Le otto montagne, la recensione: le altitudini della vita

Alessandro Borghi e Luca Marinelli

Nella recensione de Le otto montagne, Premio della Giuria a Cannes75 ex aequo con quel gioiellino di EO di Jerzy Skolimowski, vi parliamo di un animale veramente strano, sia per quanto riguarda il nostro cinema che in generale nel panorama contemporaneo.

Innanzitutto perché è una pellicola tratta da un bestseller italiano (l’omonimo romanzo di Paolo Cognetti vincitore del Premio Strega), frutto di una produzione italobelgafrancese (esiste questa parola?) e in più è adattata e girata da una coppia, quella composta da Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, specializzata, guarda il caso, nei film improntati allo svisceramento dei rapporti a due.

Il secondo fatto sta nel suo essere una pellicola particolarmente riuscita nell’uso metaforico della montagna, terzo incomodo, ma anche angelo custode, soprattutto metafora geografica del mondo e della vita dei protagonisti.

Si tratta di un film sul viaggio, ma non su di un viaggio, quello poi sta nello sviluppo dell’intreccio, quanto sulla riproposizione filosofica del viaggio, che è invece quella che dal particolare (fondamentale) mira alla totalità, universalità e tutte le parole affini.

Infatti, nonostante la doppia storia di formazione sia piuttosto dritta in termini di scrittura e più o meno inquadrabile fin da subito (banalmente, uno ama scrivere e l’altro ama leggere), il film mai pensa neanche minimamente ad accelerare, forte del suo credo e dell’enorme ricchezza dietro la camera.

Quella che porta il titolo ad assumere al suo interno delle caratteristiche particolarissime e che nel loro comporsi hanno dato vita ad un quadro altrettanto peculiare, sia in termini di scelte visive che musicali financo nella direzione attoriale.

A proposito di direzione attoriale, la coppia di autori belga continua a puntare forte sul cast e per l’occasione decide di affidarsi a Luca Marinelli e Alessandro Borghi, i divi indiscussi della nostra realtà cinematografica, che dimostrano ancora una volta di integrarsi alla perfezione, tornando a lavorare insieme sette anni dopo il meraviglioso Non essere cattivo di Claudio Caligari in due ruoli completamente diversi. Accanto a loro troviamo un inedito Filippo Timi, spogliato del suo essere sopra le righe, ma non per questo meno efficace, anzi, e Elena Lietti.

Il resto lo fanno le location, che in questo caso (ma non è assolutamente una sorpresa) sono, di fatto, il personaggio più importante della pellicola.

 

Bruno e Pietro

La narrazione, tutta raccontata da un solo punto di vista, si divide, fondamentalmente, in due grandi momenti.

Il primo è quello che ci presenta una famiglia torinese benestante, piuttosto insofferente nei riguardi della città in cui vive e per questo solita recarsi nella loro casa in montagna. La cosa ironica è che coloro che vi soggiornano di più sono il figlio piccolino e la mamma Francesca (Lietti), quando è palesemente papà Giovanni (Timi) quello che più ne beneficia.

Il figlio in questione è Pietro (che poi sarà interpretato da Marinelli), che su quel monte passa le giornate esplorando, leggendo, scrivendo e annoiandosi un po’ fino al momento dell’incontro dell’unico altro suo coetaneo presente in quel piccolo paesino, tale Bruno (che poi sarà interpretato da Borghi). Tra di loro si stabilisce un legame talmente forte da renderli inseparabili, pur sempre visceralmente legati alla montagna, come se la loro amicizia non potessero vivere lontano da essa.

Lei diventa arbitro delle relazioni più importanti di tutti i personaggi, tra cui anche quella, motivo del conflitto che innescherà poi tutta la seconda parte di trama, legata al triangolo con la sola figura paterna presente nel racconto e i due ragazzi.

Le otto montagne

Come in ogni storia di formazione ed emancipazione doppia si passa per il momento del distacco, che è essenziale per quello del ritorno, senza il quale nessun rapporto può rinnovarsi e quindi durare nel tempo.

Ad anni di distanza ci saranno ancora Bruno, Pietro, papà e la montagna, impegnati in un rapporto altamente promiscuo dal punto di vista emozionale e geografico, ma mai volgare o, peggio ancora, manipolato da qualcuno degli invischiati. Il compito dei due uomini sarà quello di costruire una casa, eredità condivisa, dono per entrambi da parte di una coppia mista di genitori, che li hanno amati e li ameranno per sempre.

