parte di un metro, una misura estremamente piccola. La definizione classica di nanotecnologia che si può trovare su Wikipedia è: “Ramo della scienza applicata e della tecnologia che si occupa del controllo della materia su scala dimensionale nell’ordine del nanometro, ovvero un miliardesimo di metro (in genere tra 1 e 100 nanometri) e della progettazione e realizzazione di dispositivi in tale scala. Il termine “nanotecnologia” indica genericamente la manipolazione della materia a livello atomico e molecolare e, in particolare, si riferisce a lunghezze dell’ordine di pochi passi reticolari.” Cercando d’evitare definizioni complicate, è comunque importante sapere che la parola “nano” ha un significato molto preciso in fisica. Quando si è abituati a pensare su “base metrica” e quindi a catalogare tutta la materia in base a quanti metri o cm è grande o alto un oggetto, è difficile immedesimarsi nel mondo dei nanometri. Inoltre, le nanotecnologie sfidano il nostro istinto da San Tommaso che ci fa essere tranquilli solo quando abbiamo a che fare con qualcosa che possiamo toccare, vedere, sentire. Nelle nanotecnologie, tutto viene ridotto al minimo: se parliamo di millimetri, sappiamo tutti che il millimetro è la millesima parte del metro. Anche il millimetro però può essere ulteriormente suddiviso, fino a dimensioni di 1 milionesimo di metro fino ad arrivare a 1 miliardesimo di metro. La scala del miliardesimo di metro è esattamente la scala del nanometro, dove nano sta per “miliardesimo” ed è un prefisso che moltiplica per un fattore 10−9 l’unità di misura a cui è applicato (equivalente a dividere per un miliardo). Per entrare un po’ nell’ottica di queste micro-proporzioni c’è bisogno di fare alcune esempi, o confronti, con ciò che conosciamo bene: ad esempio, un capello umano ha una larghezza di circa 100.000 nm. Il rapporto che c’è fra 1 chilometro e 1 millimetro è lo stesso rapporto che c’è tra 1 millimetro e 1 nanometro. Questi esempi servono per dare il rapporto tra la dimensione totale delle grandezze della scala di dimensioni alla quale siamo abituati, rispetto alle dimensioni 1 miliardo di volte più piccole di questi oggetti, che sono chiamati oggetti nanoscopici, diversi dagli oggetti microscopici che sono grandi 1 millesimo di millimetro.

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Cosa c’è di bello e di utile nel nanomondo?

