Le riprese di saghe iconiche, magari riproposte a distanza di anni dalla conclusione dei loro parenti, nascono e si formano spesso come delle costole o, per dirla in modo più intelligente, delle riproposizioni tangenziali, laterali, periferiche. Come degli echi, fate voi (ogni riferimento è puramente casuale). Gli spinoff ancora di più, specialmente quando dei veri e propri spinoff neanche sono. Che poi spinoff cosa vuol dire in realtà? Qualcuno prima o poi dovrà prendersi la bega di spiegarlo una volta per tutte. Non lo farà chi sta scrivendo questo articolo, tengo famiglia e non voglio passare guai con nessuno.

Nella recensione di Creed III, nelle sale italiane dal 2 marzo 2023, il terzo (ma và) capitolo della nuova saga nata da Rocky e che ne è spinoff, sequel e remake (fate voi, di nuovo) e quindi esempio fondamentale del discorso contorto che si è provato a imbastire sopra. Di fatto una deriva rimescolata che prende idee da capitoli precedenti del franchise creato da Sylvester Stallone (creato è veramente il termine più azzeccato possibile) e le ripropone in una chiave moderna, sincronizzata con un nuovo pubblico di riferimento, ripensando il target in qualche caso, e, addirittura, osando una sorta di pseudo emancipazione. Insomma tutti i modi possibili per essere derivativi, anche se…

Gli spinoff ancora di più, specialmente quando dei veri e propri spinoff neanche sono. Che poi spinoff cosa vuol dire in realtà? Qualcuno prima o poi dovrà prendersi la bega di spiegarlo una volta per tutte.

Si tratta dell’esordio alla regia di Michael B. Jordan, che non solo per l’occasione decide di autodirigersi, ma si mette dietro la macchina da presa in una saga storica e per di più nel primo film dove non compare lo Stallone Italiano, cercando di dargli un taglio personale e quindi di appropriarsi del suo immaginario. Sicuramente una scelta coraggiosa e dunque i nostri rispetti, comunque la si pensi sull’esito della prova.

Nel farlo recupera Tessa Thompson, parla di famiglia (provando a seguire la scia MCU), si dedica più alla direzione che a curare la sua recitazione e arruola Jonathan Majors (che con l’MCU qualcosina avrà a che fare da qui in avanti), il quale più che sparring partner rischia di divenire primo violino, anche approfittando di una sceneggiatura che lo premia maggiormente, rispetto a quanto fa con il suo protagonista. E con la boxe. E con lo spirito di Rocky. E con altre cose, ma andiamo avanti.

 

“Ancora tu? Ma non dovevamo  vederci più?”

Sono passati cinque anni da quando Adonis Creed (Jordan) ha sconfitto Viktor Drago (Florian Munteanu), “vendicando” papà Apollo e ispirando Rocky Balboa (Stallone) a riallacciare i rapporti con il figlioletto e, ironia della vita, per poi ritrovarsi a combattere con quello stesso pugile rissaiolo della Merseyside (tifoso dell’Everton, come i veri duri) con cui si picchiò quando era un pivellino.

Ora pivellino non lo è più, dato che è l’Undisputed Champion dei Pesi Massimi e Mediomassimi con tre cinture al seguito e [SPOILER] ha sviluppato la capacità “guiyritchieana” di rallentare il tempo per pianificare le mosse adatte a mandare al tappeto l’avversario di turno. [FINE SPOILER] In sintesi: è diventato un pugile di successo, un uomo di successo, ed è pronto a mettere i guantoni al chiodo e dedicarsi ad altro, tipo alle nuove leve, organizzare incontri, indossare camicie Ralph Lauren, roba del genere. Una cosa anche carina a livello metatestuale se si pensa alla posizione che ha assunto Jordan all’interno della saga e alla pellicola nello specifico.

In sintesi: è diventato un pugile di successo, un uomo di successo, ed è pronto a mettere i guantoni al chiodo e dedicarsi ad altro, tipo alle nuove leve, organizzare incontri, indossare camicie Ralph Laure, roba del genere.

Tessa Thompson e Jonathan Majors

Comunque, a casa tutti bene (tranne uno). Anche Bianca (Thompson) è diventata una persona di successo nel suo settore, sempre ormai dietro le quinte, e la figlioletta Amara (Mila Davis-Kent) cresce sana e forte. Tutto va a gonfie vele. Fino a che, dal passato (e a da una lunga permanenza in carcere), riemerge Damian “Dame” Anderson (Majors), un ex pugile semiprofessionista di incredibile successo ed anche ex amico / mentore di Donnie, pronto a chiedere il conto per quello che è gli è successo.

