Due terremoti hanno colpito il sud della Turchia e il nord della Siria con intensità significativa alle 2:17 del mattino di lunedì e alle 11:24 (ora italiana), raggiungendo rispettivamente una magnitudo di 7,8 e 7,5 secondo la Scala Richter. Il presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Carlo Doglioni, ricostruisce il drammatico evento. I due terremoti fanno parte di una serie sismica causata dall’incontro di quattro placche – Anatolica, Arabica, Euroasiatica e Africana – che continuamente si scontrano accumulando energia fino a causare l’attivazione di una lunga faglia. Per questo motivo, l’intera area è considerata tra quelle più pericolose nel Mediterraneo.
Il terremoto che ha causato lo scivolamento della placca Anatolica di circa tre metri è stato causato dalla sovrapposizione orizzontale della placca Anatolica verso sud-ovest rispetto alla placca Arabica, generando una faglia transcorrente a bassa profondità con un ipocentro tra i 15 e i 20 km. Il dato preciso verrà confermato in seguito ai rilevamenti dei satelliti dell’ESA e dell’ASI. L’imponente lacerazione ha interessato un’area lunga 190 km e larga 25 km, causando due picchi intensi a distanza di 9 ore l’uno dall’altro e numerosi sussulti minori. La terra ha poi continuato ad oscillare con un’intensità di 5-6 gradi della Scala Richter.
Il fenomeno sismico potrebbe durare a lungo, manifestandosi come una sorta di “epidemia sismica” prolungata, che potrebbe durare giorni, mesi o persino anni, come accaduto in passato. Gli esperti spiegano che non è possibile prevedere quando terminerà, poiché la liberazione dell’energia accumulata è necessaria per interrompere il fenomeno. Il servizio sismologico turco ha inoltre lanciato l’allarme tsunami, che in effetti si è generato, ma con onde di bassa intensità, alte solo 30 centimetri. Quando è arrivato sulle coste calabresi, l’effetto era sparito e per questo l’allarme è stato ritirato dalle autorità italiane.