Fatte le doverose premesse, per approcciare nel modo più corretto il fenomeno delle nanotecnologie è bene partire dal concetto che quando la materia è strutturata su nanoscala le proprietà cambiano. Le nanotecnologie si fondano sullo studio delle proprietà degli atomi e sullo studio della materia non nella sua interezza, ma sullo studio dei singoli atomi, appunto. La materia nanostrutturata ha un numero di atomi di superficie che iniziano a diventare di una quantità notevole rispetto agli atomi a disposizione. Un esempio facile è quello della mosca nella stanza: la mosca è piccola e la stanza è grande. La mosca non viene destabilizzata dalla stanza di per sé, ma dalle sue dimensioni. Se le dimensioni della stanza vengono ridotte fino a farla diventare poco più grande della mosca stessa, la mosca inizia a sbattere contro le pareti. La frequenza con cui sbatterà contro le pareti dipende, quindi, da quanto è grande la stanza. Un esempio più tecnico è quello del cristallo: si prende un cristallo di colore rosso e lo si frantuma fino a farlo diventare una polvere, la polvere risulterà di colore rosso. Ma se lo stesso cristallo viene frantumato su base nanometrica, frantumandolo in micropezzettini minuscoli, non sarà più rosso. Questo accade perché la proprietà tipica associata al materiale non è più una proprietà de materiale e basta. Nella materia che compone il cristallo ci sono gli atomi, negli atomi ci sono gli elettroni e ad ogni atomo piacerà avere intorno degli altri elettroni. Gli elettroni possono diventare “frustrati” in base a quanto è piccolo il nanomateriale in cui sono costretti a stare. Risultato? Più è fine la polvere, più diventa “piccola”, più cambia il suo colore rispetto al cristallo di partenza.  Si può anche prendere in considerazione l’argento e il suo uso in medicina: un metallo prezioso, lucente e resistente all’ossidazione. Se diviso in frammenti di grandezze nanometriche diventa un ottimo disinfettante, stabile e potente che vien usato per fare cerotti, spray contro le grandi ustioni o per ricoprire superficie che devono rimanere sterili. Quindi, cosa c’è di bello, di utile e di interessante nel nanomondo? Innanzitutto, il fatto che materiali noti e ben conosciuti, quando vengono “spezzettati” in particelle nanometriche assumono nuove proprietà utili. Il progresso scientifico ha permesso di poter sfruttare queste nuove proprietà: è possibile progettare e realizzare razionalmente il nanomondo, rendendo questo ramo della scienza applicata non più lontanissimo o di impossibile comprensione o estremamente platonico: oggi le nanotecnologie possono essere applicate in diversi campi, tra cui la medicina, l’elettronica, la chimica, l’energia, l’ambiente e la produzione di materiali avanzati. Ad esempio, in medicina le nanotecnologie possono essere utilizzate per sviluppare nuovi farmaci e terapie personalizzate, oppure per la diagnosi precoce e la cura di malattie come il cancro. Nell’ambito dell’elettronica, le vengono utilizzate per creare dispositivi più piccoli e potenti, come i microprocessori dei computer. Uno degli aspetti più interessanti è sicuramente la possibilità di creare materiali e strutture con proprietà fisiche e chimiche uniche, che non si osservano nei materiali di dimensioni maggiori. Ad esempio, le proprietà elettriche del grafene, una forma di carbonio composta da un singolo strato di atomi, sono molto diverse da quelle del carbonio in forma di diamante o grafite.

Cerchiamo di conoscere meglio tutto ciò che gira intorno al nanocosmo.

La storia delle nanotecnologie

The Nobel Prize on Twitter: ""I was delighted too when I heard about the Nobel Prize, thinking as you did that my bongo playing was at last recognised." Richard Feynman, awarded theRichard P. Feynman: la matematica non è una scienza - MATMEDIA.ITRichard Phillips Feynman (1918-1988) - Find a Grave Memorial

Il padre putativo delle nanotecnologie è considerato il fisico Richard Feynman, conosciuto per la lezione tenuta alla conferenza della Società di Fisica statunitense nel 1959 “There’s Plenty of Room at the Bottom”, traducibile con: “C’è un sacco di spazio laggiù in fondo”. In questa sua lectio, Feynman con “laggiù, in fondo,” intendeva lì in fondo in quel mondo piccolissimo tra gli atomi. Il concetto che cercava così di introdurre era che si poteva manipolare una parte della materia minuscola e quasi sconosciuta. Inoltre, lanciò due sfide da 1.000 $ l’una, la prima: costruire un nanomotore. Questa si rivelò una sfida piuttosto facile perché ci fu chi riuscì a farlo nel giro di un anno: il meticoloso artigiano William McLellan, grazie all’utilizzo di strumenti convenzionali, creò un motore che soddisfaceva le condizioni di scala dimensionale dettate da Feynman nella sua conferenza ma che non rappresentava alcun progresso dal punto di vista scientifico. La seconda sfida, invece, richiedeva la trascrizione dell’intera enciclopedia britannica sulla testa di uno spillo da cucito con caratteri 25mila volte più piccoli di quelli di un libro normale. Anche se questa sfida era considerata impossibile, ci fu qualcuno che non si diede per vinto. Un certo Tom Newman, nel 1985, specializzando a Stanford, riuscì a ridurre il primo paragrafo di Racconto di due città (A Tale of Two Cities) di Charles Dickens a 1/25.000 della superficie originale e ottenne il secondo premio di Feynman.  Richard Feynman era un fisico teorico americano ma di origini russe e polacche, premio Nobel per la fisica nel 1965, che ha anche partecipato al progetto Manhattan, con cui il governo americano costruì la bomba atomica ed ebbe l’opportunità di vedere da molto vicino il Test Trinity con cui si mise alla prova “The gadget” (l’aggeggio), ovvero il primo prototipo di bomba che fu fatta brillare nel deserto del New Mexico.