La personificazione che da quello che eravamo non si può fuggire, più o meno. Che il tempo che fu ti può ricattare, prenderti a schiaffi, tirarti fuori le tue insicurezze, i tuoi fantasmi e costringerti ad affrontarli, insomma, le solite cose. Ed essendo le solite cose, allora anche Creed dovrà fare quello che un uomo tutto d’un pezzo fa sempre: rimettersi in gioco e salvare la faccia, l’onore e divenire, finalmente, un uomo tutto d’un pezzo premium plus, quello che riesce anche a parlare dei propri sentimenti.

Frankenstein (jr?)

Creed III lavora continuando sulla falsa riga dei capitoli precedenti e dunque prende in prestito riferimenti soprattutto relativi alle trame di Rocky III e Rocky IV, in special modo per quanto riguarda i meccanismi del rimettersi in gioco dopo tanto tempo, del giovane (che però manco è giovane, anzi è più vecchio di te), che ti forza a guardarti allo specchio, e quelli relativi al giochino della vendetta.

Tutto già visto. Quello che aggiunge a livello di riproposizione di un po’ più interessante è la favola dell’underdog, che ha da sempre mosso le fondamenta della saga di Stallone, ma stavolta capovolgendone le caratteristiche da positive a negative.

Anderson è un outsider, punito ingiustamente dalla vita e tenuto ai margini, come Balboa, ma a differenza sua pretende la sua grande opportunità e cova un astio che Rocky non sarebbe mai stato in grado di provare. In questo senso molto più vicino a Paulie, il fratello di Adriana. Ecco, questo è Damian: una sintesi tra i due. Anche se, ancora, c’è sempre il personaggio di Mr. T che grida vendetta.

Quello che aggiunge a livello di riproposizione di un po’ più interessante è la favola dell’underdog, che ha da sempre mosso le fondamenta della saga di Stallone, ma stavolta capovolgendone le caratteristiche da positive a negative.

Creed III

Diventa dunque in parte falsa l’idea che questo nuovo capitolo voglia cominciare a viaggiare da solo, perché tutte le sue idee vengono dall’immaginario precedente, il che è anche giusto, tant’è che punta sulla scrittura del suo villain e chiama un attore in rampa di lancio. I punti di forza del film sono lui e la regia di Jordan, che osa molto, soprattutto nelle scene di boxe, che poi sono quelle che storicamente sono le più ragionate a livello filmico quando si parla di Rocky. Pensata all’uso rivoluzionario della steadycam nel primo capitolo.

Il problema reale di Creed III è che funziona a livello teorico, ripensando la boxe stessa in una chiave supereroistica, fanta, più infantile e concentrandosi sulla famiglia e sulla destrutturazione del maschio alpha, ma poi trova le medesime soluzioni che i capitoli scorsi hanno trovato, ripetendo se stesse. Autocitandosi. La confezione a volte può fare la sostanza, ma non in questo caso, in cui, nonostante i tentativi ci siano pure, non si dice veramente nulla di nuovo. Alla fine della fiera abbiamo un capitolo deboluccio, che cerca l’epica, ma non la trova e a cui manca una struttura emotiva reale con cui riuscire sul serio a raccontare qualcosa.

Creed III arriva nelle sale italiane il 2 marzo 2023.

60
Creed III
Recensione di Jacopo Fioretti

Creed III è il nuovo capitolo della saga spinoff / sequel / remake di Rocky, concentrata sulla vita del figlioletto di Apollo Creed, Donnie. Si tratta anche della prima, coraggiosa, regia di Michael B. Jordan, che rimane anche come attore protagonista, affiancato dalla solita Tessa Thompson e scegliendo come avversario uno degli attori più in rampa di lancio del momento, Jonathan Majors. Un film che, nonostante la rivisitazione della favola dell'underdog e una regia propositiva di Jordan, continua ad essere una derivazione dei capitoli precedenti, cercando un'emancipazione che però è solo una summa di già visti. Confezione diversa (cosa buona e giusta), stessi insegnamenti e stesso esito, ma stavolta manca la sostanza, la struttura narrativa reale, il racconto per empatizzare.

ME GUSTA
  • La regia è coraggiosa, specialmente nelle parti degli incontri.
  • Si prova a trovare una via a metà tra lo spirito tributario della saga e una emancipazione, soprattutto stilistica.
  • L'entrata di Chavez. (eh, che volete)
  • Può essente interessante l'idea di proporre una saga familiare in antitesi con Rocky.
FAIL
  • Non è un film per chi ama la boxe classica.
  • Non c'è nulla che non si sia già visto.
  • Nonostante la sincronizzazione con il contemporaneo troviamo gli stessi insegnamenti.
  • Manca quel nucleo narrativo con cui empatizzare sul serio.