Mappata l’impronta della produzione alimentare sul clima

 Dal beige al rosso, la mappa mostra l’impatto complessivo della produzione alimentare sull’ambiente. L’India e la Cina esercitano la pressione maggiore sull’ambiente. Le aree costiere della Germania settentrionale, dei Paesi Bassi, del Belgio e della Francia settentrionale hanno il maggiore impatto ambientale del Nord Europa. (credit:Halpern, B.S., Frazier, M., Verstaen, J. et al.)

Quando il cibo che mangiamo arriva sulla nostra tavola, ha percorso un lungo viaggio: dalla produzione, alla lavorazione e alla distribuzione fino a tutti noi consumatori. “Il sistema alimentare è la più grande minaccia alla diversità biologica e uno dei peggiori fattori di crisi climatica”, afferma Daniel Moran, ricercatore presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Energia e dei Processi dell’Università Norvegese di Scienze e Tecnologie (NTNU).

Moran è stato uno dei coautori di un ampio studio che ha prodotto mappe digitali che mostrano la pressione che il sistema alimentare globale esercita sull’ambiente e sul clima. “Nessuno l’aveva mai fatto prima e la mappatura è stata un compito gigantesco”, spiega il ricercatore. Moran ha collaborato con 16 ricercatori, tra cui quelli dell’Università di Leeds e dell’Università della California, Santa Barbara.

“Ci sono molti alimenti sul pianeta e numerosi modi per produrli. Le conseguenze altrettanto numerose e difficili da calcolare. Comprendendo meglio gli impatti negativi, possiamo ottenere una produzione alimentare più efficiente dal punto di vista ambientale. In questo modo proteggeremo l’ambiente e contribuiremo a garantire cibo a sufficienza per la popolazione mondiale”, afferma Moran.

Quando il ricercatore usa la parola efficienza, si riferisce al minor impatto ambientale possibile per chilogrammo di cibo prodotto. Il contributo di Moran allo studio è stato quello di mappare l’impatto ambientale che il commercio internazionale provoca.

I cinque peggiori colpevoli

Lo studio mostra che cinque Paesi – Cina, India, Stati Uniti, Brasile e Pakistan – sono responsabili di quasi la metà dell’impatto ambientale globale della produzione alimentare. I ricercatori non hanno “incoronato” i Paesi con la minore impronta ambientale per un semplice motivo: si tratta di Paesi poveri che vivono con la scarsità di cibo e la fame. I ricercatori hanno ottenuto i dati relativi al 99% di tutta la produzione alimentare in acqua e sulla terraferma registrata nel 2017. La particolarità di questo studio è che il gruppo di ricerca ha preso in considerazione i principali tipi di pressione che la produzione alimentare esercita sull’ambiente: emissioni di CO2, consumo di acqua, distruzione degli habitat e inquinamento.

Hanno inoltre seguito l’intero “ciclo di vita” del cibo – dalla semina del grano e dalla nascita dell’animale allevato fino al pane e alla fetta di carne sulla tavola del consumatore – per determinare l’impatto ambientale totale. L’impoverimento del suolo, i pesticidi, il deflusso delle tossine, i mangimi, l’irrigazione, il gasolio per il trasporto e le emissioni derivanti dalla produzione di fertilizzanti: tutto è incluso nel loro grande calcolo. Mappare i “chilometri di viaggio” degli alimenti non è stato facile.

A esempio, una pizza surgelata può contenere ingredienti provenienti da diversi Paesi. La Danimarca, che esporta carne di maiale in grande quantità, importa contemporaneamente mangimi per suini. Anche il viaggio del bovino, passando per il caseificio dove si lavora il latte, fino alla tavola della colazione è tutt’altro che diretto. In alcuni Paesi, un prodotto semplice come uno yogurt può includere sia latte in polvere che frutta secca importata. Lo studio considera il mare, l’acqua e la terra nel loro complesso. I suini e il pollame hanno un’impronta sull’ambiente marino perché mangiano aringhe, acciughe e sardine. E negli allevamenti di salmoni, questi ultimi consumano mangimi vegetali coltivati a terra.

Panoramica geografica

Utilizzando tutti i dati raccolti, i ricercatori hanno creato un gran numero di mappe specializzate che possono essere combinate per studiare i diversi effetti. Le mappe forniscono un quadro semplice che consente di confrontare direttamente quasi tutti gli alimenti provenienti da regioni diverse.

Lo studio mostra che la produzione di prodotti lattiero-caseari e di carne bovina occupa il 25% della superficie agricola. L’allevamento di bestiame è stato spesso dipinto come quello con l’impatto ambientale più dannoso, perché occupa la maggior parte dei pascoli, utilizza molta acqua e produce grandi emissioni di metano. Tuttavia, l’indagine mostra che l’allevamento di suini comporta un onere ambientale maggiore, soprattutto a causa della grande quantità di risorse utilizzate per la produzione di mangimi.

“In generale, gli alimenti prodotti localmente sono l’opzione più rispettosa dell’ambiente, ma siamo rimasti sorpresi da quanto l’impronta di produzione di uno stesso prodotto vari nei diversi Paesi”, afferma Moran. “Un prodotto alimentare può essere sostenibile se viene prodotto in un Paese, ma non in un altro. Ad esempio, è emerso che la produzione di soia negli Stati Uniti è due volte più efficiente dal punto di vista ambientale rispetto a quella indiana”.

L buona notizia è che durante l’incontro sul clima COP27 in Egitto, Daniel Moran ha appreso che il progetto di ricerca a cui ha partecipato è già stato messo a frutto. La Nature Conservancy utilizzerà lo studio per consigliare i giganti dell’alimentazione mondiale su come trovare le soluzioni più efficienti dal punto di vista ambientale.

 

 

 

 

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