76 anni fa gli USA hanno fatto esplodere il primo ordigno nucleare al mondo

Dopo questa parentesi, Feynman tornò ai suoi studi di elettrodinamica quantistica (QED_ Quantum Electro Dynamic), studi per i quali fu poi premiato con il Nobel e fu anche definito “L’uomo più intelligente del mondo”.

L’after Feynman

La nanotecnologia e la nanoscienza hanno avuto poi una forte spinta negli anni ’80 grazie alla nascita della scienza dei cluster e all’invenzione del microscopio a effetto tunnel (STM) che è servito per osservare le nanoparticelle non visibili al microscopio, come è successo per il carbonio nelle sue varie forme. Su tutto, lo studio degli atomi di carbonio è ciò che ha permesso, nel corso della storia, le più importanti applicazioni in campo nanotecnologico perché è un elemento di assoluto rilievo sia nelle scienze dei materiali ma anche della biologia: è l’elemento più presente in natura e noi stessi, come tutti gli esseri viventi, siamo unità basate sul carbonio.

Questa nella foto è una micrografia, la ripresa fotografica di soggetti non visibili a occhio nudo, in cui appare il carbonio nella sua forma naturale. Il carbonio, storicamente, è sempre apparso in due stati possibili. Il primo è il carbone o grafite (la grafite è una forma pura di carbone). L’altra condizione in cui si può presentare è il diamante, molto più raro e molto più duro rispetto alla grafite che invece tende facilmente a sfaldarsi. Il diamante si ottiene comprimendo la grafite ad alte temperature. Ma le nanotecnologie ci danno anche altre opportunità: osservare e creare delle forme di carbonio esterne o estranee, che in gergo vengono chiamate “allotropi”, ovvero forme di carbonio non consuete rispetto a quelle reperibili generalmente.

Carbonio - Wikipedia

Diamante (a sinistra) e grafite (a destra)

Un tra le prime forme allotrope conosciuta è il grafene, una specie di lenzuolo costituito da atomi di carbonio:

Grafene: cos'è, quali sono le sue proprietà e le sue applicazioni

La seconda forma è quella sferica dei fullereni, con 60 atomi di carbonio che si costituiscono in forma sferica. La molecola può essere una sfera cava, un ellissoide, un tubo o molte altre forme e dimensioni. Per capire meglio, possiamo asserire che queste molecole hanno la stessa identica geometria di un pallone da calcio, anche se composti da una 60ina di atomi. A differenza de palloni di calcio, che mantengono la forma cilindrica grazie alle toppe bianche e nere, questi atomi sono connessi solo da legami tra gli atomi di carbonio. I fullereni erano previsti da tempo, ma solo dopo la loro sintesi accidentale, sono stati individuati in natura e nello spazio dal chimico statunitense Richard E. Smalley il quale li ha scoperti nel 1985 quando realizzò che, in particolari situazioni, gli atomi di carbonio compongono delle strutture ordinate di forma sferica. Il concetto di ordine è importantissimo perché è ciò che rende le nanotecnologie così fondamentali: i fisici parlano di cristallo quando la disposizione degli atomi in una molecola è ordinata e regolare. Il cristallo è il concetto vitruviano di ordine, infatti. Il punto della questione è che in natura non si realizza quasi mai questo reticolo a cristallo, ordinato e regolare e dotato di perfezione geometrica. Nella materia sono presenti atomi che sono fuori posto, atomi con posizione scambiate e in una condizione che viene chiamata “difetto del reticolo del cristallo”. Le nanotecnologie, invece, consentono l’impensabile: avere delle strutture regolari e perfette su scala atomica, cioè strutture in cui i singoli atomi sono nelle posizioni in cui dovrebbero essere.

