La domanda che possiamo porci nell’approcciare un prodotto di intrattenimento come il film di Dungeons & Dragons sarebbe proprio quella riguardante la fattibilità di trasporre un gioco di ruolo così variegato e variopinto, in grado di deflagrare in ramificazioni secolari con la sua narrativa, in un’opera cinematografica di poco più di due ore. Ebbene, pare che stavolta l’intenzione di reinventare questa trasposizione e sfruttarne l’universo per costruire qualcosa di irriverente e goliardico abbia funzionato, perché Dungeons & Dragons: l’Onore dei Ladri ci ha convinto molto e sta facendo in modo che la critica si schieri a suo favore, proprio per il modo in cui si è deciso di andare a rivedere D&D.
Un canovaccio privo di master
Da un lato un bardo di nome Elgin (Chris Pine), dall’altro Holga (Michelle Rodriguez), un barbaro dal passato turbolento dotata di grande forza e grande intelletto. Entrambi sono imprigionati e attendono il momento propizio per riuscire a fuggire da un’altissima torre nella quale hanno trascorso gli ultimi due anni: a incastrarli un loro collega ladro, Forge (Hugh Grant), che adesso vive come nuovo lord e nuovo patrigno di Kira, la figlia di Elgin. Il bardo e il barbaro sono così chiamati a una missione impossibile per salvare la ragazza, insieme a Simon (Justice Smith) un mago molto insicuro e privo di qualsivoglia autostima e a Doric (Sophia Lillis), un druido Forma Selvatica, oltre all’amichevole contributo di Xenk (Regé-Jean Page), un paladino senza macchia pronto a sacrificarsi per chiunque altro.
Dungeons & Dragons: l’Onore dei Ladri si basa su un canovaccio narrativo che assomiglia estremamente a quella che può essere una campagna di D&D, dalla quale trae spunto anche per i modi scanzonati e soprattutto per le costruzioni spesso esuberanti: tutti elementi che funzionano all’interno di una costruzione narrativa di indubbio valore e potenza, soprattutto perché la comicità non è mai sguaiata, non è mai eccessiva, e si cerca quel modo di fare comedy che sta funzionando molto in prodotti come i Guardiani della Galassia. Elgin può essere accostato a uno Star Lord fantasy, medievale, munito di liuto e di passione per il suo passato, per ciò che ama davvero. Nel caratterizzare il party, nel creare un amalgama tra i personaggi che interagiscono sempre in maniera molto profonda tra di loro, il film di D&D ci racconta una scanzonata avventura di quattro eroi pronti a tutto per raggiungere il loro obiettivo.
Trasporre l’epica in comicità
Venivamo da una mal gradita e digerita trasposizione cinematografica per l’universo di Dungeons & Dragons, che nel 2002 con “Che il gioco abbia inizio” aveva deluso soprattutto i fan del brand, nonché i cinefili. Per festeggiare al meglio, però, i 50 anni del gioco di ruolo inventato da Gary Gygax e David Arneson serviva una pellicola molto più affascinante, molto più convincente, che potesse andare a scalfire quella parete rocciosa che ultimamente sembra aver in qualche modo coperto il cuore di noi nerd, arroccati a volte in dogmi che non lasciano spazio a reinterpretazioni stilistiche. Eppure, John Francis Daley e Jonathan M. Goldstein se ne sono fatti beffe, perché Dungeons & Dragons: l’Onore dei Ladri è proprio una parodia scanzonata dell’universo di D&D, che viene messo a nudo e spogliato di tutti i suoi D20 e di tutte le sue serietà aritmetiche per esaltare i momenti più goliardici e comici di una campagna tra amici.
