Ovviamente i disservizi di Libero e Virgilio sono finiti nel mirino delle associazioni dei consumatori, che minacciano già di presentare una o più class action, con l’obiettivo di risarcire i milioni di italiani danneggiati dai problemi tecnici che hanno mandato offline i due servizi di posta elettronica.

Si inizia con il Codacons, che ha annunciato di aver indirizzato una diffida ad ItaliaOnLine, la società che controlla entrambi i due servizi di posta elettronica. L’associazione dei consumatori spiega di avere chiesto «non solo di riattivare immediatamente la posta elettronica e risolvere i problemi tecnici, ma anche di disporre indennizzi diretti in favore di tutti gli utenti coinvolti nel disservizio». E poi l’ultimatum: «qualora l’azienda dovesse negare i diritti dei consumatori, siamo pronti ad avviare una class action a tutela dei 9 milioni di italiani danneggiati dal black out di Libero e Virgilio».

Ma quanto c’è di realistico nelle pretese del Codacons e di tutte le altre associazioni dei consumatori che si sono accodate nel sventolare la minaccia di una class action? Non è che si tratti dell’ennesimo tentativo di fare proselitismo e ottenere iscritti?

L’ennesima distorsione tutta italiana: la caccia agli iscritti conta di più dei risultati

Riportando la notizia, il sito italiano DDay utilizza toni estremamente critici per descrivere l’operato delle associazioni come il Codacons, spiegando che queste associazioni non hanno un reale incentivo a tutelare i consumatori, ma piuttosto a fare proselitismo e raccogliere nuovi iscritti.

La gallina d’oro non sarebbero le class action in sé, ma le stesse campagne di tesseramento che precedono eventuali azioni legali (troppo spesso solo minacciate e mai presentate veramente). Il motivo si spiega facilmente: le associazioni dei consumatori ricevono finanziamenti pubblici dal MISE in proporzione al numero di soci. Più sono i tesserati, maggiori sono i fondi pubblici di cui beneficeranno.

“Riconosciute” è il termine chiave: tutte le associazioni dei consumatori che vengono riconosciute dal ministero economico sono anche quelle che si spartiscono la torta di denaro pubblico che ogni anno viene destinato alle associazioni per iniziative a tutela del consumatore. Il denaro arriva in parte dalle multe comminate da AGCM, AgCom e dalle varie authority e in parte dalle regioni e dagli altri enti parastatali.

Una piccola parte di contributi, 1.5 milioni di euro, viene prelevata dalle multe comminate alle società dalle varie autority. Un giro di affari da svariati milioni di euro

(…) La maggior parte di queste associazioni dei consumatori non sono infatti rette dai soci con i loro contributi al contrario di quanto avviene all’estero, ma sono il classico carrozzone questa volta non statale ma privato alimentato dalle finanze dello Stato.

scrive Roberto Pezzali su DDay.it.

In una democrazia sana, le associazioni dei consumatori sono una risorsa fondamentale per tutelare le persone comuni – che spesso non hanno le risorse per ricevere assistenza legale – dalle vessazioni da parte delle grandi aziende. Peccato che in Italia queste realtà siano sorrette da un meccanismo perverso che ne distorce gli scopi: se l’incentivo economico viene dato quasi esclusivamente al proselitismo, e non ai risultati ottenuti, la tutele effettiva dei diritti dei consumatori passa in secondo piano.

Anche per questo motivo, secondo DDay è molto improbabile che le associazioni passeranno dalle parole ai fatti. Insomma, non ci sarà davvero una class action contro ItaliaOnLine. Il sito italiano cita un caso molto simile del 2011, quando furono alcuni dei servizi offerti da Aruba ad andare offline per alcuni giorni. Anche in quell’occasione il Codacons promise una class action, ma andò a finire che non venne mai presentata. L’associazione si accontentò dei rimborsi decisi da Aruba stessa. Tanto lo scopo dell’iniziativa era già stato raggiunto: stampare nuove tessere e assicurarsi un posto nella mangiatoria del MISE.