an Overview of Single-Molecule Fullerene Research

La terza forma è quella dei nanotubi di carbonio o di grafite, immaginabili come dei tubuli, dei tubetti molto sottili ottenuti arrotolando un foglio di grafene. Negli anni ’90, la scoperta di Huffman e Kraetschmer dell’Università dell’Arizona sulla sintesi e la purificazione di grandi quantità di fullereni ha aperto la strada alla loro caratterizzazione e funzionalizzazione da parte di centinaia di ricercatori in campo industriale. Le proprietà chimiche e strutturali dei fullereni in forma di nanotubi di carbonio hanno svelato un promettente uso potenziale nel campo nascente delle nanotecnologie.  Sicuramente l’invenzione del microscopio a effetto tunnel (STM, dall’inglese Scanning Tunneling Microscope), potente strumento per lo studio delle superfici a livello atomico, sviluppato nel 1981, che fruttò ai suoi inventori, Gerd Binnig e Heinrich Rohrer (all’IBM di Zurigo) il Premio Nobel per la Fisica nel 1986, permise di osservare i singoli atomi manipolati. Il STM può essere utilizzato non solo in condizioni particolari come nell’ultraalto vuoto, ma anche nell’aria, nell’acqua e in vari altri liquidi o gas ambienti e a temperature che variano da quasi zero kelvin a poche centinaia di gradi Celsius

La vera identità degli scopritori dei nanotubi di carbonio, invece, è oggetto di controversie. Gran parte della letteratura accademica e divulgativa attribuisce la scoperta dei tubi cavi, di dimensioni nanometriche, composti da carbonio grafitico a Sumio Iijima, fisico giapponese della NEC, nel 1991. Il suo articolo ha dato il via a un’ondata di entusiasmo e può essere considerato un’ispirazione per i molti scienziati che oggi studiano le applicazioni dei nanotubi di carbonio. Sebbene a Iijima sia stato attribuito gran parte del merito, risulta che la loro scoperta risalga a molto prima del 1991. Nel 1952, infatti, L. V. Radushkevich e V. M. Lukyanovich pubblicarono sul Journal of Physical Chemistry of Russia immagini chiare di tubi di carbonio del diametro di 50 nanometri. Questa scoperta passò in gran parte inosservata, poiché l’articolo fu pubblicato in russo e l’accesso degli scienziati occidentali alla stampa sovietica era limitato durante la guerra fredda. Nel 1976 poi, Morinobu Endo altro fisico e chimico giapponese del CNRS, osservò dei tubi cavi di fogli di grafite arrotolati e sintetizzati con una tecnica di crescita chimica da vapore. I primi esemplari osservati sarebbero stati in seguito conosciuti come nanotubi di carbonio a parete singola (SWNT). Endo, nella sua prima recensione delle fibre di carbonio cresciute in fase di vapore (VPCF), ricordò anche di aver osservato un tubo cavo, esteso linearmente con facce parallele dello strato di carbonio vicino al nucleo della fibra. Questa sembra essere l’osservazione di nanotubi di carbonio a parete multipla al centro della fibra (MWCNT). Gli MWCNT, prodotti in massa oggi, sono fortemente correlati alla VPCF sviluppata da Endo. La scoperta dei nanotubi rimane dunque una questione controversa. Molti ritengono che la relazione di Iijima del 1991 sia particolarmente importante perché ha portato i nanotubi di carbonio alla consapevolezza dell’intera comunità scientifica. Ma pare che tra Russi e Americani in periodi di Guerra Fredda e due fisici giapponesi, vincano gli indiani: nel 2020, durante gli scavi archeologici di Keezhadi nel Tamil Nadu, in India, sono state scoperte ceramiche di circa 2500 anni fa i cui rivestimenti sembrano contenere nanotubi di carbonio. Le robuste proprietà meccaniche dei nanotubi sono in parte il motivo per cui i rivestimenti sono durati così tanti anni, affermano gli scienziati.

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Il Grafene

Tra le forme allotropiche è stata proprio quella del grafene una delle principali soluzioni ai problemi tecnologici che si sono avuti negli ultimi decenni nei laboratori. Le scoperte sul grafene e le sue applicazioni, (realizzazione di un transistor) conseguite nel 2004, come dicevamo, hanno valso il premio Nobel per la fisica 2010 ai due fisici Andrej Gejm e Konstantin Novosëlov dell’Università di Manchester. Nonostante i problemi iniziali nell’applicabilità del grafene a singolo strato, i due fisici hanno evoluto il materiale fino alla costruzione del cosiddetto grafene a doppio strato, che garantisce più resistenza e flessibilità di utilizzo.