Il film, in uscita il 29 marzo al cinema in Italia, mette in primo piano quel microcosmo che si va a costruire durante le partite intorno a un tavolo, permettendo a Elgin e Holga di esaltare il loro rapporto fraterno, di intessere una gestualità quasi paterna tra il bardo e Simon, fino all’amore per niente latente del mago nei confronti di Doric; persino la dicotomia tra l’eroe scanzonato e quello del paladino senza macchia quale è Xenk riesce a farsi apprezzare in ogni battuta. Forse l’aspetto meno gradevole di tutta la sceneggiatura è da rintracciare in quella eccessiva rigidità che spesso hanno alcuni dei protagonisti nell’affrontare tematiche più seriose: succede spesso a Holga, la più inscalfibile di tutti e a quei momenti in cui non c’è da fare battute, non c’è da ammiccare, ma da provare ad alzare l’asticella di un canovaccio che non ambisce a quello. Non punta a nessun costrutto psicologico, ma a offrirci un qualcosa di molto equilibrato tra il divertimento e la serietà.
Un world building di grande dettaglio
Un altro aspetto di grande valore è che Dungeons & Dragons: l’Onore dei Ladri non pretende che lo spettatore sia un accanito conoscitore della materia trattata: è indubbio che la tradizione fantasy viene rispettata e trattata in maniera adeguata, ma non c’è alcun tipo di desiderio di rendere il film un prodotto di nicchia, destinato solo a chi pensa di conoscere a memoria l’intero creato di Gygax e Arneson. Chiunque ne potrà fruire, a patto di voler assistere a un film di genere fantasy e concedersi delle risate sincere, spassionate e divertite. Rimpinguate anche, tra l’altro, da un ottimo world building, che segue i crismi del folklore fantasy e si diverte a soffermarsi sui dettagli delle creature e dell’ambiente ricostruito in modo tale da poter calare in tutto in un universo profondo, tridimensionale, credibile. La stessa regia ci lascia intendere che c’è il desiderio di lasciare spazio a un mondo unico, a partire da un piano sequenza che vede protagonista Doric e le sue trasformazioni: uno dei momenti in cui la macchina da presa si esalta maggiormente, in una danza dal castello al villaggio esterno, puntando su acrobazie aeree pronte a farci esaltare sia per il contenuto che per la messa in scena finale.
A voler rintracciare un unico neo in tutta la produzione, mi sarei aspettato che dal punto di vista musicale il tutto sarebbe stato molto più indimenticabile e pronto a stagliarsi nel firmamento dell’immortalità. The Witcher, che sul fantasy marcia petto in fuori e mento fiero, con Ranuncolo era stato in grado di far entrare nel nostro cuore “Toss A Coin To Your Witcher”, oramai reinterpretata e riproposta in numerose versioni, tanto è diventata radicata nel nostro immaginario fantasy. Il film di D&D non riesce a fare altrettanto, nonostante abbia come protagonista un bardo, che è più ferrato con la lingua che con l’ugola, purtroppo: l’unica canzone che ci viene proposta non riesce a entrarci nel cuore e non la riusciremo a canticchiare una volta terminato il film, proprio per il poco spazio concesso a questo momento. Lo stesso liuto, che poteva diventare molto più epico e chiave narrativa, è ridotto a un mero accompagnamento, un accessorio di scarso valore al quale rimanere sì affezionati, ma nulla più. Un’occasione, a mio parere, mancata.
Dungeons & Dragons: l'onore dei ladri è un fantasy del quale si sentiva la necessità. Riuscire a non prendersi sul serio e rendere il tutto molto scanzonato è una scelta che funziona, che ci ricorda a tratti quel mondo che Alan Menken aveva disegnato in Galavant, forse l'ultimo prodotto di intrattenimento in grado di ironizzare in maniera goliardica sul mondo medievale e sugli eroi stessi. L'intenzione era quella di riportare il brand di D&D in maniera forte e convincente al cinema, offrendo un intrattenimento che potesse replicare le campagne scanzonate tra amici e l'obiettivo è stato pienamente colto. Per chi si aspetta un film serioso e dai grandi temi psicologici non troverà, chiaramente, pane per i suoi denti, ma tutti gli altri saranno ben accontentati.
- Una trasposizione riuscita e divertente
- Un ottimo world building
- I personaggi sono i veri membri di un party
- Musicalmente si poteva osare di più