Nella recensione de La legge di Lidia Poët, serie Netflix e Groenlandia disponibile in streaming dal 15 febbraio 2023, vi parliamo di un piccola importante prima volta (e qui già urlate, vi sento, calmi).
Lo è non per la sue qualità incredibili in quanto prodotto audiovisivo in sé, che comunque ci sono, sono tante, al contrario dei difetti, che invece sono considerevolmente meno, ma perché finalmente abbiamo una serie italiana dal respiro internazionale che riesce a fare tutto quello che deve fare in modo efficace, coerente, divertente e personale. Senza scimmiottare, senza snaturarsi. E viste le necessità algoritmiche e le “patine” dei prodotti originali della piattaforma del Tudum, era quasi impensabile una resa del genere.
Ispirato alla storia vera della prima avvocatessa italiana, la fu Lidia Poët, la serie riadatta ovviamente il materiale originale e crea un simil procedurale in salsa Sherlock Holmes (tra l’altro superando in qualità l’altro prodotto, sempre della piattaforma, che ha ripreso in mano quell’universo lì), destrutturando il genere e le implicazioni dell’ambientazione ottocentesca e riproponendo tutto in modo contemporaneo.
Abbiamo una serie italiana dal respiro internazionale che riesce a fare tutto quello che deve fare in modo efficace, coerente, divertente e personale. Senza scimmiottare, senza snaturarsi.
Le puntate sono 6 e scorrono benissimo, anche grazie ad una scrittura che non perde mai tempo, riuscendo a creare ogni volta una struttura (classica) che fonde molto bene trama verticale e orizzontale, in modo da rendere godibile ogni episodio sia da solo che legato agli altri.
E quindi che bravi Guido Iuculano e Davide Orsini alla scrittura, che bravi Matteo Rovere e Letizia Lamartire alla regia. Che bravi gli attori, a partire da una straordinaria Matilda De Angelis, mai così in parte dai tempi di Veloce come il vento in un ruolo che ne testimonia anche una maturazione importante, ai due co-protagonisti Eduardo Scarpetta e Pier Luigi Pasino.
Il non avvocato più in gamba di Torino
Lidia Poët (De Angelis) è una ragazza emancipata, talmente autosufficiente e determinata da non aver bisogno di uomini per vivere in una società che è invece retrograda come poche altre e che infatti non perde occasione, attraverso i suoi cittadini di ogni sesso, di ricordarle come non ci sia posto per lei, un outsider che precorre così tanto i tempi da non essere capita da nessuno fra i suoi contemporanei.
L’essere soli è uno scotto che si deve essere però disposti a pagare quando si ha una missione. Il problema è che la missione in questo caso è quella di conquistarsi una dignità che dovrebbe essere riconosciuta senza dover fare battaglia alcuna.
Laureata in legge e competente come pochi, Lidia non fa in tempo a prendere in mano il suo primo caso che si vede revocata l’appartenenza all’Ordine degli Avvocati italiani. Come se questo possa bastare per fermarla.
L’essere soli è uno scotto che si deve essere però disposti a pagare quando si ha una missione.
Con una grande gesto di maturità (non poco sofferto), la ragazza decide di chiedere asilo all’avvocato Poët (Pasino), suo fratello maggiore a cui non è stato revocato nulla per indubbi meriti natali, a cui comincia a fare da assistente. Se per assistente intendiamo che prende casi al suo posto e al suo posto li risolve.
Tutto bene quindi? Non proprio, perché questo cambio di vita porterà la ragazza a dover affrontare delle vecchie questioni famigliari irrisolte e tramutatesi nel corso del tempo in rancori e non detti e, in più, la porterà ad incontrare Jacopo (Scarpetta), giornalista cinico e arguto, cognato di suo fratello e, cosa ben più importante, mortalmente affascinante.
Parlare al pubblico di oggi
In una realtà come quella contemporanea è incredibilmente complesso muoversi quando si deve parlare al grande pubblico, nonostante la credenza condivisa sia quella opposta, cioè che le maggiori difficoltà in termini di creatività (di questa parliamo in questa sede) siano quelle del cinema più “autoriale”.
Se ci pensate bene è invece praticamente impossibile pensare a qualcosa (in ambito audiovisivo) di più ostico che scrivere un titolo che abbia la capacità di mantenere uno spirito personale in quanto individualità, ma anche in quanto rappresentante di un movimento nazionale, e che riesca a scendere a compromessi con tutte quelle formule create da chi si occupa di ridurre i fattori di rischio quando si devono fare visualizzazioni. Specialmente perché si tratta di regole che nulla con la creatività hanno a che fare, ma che su di essa incidono in modo veramente pesante.
Senza fare paragoni illustri, La legge di Lidia Poët funziona alla perfezione in questo senso, anche meglio di molti altri suoi colleghi (anche più grandi e ambiziosi), partoriti oltreoceano. Ed è ottima proprio perché fa una sua forza dei vincoli esatti da un prodotto come lei per essere ammesso dall’azienda, per avere il famoso semaforo verde.