Le giuste altezze

Van Groeningen e Vandermeersch decidono di fare un film di formazione dall’impronta classica, prendendosi molto tempo per far emergere la natura mutevole dei rapporti portati in scena sullo schermo. Giocano con i silenzi, la prossemica, i paesaggi, ma lavorando quasi sempre in sottrazione.

La montagna stessa, nonostante regali comunque dei paesaggi mozzafiato, è più che altro ritratta cercando di imprigionare il suo ampio respiro in immagini da cartolina, 4:3, spesso frame in frame, utilizzando molto la camera fissa o comunque mossa il meno possibile e scegliendo quella a mano solamente per accompagnare gli spostamenti dei personaggi da un’altitudine all’altra.

Una scelta oculata per rafforzare la metafora dell’altitudine come ricerca continua della propria dimensione ideale di vita.

Le otto montagne

Borghi e Marinelli sono perfettamente accordati, completamente dediti ai loro ruoli (ma questo non è una novità), talmente reali da essere quasi rozzi, molto duri nel loro rapporto per nulla costruito, ma così viscerale da ricordare molto quello che nasceva nei protagonisti nei film di frontiera. Un’immagine che viene rafforzata da un’impronta da film western che c’è soprattutto nella parte centrale della pellicola, suggellata da una scelta musicale che viaggia sempre dalle parti che richiamano il country folk americano, nonostante la base sia fortemente europea. Il cantautore scelto per la maggior parte dei brani è lo svedese Daniel Norgren, non a caso.

Una pellicola che lavora sottotraccia, sedimentando piano piano nello spettatore i frammenti di un rapporto lungo anni e chiuso in una dimensione ideale che diventa il metro della vita dei due ragazzi, condannati ad essere legati alla montagna per continuare ad esserlo, poi, l’uno all’altro.

Le otto montagne rimane però una pellicola incompiuta forse perché non riesce ad incidere nei momenti di grande svolta emotiva, in cui l’immensa preparazione del particolare non esplode del tutto nella sua portata universale. Borghi e Marinelli restituiscono un rapporto straordinario, pregnante, ricco, potente e intimo, talmente reale che puoi entrarci dentro anche se non parlano, anche se non si guardano, ma vive a pino quando quando sono loro due, isolati dal resto, non solo fisicamente. È nel momento della condivisione degli spazi, che è quella con le donne, ma soprattutto con i rispettivi padri, la cui crisi è fondamentale per una successiva rinascita, che il film non arriva a pieno. Di nuovo è la montagna che mette d’accordo tutti. Un titolo di grande fascino e dal messaggio molto potente, interpretato a pennello per le richieste dei registi. Un viaggio in nome dell’amore, con tutti i suoi limiti e tutte le sue pene.

Le otto montagne è disponibile al cinema dal 22 dicembre 2022 con Vision Distribution.

75
Le otto montagne
Recensione di Jacopo Fioretti Raponi

Le otto montagne è un il nuovo film della coppia Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, Premio della Giuria ex-aequo a Cannes75, tratto dall'omonimo romanzo di Paolo Cognetti vincitore del Premio Strega e con protagonista la coppia Luca Marinelli - Alessandro Borghi. Un doppio racconto di formazione dipendente dalla presenza di un terzo incomodo, che è la montagna, metafora perfetta della geografia esistenziale di tutti i personaggi. Un titolo particolare dal punto di vista delle scelte visive e musicali e che, nonostante una scrittura molto dritta, non riesce attraverso il suo lavoro in sottrazione a far imboccare allo spettatore la strada risolutiva che porta ad una completa immersione nei luoghi e nei rapporti tra i personaggi. Un titolo molto valido, forse un po' incompiuto, ma con un cuore enorme.

ME GUSTA
  • Le prove di Alessandro Borghi e Luca Marinelli.
  • La particolarità della pellicola può attrarre, ma anche respingere.
  • La metafora della montagna è splendidamente riuscita.
  • Le location sono straordinarie.
FAIL
  • La durata è forse eccessiva.
  • La particolarità della pellicola può attrarre, ma anche respingere.
  • Non riusciamo ad entrare a pieno nelle relazioni dei personaggi.
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