Grafene, cos'è, come si produce, a cosa serve e le sue applicazioni

 

Basta un po’ di nastro adesivo per… Isolare il grafene e vincere il Nobel per la fisica

Il grafene è un materiale estremamente particolare e sofisticato, talmente tanto unico che non si poteva mai pensare che il metodo per ottenerlo sarebbe stato così tanto semplice da valere il Nobel agli scopritori. Il grafene, spesso definito come il materiale del futuro, è sottile (si dice pertanto che è un sistema a bassa dimensionalità), trasparente, resistente come il diamante e flessibile come la plastica. È una struttura formata da atomi di carbonio legati tra loro in modo da formare una struttura esagonale che si ripete infinite volte sul piano. È molto simile a una rete da pesca dove i nodi della rete sono costituiti dagli atomi di carbonio e le maglie sono i legami chimici tra un carbonio e l’altro. A leggere questa descrizione si può pensare ad un materiale alieno; invece, si è scoperto che il grafene è il materiale di cui è composta la matita. O meglio, la matita è composta di grafite, al cui interno però si trova il grafene. Una linea tracciata con una matita su un foglio bianco sarà composta da migliaia di strati di grafene. Il problema è stato come isolare un solo strato di grafene dalla grafite. Ed è a questo punto che i due scienziati russi dell’università di Manchester sono intervenuti nel 2004, usando una tecnologia che più semplice non si può: il nastro adesivo. Hanno letteralmente steso con la matita uno strato di grafite su un foglio bianco, successivamente, hanno appiccicato il nastro adesivo sullo strato disegnato strappandone una porzione.

Matita disegna una linea retta su carta e gomma da matita rimuovendo la striscia. concetto di business breaking. | Foto Premium

Sul nastro adesivo, anche se per niente visibili ad occhio nudo, sono rimaste appiccicate centinaia di strati di grafene. Ma questo non era ciò che volevano ottenere i due scienziati. Per questo hanno ripetuto l’operazione n volte, assottigliando sempre di più lo stato di grafene, fino ad arrivare ad ottenerne uno soltanto. Fatto? Forse sì, forse da piccoli ci è anche capitato di farlo, con la differenza che ai due scienziati russi è stato assegnato il Nobel per la fisica nel 2010, anche se questo esperimento lo hanno fatto a Manchester nel 2004. Tra l’altro, se capita di andare al museo di Stoccolma dedicato al Nobel, è possibile vedere il sofisticatissimo oggetto che ha reso possibile tutto questo:

Un blocco di grafite, un transistor al grafene e un dispenser di nastro adesivo, donati al Nobel Prize Museum di Stoccolma da Andrej Gejm e Konstantin Novoselov nel 2010

Facendo un passo indietro, possiamo affermare che il grafene e gli altri sistemi a bassa dimensionalità non sono sistemi che fanno parte della scienza dei materiali, ma sono un ritrovato del 21esimo secolo. Infatti, all’inizio del 21esimo secolo i fisici si sono ritrovati in una situazione simile ai chimici all’inizio del 20esimo secolo: i chimici in quel periodo si ritrovarono a studiare delle molecole un po’ particolari in cui gli atomi erano uniti insieme formare delle specie di collane, delle catene unidimensionali, altrimenti conosciuti come polimeri. Quando si è riusciti a manipolare questi polimeri, c’è stata la rivoluzione della plastica.

Explainer: What is a polymer?

Con le nanotecnologie, si è imparato a fare un’altra cosa: non si creano più delle catene, ma dei foglietti, andando manipolare la struttura della materia in 2 dimensioni, guadagnandone quindi una, la lunghezza. Sono stati creati dunque dei materiali monoatomici (costituiti da uno strato di uno spessore di 1 solo atomo) ma con estensioni enormi e con proprietà uniche. Il primo è stato appunto il grafene, dopo il grafene ne sono state scoperte moltissime altre con proprietà peculiari e diverse fra loro.