Ci rendiamo conto che tanti possono dire che non stiamo parlando di cinema con un discorso del genere, ma non possiamo neanche permetterci di essere così ingenui.
Specialmente perché si tratta di regole che nulla con la creatività hanno a che fare, ma che su di essa incidono in modo veramente pesante.
Si parte da una storia vera di una donna, scelta non solo per l”importanza storica della sua vicenda personale, la sua professione o ciò che rappresenta in senso lato, ma perché permette una destrutturazione scientifica di una fase culturale e sociale del nostro Paese che se rielaborata ha veramente ancora tanto da dire sul nostro presente.
Su questa base tematica più ampia viene posta una solida struttura collaudata da giallo / procedural che si prende molto poco sul serio, cercando toni leggeri, sia in termini di scrittura che di resa visiva, rimanendo però ferma su dei punti: raccontare sempre storie di emarginati, giocare con il femminile non facendo sconti e lavorare su un’evoluzione costante dei personaggi.
L’obiettivo, oltre all’intrattenimento, che c’è ed è una fetta importantissima dell’equazione della serie, è trovare il codice adatto a poter parlare al più ampio numero di spettatori possibile avendo la cura però di non modificare di conseguenza il contenuto del messaggio.
Donna Matilda
Una parte, se non la parte, per cui passano le fortune di una serie come quella ideata e co-prodotta da Rovere & co. passa per le interpretazioni, sia prese una per una che per come si legano tra loro.
Scarpetta e Pasino sono veramente molto bravi, soprattutto il primo è ottimo nel riuscire a fare da spalla a 360 gradi della protagonista, ma sono efficaci anche le prove di Sara Lazzaro, che è, in un certo senso, una sorta di antieroina o comunque una figura femminile idiosincratica, o di Dario Aita, più malinconico e maturo (nonostante le apparenze) rispetto agli altri machi della serie.
Un’ottimo sistema planetario che però ha il suo centro di gravità permanente in Matilda De Angelis.
Una parte, se non la parte, per cui passano le fortune di una serie come quella ideata e co-prodotto da Rovere & co. passa per le interpretazioni, sia prese una per una che per come si legano.
È incredibile come in questo caso si sia tutto legato a meraviglia. La De Angelis è infatti non solo la scelta più naturale per via di chi sta dietro la serie, ma lo è anche per il personaggio che deve interpretare, per la sua credibilità nazionale e internazionale e, dulcis in fundo, per ciò di cui forse la sua carriera aveva bisogno in questo momento.
Nelle sue ultime interpretazioni l’attrice bolognese sprizzava un’energia incredibile che sembrava come affievolita dall’impianto che la avvolgeva, come se le servisse un palcoscenico all’altezza della sua forza non solo personale, ma anche professionale. Infatti non bisogna cadere nell’errore che questo sia solo un discorso legato ad aver bisogno di uno spazio per l’assolo (in ogni sua prova è riscontrabile infatti una piena partecipazione alla causa del film, ma questa è una qualità riconoscibile quasi sempre nei nostri interpreti, soprattutto più giovani), ma di aver bisogno di mettersi alla prova anche in un senso di limitazioni, regole e disciplina.
La sua interpretazione ne La legge di Lidia Poët è maiuscola, rotonda, pensata, studiata, quasi severa, ma a tratti anche divertita, libera. Matura, come la serie, come le sue ambizioni, come i suoi compromessi, come i suoi scopi.
La legge di Lidia Poët è disponibile su Netflix dal 15 febbraio 2023
La legge di Lidia Poët è la nuova serie Netflix prodotta dalla Groenlandia di Mattia Rovere con protagonista una straordinaria Matilda De Angelis, accompagnata da un parterre di attori super in parte, a cominciare da Eduardo Scarpetta e Pier Luigi Pasino. Una serie popolare, diretta, scritta e fotografata benissimo, che riesce a conservare un suo stampo pur avendo cura di inserirsi in un discorso internazionale non scimmiottando nulla, ma delineando un suo profilo riconoscibile. Veloce, leggera, brillante, ma non per questo superficiale, soprattutto nel lato del discorso sul genere, legato ad una destrutturazione storica importante, adoperata per parlare di tematiche purtroppo molto presenti.
- La sua capacità di parlare ad un pubblico vasto senza mai cambiare la qualità del messaggio.
- La scrittura classica, ma intelligente, creativa e scorrevole.
- Le interpretazioni degli attori, sia prese una per uno che per come si legano tra loro.
- La sua capacità di mantenere un equilibrio tra creatività, richieste produttive e scopi.
- Regia e fotografia, ottime entrambe nell'equilibrio di cui sopra.
- Il "confezionamento", che è l'idea di partenza, lo sviluppo e la resa.
- Il suo essere un prodotto Netflix la porta a rispettare determinate regole.
- Il suo essere un prodotto popolare e domestico la porta a rispettare determinati codici.