Per dare un’idea, se un foglietto di grafene fosse spesso quanto un lenzuolo, sarebbe così grande, flessibile e resistente da poter coprire una superficie pari a quella di un campo di calcio. Questo fa dedurre che un oggetto costituito da grafene è qualcosa di totalmente diverso a ciò a cui eravamo abituati, Come detto, la diversa dimensionalità dà anche diverse proprietà: e’ fatto tutto e solo di superficie e questo implica che sia spesso solo 1 atomo e che per questo gli elettroni che viaggiano dentro il grafene percepiscono un potenziale monodimensionale che li fa trasformare. In altre parole, è come se questi elettroni perdessero la massa e viaggiassero più leggeri e – quindi più veloci- in questo foglio monoatomico. Essendo così sottile, il grafene è quasi come se fosse un piano sempre inclinato rispetto a un piano solido e più spesso, è come se fosse acqua in uno scivolo nel cui interno gli elettroni scorreranno liberi e questo creerà un vero flusso libero di corrente elettrica.

Applicazioni delle nanotecnologie: progettare con gli atomi

Le applicazioni della nanotecnologia rappresentano una rivoluzione, soprattutto culturale, perché con l’avvento delle nanotecnologie è cambiato il modo di ricercare, progettare e realizzare. Partiamo dall’esempio della progettazione di una macchina: quello che si fa normalmente è innanzitutto fare un disegno tecnico della macchina, un disegno ingegneristico di tutte le componenti e in base a questo si scelgono i materiali più adatti per ogni singolo componente per poi assemblare tutte le parti insieme.

Pin su Auto e motoCon le nanotecnologie accade diversamente. Non si parte dal disegno della macchina, ma dal disegno del materiale con cui verranno realizzati i singoli componenti della macchina, perché un materiale composito, un nanomateriale ibrido che abbia la capacità di accogliere in sé le caratteristiche delle componenti di cui è costituito, può avere delle prestazioni molto superiori rispetto a qualsiasi altro materiale, naturale o sintetico, disponibile in qualunque laboratorio di ricerca.

The Next Big Technology Could Be Nanomaterials

 

Per quanto riguarda l’elettronica, le nanotecnologie sono utilizzate nella produzione di dispositivi come microprocessori, sensori, schermi e batterie. La miniaturizzazione dei componenti elettronici, quindi dei microchip, a livello nanometrico consente di ottenere dispositivi più piccoli, più veloci e più efficienti. Appena scoperto il grafene era destinato ad essere il sostituto principale del silicio, proprio per la velocità di viaggio delle cariche elettriche di cui accennavamo prima, cosa che il silicio non ha.  Il grafene, dunque, è destinato a soppiantare il silicio perché più veloce e performante? Sfortunatamente, no. Per due motivi, uno scientifico, l’altro economico. Il primo è che il grafene conduce molto, troppo bene, cariche elettriche sia positive che negative. È quindi molto difficile “spegnere” un transistor a base di grafene. Mentre un transistor al silicio può essere acceso e spento, assumendo i valori “0” e “1” che sono alla base dell’elettronica digitale, un transistor al grafene al massimo può passare da “molto acceso” a” poco acceso”. Questo è un limite che gli scienziati stanno cercando di risolvere in vari modi, anche abbastanza fantasiosi, ad esempio tagliando piccole strisce di grafene per limitare in qualche modo il trasporto di elettroni. Il secondo motivo, come detto, è economico. Anche se, in futuro, si riuscirà a creare transistor al grafene efficienti ma controllabili, è difficile che il grafene soppianti il silicio. La tecnologia del silicio è vecchia di sessant’anni, estremamente ottimizzata e robusta, e l’industria microelettronica richiede impianti davvero costosi. Difficilmente le industrie microelettroniche smantelleranno i loro impianti esistenti basati sul silicio per avventurarsi in una nuova tecnologia, per quanto vantaggiosa. Il grafene, quindi, non sostituirà il silicio (fonte CNR). È più probabile, invece, che il grafene sia utilizzato in applicazioni impossibili per il silicio, ad esempio per dispositivi elettronici su plastica, flessibili e resistenti. Cellulari, computer e televisori “arrotolabili” sono il Santo Graal del settore microelettronico. Colossi come Samsung, Nokia o LG stanno investendo moltissimo per sviluppare questi prodotti e hanno già presentato al pubblico vari prototipi flessibili. I materiali attualmente usati per l’elettronica, in primis il silicio, sono di solito cristallini e fragili; quindi, non adatti per questo tipo di applicazioni. Il grafene, invece, può essere piegato e allungato senza perdere le sue proprietà elettriche ed è un candidato ideale per la rivoluzione dell’elettronica.

Questi materiali monodimensionali, come il grafene appunto, hanno delle ottime proprietà meccaniche, sono resistenti, conducono bene il calore e sono membrane impermeabili a tutti i gas. Il singolo layer (strato) di grafene è trasparente e assorbe solo il 2,5% della luce e ha un’elevatissima area superficiale: oltre 2600 m^2/ grammo. Cosa vuol dire? Vuol dire che ne basta poco per coprire grandi superfici. Ad esempio, 1 L di soluzione contenete pochi grammi di grafene ha abbastanza materiale da coprire un intero campo da calcio. Magia? No. Forse un po’ sì, ma comunque per poter far “funzionare” il grafene come vogliamo noi, esistono dei laboratori dedicati. In Italia, ad esempio, il Consiglio Nazionale delle Ricerche ha un intero laboratorio a Bologna dedicato alla sintesi e alla funzionalizzazione del grafene. In questo laboratorio gli scienziati cercano di modulare e implementare le proprietà del grafene attraverso la funzionalizzazione chimica: in altre parole il grafene viene usato come una piattaforma sulla quale vengono legate molecole e oggetti più piccoli e con diverse proprietà (un po’ come si fa con i lego), in modo da ottenere materiali nuovi e ibridi, che combinino le proprietà del grafene con quelle degli oggetti legati. È in questo modo che vengono realizzati materiali innovativi che vengono utilizzati per applicazioni in svariati settori che vanno dall’energia, come ad esempio la tecnologia dietro ai pannelli fotovoltaici, all’elettronica, ai materiali compositi, come ad esempio i filtri e nel settore biomedicale.

Grafene in ogni dove, ecco le prime applicazioni pratiche

Il grafene può essere anche fatto crescere su dei substrati catalitici, come ad esempio il rame. Mediante una fonte di carbonio ad alta temperatura, possiamo farlo accrescere fino ad ottenere proprietà bidimensionali.  Il concetto è che non esiste un solo tipo di grafene, ma esiste una famiglia di prodotti grafenici, che hanno caratteristiche, applicazioni e, in particolar modo, costi diversi. Ad esempio, un grafene prodotto dalla macinazione della grafite sarà più indicato per la realizzazione di compositi polimerici, mentre un grafene cresciuto su rame avrà delle ottime qualità elettriche e quindi sarà più indicato per la realizzazione di dispositivi elettronici flessibili o per realizzare componenti per la dissipazione del calore all’interno dei cellulari o dei computer.

Le nanotecnologie, quindi, non solo ci consentono di approfondire meglio la struttura della materia nelle sue parti invisibili, ma di costruire materiali che abbiano un grado di perfezione inimmaginabile. Per tutte queste potenzialità l’unione Europea, ad esempio, ha stanziato miliardi euro per lo studio e l’applicazione delle nanotecnologie. La ricerca si sta anche orientando nello studio del silicene, proprio per il fatto che, soprattutto nel progresso tecnologico e informatico, è confermato che il silicio non è sostituibile. In pratica, il silicene è l’equivalente del grafene ma con la differenza che la rete è fatta di atomi di silicio. Certo, non è bello, buono e bravo come il grafene (che tende ad essere più omeogeno e piatto), tende a corrugarsi, a fare delle increspature e quindi è più difficilmente “addomesticabile” e manipolabile. Tuttavia, la storia della manipolazione dei materiali ci insegna che ciò che si pensava fosse impossibile da realizzare o di difficilissima realizzazione è stato fatto. Certo, con tantissimi sforzi e al netto di milioni di bambini che hanno appicciato il nastro adesivo sui fogli senza ottenere Nobel.  Premi a parte, sicuramente la prospettiva dei prossimi anni sarà tutta orientata e dipendente dall’utilizzazione dei materiali come il silicene, il grafene e di tutte le nanotecnologie derivate.